Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5536 del 06/03/2017

Cassazione civile, sez. lav., 06/03/2017, (ud. 15/11/2016, dep.06/03/2017),  n. 5536

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22655/2011 proposto da:

D.M.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SCIPIO SLATAPER 9, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

FILIE’, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6866/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/10/2010 R.G.N. 6227/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato DE CARO ENRICO per delega Avvocato FILIE’ MASSIMO;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso, in subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 8/10/2010, ha rigettato l’appello proposto da D.M.G. contro la sentenza resa dal Tribunale di Roma che aveva dichiarato inammissibile il suo ricorso.

2. A fondamento del decisum, la Corte territoriale ha ritenuto che la domanda, in quanto diretta ad ottenere il riconoscimento della invalidità nella misura del 94% “con ogni conseguente riconoscimento del diritto ai benefici economici derivanti dalla invalidità” costituiva una domanda di mero accertamento, che correttamente era stata dichiarata inammissibile dal giudice di primo grado. Ha aggiunto che nel ricorso non vi era alcun riferimento all’assegno di invalidità, nè tantomeno erano rinvenibili allegazioni in ordine alla sussistenza del requisito reddituale, necessario per il riconoscimento del diritto.

3. Contro la sentenza il D.M. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso l’Inps.

4. Il collegio dispone, come da Decreto del Primo presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è fondato sulla violazione e falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, art. 13. La parte assume di non aver mai richiesto il riconoscimento dello stato invalidante, nè l’assegno di invalidità, ma soltanto di aver impugnato il grado di invalidità già riconosciuto in sede amministrativa per ottenere il riconoscimento di una percentuale superiore al 66,6%, necessaria per i benefici economici previsti dalla legge (esenzione ticket, tessera gratuita mezzi pubblici, ecc.).

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 295 del 1990, art. 1, in relazione all’art. 100 c.p.c. e, ribadito che l’oggetto del giudizio era il riconoscimento di un maggior grado di invalidità il ricorrete sostiene di avere l’interesse ad agire, in considerazione dello stato di incertezza oggettiva sullo status di invalido, come peraltro poteva desumersi dal fatto che la stessa amministrazione, nel trasmettere il verbale di visita medica del (OMISSIS), lo aveva avvertito della facoltà di ricorrere dinanzi al giudice ordinario per impugnare il provvedimento amministrativo, così creando pure un suo legittimo affidamento.

3. Nel terzo motivo si ripropone la medesima questione denunciando la “errata interpretazione e falsa applicazione dei principi fondamentali del diritto”, ribadendo che dallo stesso provvedimento della Asl emergeva il contenuto della sua domanda, avente ad oggetto non l’accertamento dell’invalidità ma di un maggior grado della stessa, e la stessa avvertenza della possibilità di impugnarlo non prevedeva l’indicazione di un preciso beneficio economico.

4. I tre motivi, che si affrontano congiuntamente per l’evidente connessione che li lega, sono infondati, oltre a presentare profili evidenti di inammissibilità.

5. E’ opportuno premettere che la domanda avente ad oggetto il diritto ad ottenere prestazioni negate in sede amministrativa non dà luogo ad un’impugnativa de provvedimento amministrative di diniego, ma riguarda il diritto del cittadino ad ottenere la tutela che la legge gli accorda; conseguentemente, il giudice è chiamato ad accertare se sussista, o meno, il diritto alla prestazione, verificandone le condizioni di esistenza alla stregua dei requisiti richiesti “ex lege”, con riguardo alla legislazione vigente al momento della domanda (Cass. 20 febbraio 2009, n. 4254; Cass. 24 febbraio 2015, n. 3688).

6. La giurisprudenza di legittimità assolutamente prevalente, muovendo dal condivisibile presupposto che la tutela giurisdizionale è tutela di diritti, ritiene che non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ma che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto, la quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica dei diritto azionato e quindi nella sua interezza (Cass. S.U. 20 dicembre 2006, n. 27187; v. pure Cass. 23 dicembre 2009, n. 27151; Cass. 20 dicembre 2011, n. 27691; Cass., ord. 27 gennaio 2011, n. 2051).

Sulla base di tale condivisibile giurisprudenza, questa Corte ha ripetutamente escluso l’ammissibilità di un’azione di mero accertamento in tema di invalidità (su cui, da ultimo, Cass. ord. 5 maggio 2016, n. 9013; Cass. ord. 4 febbraio 2015, n. 2011; Cass., ord. 29 maggio 2013, n. 13491).

7. A tale orientamento si ritiene di dare continuità in assenza di elementi che ne giustifichino un ripensamento, sicchè deve ritenersi inammissibile una domanda diretta ad ottenere il mero accertamento del grado di invalidità, o, come nel caso di specie, l’accertamento di un grado di invalidità superiore a quello riconosciuto in sede amministrativa, senza che sia specificato il diritto che in concreto si vuole conseguire con l’accertamento.

8. A tal fine non rileva che l’amministrazione, nel provvedimento con cui ha determinato il grado di invalidità, abbia avvertito l’interessato della possibilità di proporre ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria senza riferirsi ad una specifica prestazione, giacchè ciò non può evidentemente valere a sovvertire le regole generali del processo civile che prevedono tra le condizioni dell’azione l’interesse ad agire.

9. Deve aggiungersi che il ricorso presenta evidenti profili di inammissibilità, rilevabili nel fatto che la parte non trascrive, neppure per stralcio, il ricorso introduttivo del giudizio non in deposita unitamente al ricorso per cassazione, nè fornisce precise indicazioni per un suo facile reperimento nei fascicoli di parte o d’ufficio delle pregresse fasi del giudizio.

10. Con ciò la parte non assolve il duplice onere previsto, a pena di inammissibilità de ricorso, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ed imposto, nel rispetto del principio della strumentalità delle forme, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (v. Cass., 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966). In particolare, la trascrizione del ricorso avrebbe consentito di accertare l’esatto oggetto della domanda e, quindi, valutare la correttezza della decisione impugnata nella parte in cui l’ha ritenuta generica e perciò inammissibile. La mancanza del ricorso non consente neppure di apprezzare la veridicità dell’assunto del ricorrente, secondo cui la domanda aveva ad oggetto prestazioni accessorie come la esenzione dal ticket o la tessera gratuita per i mezzi pubblici, di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata (cfr. Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675).

11. Il ricorso pertanto va rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in assenza dell’autodichiarazione prevista dall’art. 152 disp. att. c.p.c. (nel testo risultante dopo la modifica apportata dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, applicabile ratione temporis alla presente fattispecie, poichè il ricorso risulta essere stato depositato in data 29/2/2008).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 1.600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese forfettarie e agli altri oneri accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2017

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