Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5543 del 06/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 06/03/2017,  n. 5543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14926/2011 proposto da:

D.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ISONZO PAL 42/A, presso lo studio dell’avvocato LUCA DI GREGORIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PATRIZIA TORNAMBE’, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI CREMONA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. AVEZZANA 6,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO FERRI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ALDO CALZA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 9/2011 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 27/01/2011 r.g.n. 360/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2016 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito l’Avvocato MAURIZIO FERRI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. D.C. convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Brescia, la Provincia di Cremona per chiedere l’accertamento della illegittimità e/o la nullità e/o l’inefficacia della dequalificazione subita dal 26.6.2001 e della sussistenza in capo ad esso ricorrente dello status di dirigente.

2. Il Tribunale rigettò il ricorso e la Corte di Appello di Brescia, adita in via principale dal D. ed in via incidentale subordinata dalla Provincia di Cremona, ha confermato tale sentenza, sulla scorta delle argomentazioni motivazionali che seguono:

3. erano inammissibili le censure con le quali il D. aveva dedotto l’inefficacia e la illegittimità del patto di “declassamento” in data 20.6.2001 e i vizi del consenso in ordine alla avvenuta sottoscrizione di detto atto, in quanto correlate a temi di indagine estranei al “thema decidendum” introdotto con il ricorso di primo grado, e a pretese fondate su fatti costitutivi diversi da quelli posti a fondamento della originaria domanda;

4. a fronte della insindacabilità della scelta datoriale di sopprimere definitivamente tutte le posizioni dirigenziali presso l’APT, scelta mai impugnata dal lavoratore, era legittima la ricollocazione del lavoratore nella posizione professionale e nel livello retributivo inferiori alla luce delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, e nella L. n. 223 del 1991, posto che la Amministrazione, che non aveva altro obbligo, anche nella ipotesi di esuberi inferiori a dieci unità di personale, che quello di collocare in disponibilità il D. per licenziarlo decorsi i 24 mesi previsti dalla legge, gli aveva offerto la possibilità di conservare il posto di lavoro, assicurandogli per tal via un trattamento di miglior favore;

5. la modifica in “peius” delle mansioni come alternativa al licenziamento doveva ritenersi legittima in quanto era stata disposta con il consenso del lavoratore, che lo aveva prestato dopo avere ricevuto specifica informazione da parte della OS di appartenenza e in quanto costituiva soluzione più favorevole rispetto alla cessazione del rapporto di lavoro;

6. Avverso tale sentenza D.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, al quale resiste con controricorso la Provincia di Cremona, che ha anche proposto ricorso incidentale condizionato affidato a sei motivi. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c., illustrati da successiva memoria. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 Settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi del ricorso principale.

7. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., ed omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

9. Sostiene che il tema di indagine proposto in sede di appello coincideva con le motivazioni esposte nella sentenza di primo grado e con quanto argomentato nelle note difensive autorizzate depositate nel giudizio di primo grado nelle quali, in replica alla prospettazione difensiva assunta dalla Provincia, esso ricorrente aveva dedotto di essersi limitato a prendere visione del verbale di contrattazione decentrata, che aveva ad oggetto il suo declassamento; che le censure formulate alla sentenza appellata costituivano mera puntualizzazione delle difese già articolate nel giudizio di primo grado.

10. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, e della L. n. 223 del 1991.

11. Il ricorrente deduce l’inesistenza del suo consenso al patto di declassamento previsto nel verbale di contrattazione decentrata del giugno 2001, sostenendo di essersi limitato a siglarlo a margine “per presa visione”; che dal verbale emergerebbe solo che tra le conseguenze illustrate dal rappresentante sindacale in relazione alla modifica della pianta organica era stato indicato il licenziamento per esubero ma non era stato spiegato che avrebbe potuto farsi ricorso al collocamento in disponibilità, come previsto dalla legge e dalla contrattazione collettiva; che l’Amministrazione avrebbe effettuato scorrimenti orizzontali “in melius” nella fascia D aumentando il livello economico per il Direttore f.f. e per il responsabile amministrativo, in contrasto con la dedotta necessità di ridurre la pianta organica per ragioni economiche; che nel verbale di accordo decentrato non erano state esplicitate le ragioni poste a fondamento della riduzione della pianta organica e del ricorso alla procedura di esubero in danno di esso ricorrente. Assume che il patto di declassamento avrebbe dovuto essere raggiunto in sede individuale e non in sede di contrattazione collettiva decentrata.

12. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33. Asserisce che nei casi, quali quello dedotto in giudizio, le eccedenze siano inferiori a dieci unità, il personale in esubero potrebbe solo essere collocato in disponibilità, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, comma 7, e dell’art. 16 del CCNL Area della dirigenza del comparto regioni e autonomie locali.

13. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2095 c.c., in relazione all’art. 1 del TU n. 3 del 1957, e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, sostenendo che, una volta acquisito lo “staus” di dirigente pubblico, non sarebbe consentita l’attribuzione di mansioni proprie di una diversa categoria.

14. Sintesi dei motivi del ricorso incidentale condizionato.

15. Con il primo ed il secondo motivo la ricorrente incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 5, omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia e violazione o falsa applicazione della L.R. 14 aprile 2004, n. 8, e dell’art. 100 c.p.c., per non avere la Corte territoriale escluso e motivato sulla eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata da essa amministrazione, implicitamente ritenuta assorbita, in virtù del rigetto dell’appello principale.

16. Con il terzo ed il quarto motivo la ricorrente incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 5, omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia e violazione o falsa applicazione degli artt. 411 e 2113 c.c., per non avere la Corte territoriale dichiarato e motivato in ordine alla intervenuta cessazione della materia del contendere per effetto del verbale di contrattazione decentrata.

17. Con il quinto motivo la ricorrente incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la Corte territoriale dichiarato l’integrale compensazione del spese del giudizio di appello.

Esame dei motivi del ricorso principale.

18. Il primo ed il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente, presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.

19. Il primo motivo è inammissibile perchè il ricorrente non ha ottemperato al duplice onere previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., n. 4, norme che mirano a porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato, senza compiere generali verifiche degli atti (Cass. SSUU 5698/2012, 22726/2011; Cass. 9888/2016, 15229/2015, 988/2015, 19157/2012, 15477/2012, 2281/2010). Non ha, infatti, riprodotto, nei passi salienti e rilevanti, la sentenza di primo grado, la memoria di costituzione in giudizio della Provincia, le note difensive autorizzate depositate nel giudizio di primo grado, atti, questi, sui quali è fondata la censura di violazione dell’art. 345 c.p.c., ed indispensabili per l’accertamento della sussistenza del dedotto continuum tra ricorso di primo grado, difese svolte dalla Amministrazione, ragioni del “decisum” di primo grado e “thema decidendum” introdotto con l’atto di appello.

20. A quanto considerato consegue l’inammissibilità delle censure formulate nel secondo motivo in relazione alla validità del verbale di contrattazione decentrata.

21. Sono del pari inammissibili le doglianze, espresse nel secondo motivo, relative alla mancanza di esplicitazione dei motivi posti a fondamento della scelta della Amministrazione di rideterminare la pianta organica ed alla attribuzione di trattamenti giuridici ed economici migliorativi (dedotti come frutto di promozione interna) in favore di altri dipendenti inquadrati nel profilo D perchè di esse, coinvolgenti non solo questioni in diritto ma anche accertamenti in fatto, non v’è cenno in sentenza e il ricorrente non precisa se le medesime siano state poste nel giudizio in primo grado e all’attenzione della Corte territoriale (Cass. 167/2017, 22934/2016, 23045/2015, 5070/2009, 20518/2008, 4391/2007, 25546/2006, 14599/2005).

22. Il secondo motivo è infondato nella parte in cui il ricorrente assume che il demansionamento avrebbe dovuto essere oggetto di una pattuizione individuale e non di contrattazione collettiva decentrata, atteso che non sono formulate censure in ordine all’affermata partecipazione dell’odierno ricorrente in prima persona e con l’assistenza della organizzazione sindacale di appartenenza alla contrattazione sindacale in sede decentrata e al fatto che il D. acconsentì al “declassamento” sottoscrivendo l’accordo che lo riguardava. Il ricorrente, infatti, nel motivo in esame ribadisce le prospettazioni svolte in ordine alla validità ed efficacia della pattuizione, dalla Corte territoriale ritenute inammissibili perchè nuove (punti 3, 19 e 20 di questa sentenza).

23. Il terzo ed il quarto motivo, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.

24. Va osservato, in ordine al terzo motivo, che il rinvio al comma 7, operato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, comma 2, (nel testo applicabile “ratione temporis”, antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 50 comma 1), che disciplina le eccedenze di personale inferiori alle 10 unità, impone alla P.A. datrice di lavoro l’obbligo di far precedere il collocamento in disponibilità da ogni possibile tentativo di “repechage” dei lavoratori in esubero, pure al di sotto della soglia numerica di 10 unità’. Il c.7 del richiamato art. 33 dispone, infatti, che “…l’amministrazione colloca in disponibilità il personale che non sia possibile utilizzare diversamente nell’ambito della medesima amministrazione e che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni ovvero che non abbia preso servizio preso la diversa amministrazione che, secondo gli accordi intervenuti ai sensi dei commi precedenti, ne avrebbe consentito la ricollocazione”.

25. Diversamente da quanto opina il ricorrente, l’ampia dizione dell’art. 33, comma 7 (“personale che non sia possibile collocare diversamente”) ricostruisce in maniera chiara ed inequivoca l’obbligo dell’amministrazione, imponendo a quest’ultima di tentare ogni possibile riutilizzazione di tale personale prima del collocamento in disponibilità, attraverso qualunque forma utile a raggiungere l’obiettivo e, dunque, anche mediante il ricorso alle tipologie di utilizzazione cui è possibile addivenire mediante accordo nel corso della procedura di mobilità collettiva.

26. L’opzione interpretativa innanzi esplicitata è non solo conforme al dato letterale ma anche all’evoluzione legislativa dell’istituto, ove si consideri che il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 35, prima della modifica introdotta dal D.Lgs. n. 80 del 1998, si limitava a prevedere che “il presente articolo si applica solo quando l’eccedenza rilevata riguardi almeno 10 dipendenti”. Il legislatore in sede di modifica ha mantenuto l’obbligo del ricorso alla procedura sindacale in relazione alle eccedenze superiori alle dieci unità, ma ha inteso assicurare il massimo del ventaglio di alternative alla disponibilità anche per le piccole eccedenze, per evitare che gli eccedentari al di sotto delle 10 unità siano penalizzati nella ricerca della ricollocazione, per scongiurare il collocamento in disponibilità.

27. Non si rinviene nella contrattazione collettiva relativa all’Area della dirigenza del comparto regioni e autonomie locali vigente al tempo della sottoscrizione del patto di demansionamento (20.6.2001) alcuna disposizione derogatoria della disciplina legale: il CCNL CCNL del 10.4.1996 normativo 1994 – 1997 economico 1994 – 1995 con l’art. 24 disciplina gli accordi di mobilità disponendo che “1. In applicazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 35, comma 8, tra le amministrazioni del comparto e le organizzazioni sindacali, possono essere stipulati accordi per disciplinare la mobilità dei dirigenti tra le stesse amministrazioni. 2. Gli accordi di mobilità di cui al comma 1, possono essere stipulati: per prevenire la dichiarazione di eccedenza, favorendo la mobilità volontaria; dopo tale evento, per evitare i trasferimenti di ufficio o la dichiarazione di messa in disponibilità”. Il successivo CCNL del 23/12/1999 CCNL normativo 1998 – 2001 economico 1998 – 1999, nulla innovando sugli accordi di mobilità, all’art. 16 disciplina la mobilità volontaria.

28. Non trova applicazione “ratione temporis” l’art. 16 del CCNL Area della dirigenza del comparto regioni e autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005 e il biennio economico 2002-2003, invocato dal ricorrente. Va comunque rilevato che detta clausola negoziale, pur richiamando espressamente il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, nella parte relativa alle regole procedurali (commi 3, 4 e 5) solo in relazione alle eccedenze di personale dirigenziale che coinvolgono almeno dieci lavoratori, non contiene alcuna disposizione che esclude l’applicazione del citato art. 33, commi 7 ed 8, e non disciplina in modo diverso gli esuberi inferiori alle 10 unità, quanto al ricorso alle tipologie di utilizzazione cui è possibile addivenire mediante accordo nel corso della procedura di mobilità collettiva, tra le quali, appunto anche gli accordi di dequalificazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, commi 11.

29. Deve, pertanto, ritenersi che la pattuizione intervenuta tra la Amministrazione e l’odierno ricorrente sia legittima ai sensi delle disposizioni di legge e di contratto sopra richiamate in quanto stpulata ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 11, senza che rilevi la circostanza (evidenziata nel quarto motivo) che le mansioni di nuova attribuzione siano diverse ed estranee alla qualifica dirigenziale.

30. Il ricorso principale va in conclusione respinto, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale.

Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.500,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfettario, oltre IVA e CPA.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 2 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2017

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