Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5545 del 08/03/2010
Cassazione civile sez. lav., 08/03/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 08/03/2010), n.5545
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – rel. Presidente –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. STILE Paolo – Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 19474/2006 proposto da:
T.S., M.M., M.G.,
MA.GA., tutti nella loro qualità di eredi di M.
P.A. e tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
VIGLIENA 2, presso lo studio dell’avvocato FALCONI AMORELLI
ALESSANDRO, rappresentati e difesi dall’avvocato FERRI FRANCESCO,
giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
SOCIETA’ SAN PAOLO IMI S.P.A. (che ha incorporato la Società Banco
di Napoli S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FARAVELLI 22, presso lo studio
dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MUSTO ALFREDO, giusta delega a margine del
controricorso, ora in via G Cesare n. 21/23;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 206/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,
depositata il 25/06/2005 R.G.N. 955/00;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/12/2009 dal Consigliere Dott. ROSELLI Federico;
lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott.
SGROI Carmelo, che ha concluso chiedendo che la Corte di Cassazione,
visto l’art. 375 c.p.c., riunita in camera di consiglio, rigetti il
ricorso per manifesta infondatezza, con le conseguenze di legge.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che con sentenza del 25 giugno 2005 la Corte d’Appello di Bologna, in riforma della decisione emessa dal Tribunale di Modena, rigettava la domanda di pensione privilegiata proposta da M. P.A. contro la s.p.a. San Paolo Imi, già sua datrice di lavoro;
che ad avviso della Corte d’Appello la detta pensione poteva essere attribuita solo qualora l’infermità lamentata dal prestatore di lavoro fosse derivata dallo svolgimento del servizio, quale causa unica e diretta ovvero concausa efficiente e determinante, non essendo così sufficiente il principio di equivalenza delle cause;
che sulla base della consulenza tecnica medica disposta d’ufficio la Corte rilevava come gli infarti cardiaci sopportati dal M. nel (OMISSIS) fossero dovuti a fattori costituzionali, quali diabete, ipertensione arteriosa e tabagismo, e come servizio, sempre prestato in condizioni normali, non avesse anticipato o affrettato l’evoluzione della malattia circolatoria: in particolare, una rapina avvenuta nella banca in cui il M. aveva lavorato non gli aveva causato conseguenze patologiche patologiche nei giorni immediatamente successivi;
che le condizioni non particolarmente gravose della prestazione del servizio risultavano dalle numerose testimonianze;
che la consulenza tecnica era stata eseguita ritualmente poichè il consulente aveva comunicato giorno ed ora di inizio delle operazioni alle parti, onerate ad informarsi circa l’eventuale prosecuzione;
che contro questa sentenza ricorrono per Cassazione i successori del M., qui indicati in epigrafe, mentre la s.p.a. San Paolo Imi resiste con controricorso;
che il Pubblico ministero ha chiesto il rigetto del ricorso;
che i ricorrenti hanno presentato memoria.
Considerato che con unico motivo i ricorrenti lamentano vizi di motivazione in ordine alla normalità delle condizioni in cui il lavoratore aveva eseguito le prestazioni di funzionario di banca, in realtà caratterizzate da cattiva organizzazione, nonchè circa l’idoneità di esse a causare in modo determinante la malattia cardiaca, specie dopo che il lavoratore aveva rinunciato al tabacco;
che il motivo è manifestamente infondato perchè inteso ad ottenere da questa Corte di legittimità una nuova, impossibile valutazione della consulenza tecnica e delle deposizioni testimoniali, tanto più che gli stessi ricorrenti riconoscano la “difficoltà di tracciare una linea netta” in detta valutazione, ossia la discrezionalità riservata ai giudici del merito;
che inammissibile è la censura di irritualità delle operazioni di consulenza tecnica, poichè i ricorrenti non indicano, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3 la prova della “assicurazione”, asseritamente resa del consulente alle parti, circa successivi accordi per il prosieguo delle operazioni; assicurazione poi rimasta vana;
che, rigettato il ricorso, le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali in Euro 24,00 oltre ad Euro duemila/00 per onorario, più spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010