Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5536 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. I, 08/03/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 08/03/2010), n.5536

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.E., (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di

tutore di G.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

18/11/2005, n. 50384/05 R.G.A.D.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO LIBERTINO ALBERTO che chiede che la Corte di Cassazione, in

camera di consiglio, accolga per quanto di ragione il ricorso per

manifesta fondatezza.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma col decreto in esame depositato il 18 novembre 2005, ha rigettato la domanda proposta da A. E., odierno ricorrente, tesa al riconoscimento del danno non patrimoniale, chiesto nell’importo di Euro 17.850,00, conseguente alla violazione del termine di ragionevole durata del processo, promosso innanzi alla Corte d’appello di Napoli con atto del 4.2.94 e definito con sentenza 12.4.2 000, senza neppure operare tale computo, avendo escluso il danno, asseritamente sofferto dall’istante, in ragione della modesta entità della “posta in gioco”.

Col presente ricorso per Cassazione il predetto istante impugna tale decisione, deducendo sei mezzi resistiti con controricorso dal Ministero della Giustizia intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In linea preliminare (devesi rilevare l’intervenuta decadenza del ricorrente dal diritto a proporre l’istanza in discussione.

Si è riferito in narrativa che il processo presupposto, la cui durata asseritamente irragionevole è posta a base della domanda di equa riparazione esaminata dalla Corte territoriale, si è concluso con sentenza del giudice di gravame del 12.4.2000, non impugnata in sede di legittimità e dunque divenuta cosa giudicata quanto meno allo spirare del termine previsto dall’art. 327 c.p.c., dunque alla data del 28 maggio 2001. Il corollario comporta la declaratoria d’inammissibilità della domanda in esame, rilevabile anche d’ufficio – per tutte Cass. n. 13287/2006 -, essendo stata proposta oltre il termine di decadenza di sei mesi dalla data della pronuncia che ha definito il processo, posto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4.

Avvedutamente il ricorrente colloca il dies a quo del computo del termine suddetto dalla data in cui la sentenza anzidetta è stata messa in esecuzione, proponendo logica fusione dei due processi, di cognizione e d’esecuzione forzata, che restano invece autonomi e distinti così impedendo la sommatoria dei rispettivi tempi di definizione – cfr. Cass. n. 25529-06.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata senza rinvio e, pronunciando sul ricorso, la domanda originaria deve essere dichiarata inammissibile.

Immutata la precedente pronuncia quanto al governo delle spese, le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, sono poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e pronunciando sul ricorso dichiara inammissibile la domanda di equa riparazione. Ferma la compensazione delle spese della fase di merito, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 700,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

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