Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5532 del 01/03/2021

Cassazione civile sez. I, 01/03/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 01/03/2021), n.5532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14690/2019 proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Daniela

Gasparin, del foro di Milano, giusta procura speciale allegata al

Ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5704/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2020 dal Cons. Dott. CLOTILDE PARISE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 5704/2018 depositata il 19-12-2018, la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da M.A., cittadino della (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese nel (OMISSIS) per il timore di essere ucciso dai sicari che avevano assassinato suo nonno e che lo accusavano di aver ucciso un uomo nel (OMISSIS), nonostante egli fosse stato scagionato da detta accusa, dopo aver scontato due anni in carcere. La Corte territoriale ha ritenuto non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto riguardo anche alla situazione generale della Nigeria e dell’Edo State, descritta con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi sono così rubricati: “1. Violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,4,5,6,7, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, nonchè omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione, nonchè violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione e minacce subite ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”; “2. Violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni della richiedente fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Omesso esame di fatti decisivi; Violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU. Violazione dei parametri normativi per la definizione di un danno grave; violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed all’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32”; “3. Violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità; omesso esame di fatti decisivi circa della sussistenza dei requisiti di quest’ultima Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 7, 14, 16, 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10,32; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; art. 10, Cost.. Omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione ai presupposti della protezione umanitaria; mancanza o quantomeno apparenza della motivazione e nullità della decisione per violazione di varie disposizioni – artt. 112,132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6”. Con i primi due motivi il ricorrente censura il giudizio di non credibilità espresso dalla Corte territoriale in ordine alla sua vicenda personale, rilevando che la credibilità non era intaccata dal fatto che si trattava di eventi risalenti nel tempo, dato che prima era fuggito a (OMISSIS) e poi era stato trattenuto in carcere per due anni, così trovando spiegazione i sette anni trascorsi prima delle minacce di morte ricevute dal vendicatore dell’uomo della cui uccisione era stato accusato. Lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato le minacce rivolte alla sua famiglia, anche in presenza di sua sorella di soli 8 anni, e le ragioni della sua fuga, nell’impossibilità di ricevere protezione dallo Stato, essendo il vendicatore un uomo potente e con la possibilità di corrompere la polizia. Si duole, inoltre, della omessa considerazione della grave situazione della Nigeria, ove è perpetrata una costante violazione dei diritti umani. Deduce che in base alla Convenzione di Ginevra per il riconoscimento dello status di rifugiato si richiede solo una situazione psicologica di fondato timore di persecuzione. In ordine al diniego della protezione sussidiaria, deduce che in caso di rimpatrio corre il rischio di subire la pena di morte, dato che i processi sono sommari e indiziari. Lamenta la violazione del dovere di cooperazione ufficiosa, con ampi richiami alla normativa di riferimento, nonchè alla giurisprudenza di merito, di legittimità e comunitaria, e del principio dell’onere probatorio attenuato, nonchè si duole del mancato svolgimento, da parte della Corte territoriale, di un ruolo attivo nell’istruttoria. Con il terzo motivo si duole del diniego della protezione umanitaria e deduce che la Corte territoriale non ha effettuato alcuna comparazione tra le sue condizioni di vita in Italia, di tranquillità emotiva, di lavoro e di famiglia, dato che vive in Italia con la propria moglie, e quelle in cui si troverebbe in caso di rimpatrio, in base ai principi affermati da questa Corte con la pronuncia n. 4455/2018.

2. I primi due motivi, concernenti il diniego del rifugio e della protezione sussidiaria, sono inammissibili.

2.1. Il giudizio di non credibilità è stato espresso con motivazione adeguata (cfr. pag. n. 4 sentenza – Cass. S.U. 8053/2014), le doglianze sono inammissibilmente dirette ad una rivalutazione del merito. Allega, peraltro, lo stesso ricorrente, in conformità a quanto risulta anche dalla sentenza, di essere stato prosciolto per non aver commesso il fatto dall’accusa di omicidio (pag. n. 5 ricorso), sicchè non è dato rinvenire alcuna giustificazione circa il paventato rischio di subire la pena di morte in caso di rimpatrio. Se la vicenda personale addotta a cagione della fuga è inattendibile, come, nella specie, ha ritenuto la Corte di merito, non c’è dovere di cooperazione istruttoria, ai fini del riconoscimento del rifugio e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (tra le tante Cass. n. 16925/2018 e Cass. n. 14283/2019). Circa il diniego della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c) citato, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018). Nel caso di specie il Giudice territoriale, con motivazione adeguata ed indicando le fonti di conoscenza (pag. n. 5 della sentenza impugnata), ha analizzato la situazione politica del Paese ed ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente.

3. E’ inammissibile anche il terzo motivo.

3.1. Con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

3.2. Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge e motivazionale, richiama la normativa di riferimento e sentenze di merito e di legittimità, nonchè allega di essere soggetto vulnerabile in relazione alle vicende personali su cui i giudici di merito hanno statuito la non credibilità, non deduce di avere allegato nei giudizi di merito fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso indicato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019). Della sua convivenza con la moglie in Italia, deduzione così allegata senza altre specificazioni, non v’è menzione nella sentenza impugnata, e il ricorrente non indica quando, come e dove ha effettuato nei giudizi di merito quell’allegazione.

La Corte territoriale ha ritenuto, con accertamento di fatto incensurabile perchè adeguatamente motivato, che il ricorrente non avesse avviato un reale percorso di integrazione, in quanto, sebbene in Italia dal 2015, aveva documentato un unico rapporto di lavoro formalizzato appena prima l’udienza di comparizione avanti alla Corte d’appello. In assenza della dimostrazione dell’integrazione in Italia, non è dato procedersi alla valutazione comparativa, mancando, per l’appunto, il parametro di riferimento della situazione, che deve connotarsi come qualificata, del richiedente nel territorio italiano. Infine, la situazione del Paese di origine, in termini generali ed astratti, è di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).

4. Nulla va disposto per le spese, dato che il Ministero è rimasto intimato.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2021

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