Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 553 del 14/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 14/01/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 14/01/2021), n.553

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12154/2018 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI

73 SC. B INT. 2, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO AUGUSTO,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CAVOUR 55 S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ELIO VULPIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 395/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 15/02/2018 R.G.N. 2227/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato VINCENZO AUGUSTO;

udito l’Avvocato CLAUDIO LUCISANO per delega verbale Avvocato ELIO

VULPIS.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 15 febbraio 2018, la Corte d’Appello di Bari, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Bari, rigettava la domanda proposta da C.M. nei confronti della Cavour 55 S.r.l. in amministrazione giudiziaria, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimato alla C. per essersi resa responsabile di aver proferito frasi offensive e minacciose nei confronti dell’amministratore giudiziario della Società.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto che la relazione sui fatti redatta dall’amministratore giudiziario, provenendo da pubblico ufficiale fa piena prova di quanto avvenuto in presenza del medesimo, restando irrilevante l’assenza di terzietà rispetto alla Società rappresentata e dunque provata per questa via, come sulla base dell’espletata prova testimoniale, la mancanza addebitata e la sua gravità e proporzionata la sanzione irrogata.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la C., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la Cavour 55 S.r.l. in liquidazione.

Il Pubblico Ministero faceva pervenire la sua requisitoria, ivi concludendo per il rigetto del ricorso

Entrambe le parti hanno poi presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 35 e 36 e art. 116 c.p.c., lamenta la non conformità a diritto della qualificazione operata dalla Corte territoriale della relazione sui fatti redatta dall’amministratore giudiziario come facente fede privilegiata, dovendosi escludere, in relazione alle funzioni espletate nella specie dall’amministratore giudiziario, la qualifica di pubblico ufficiale e, conseguentemente la rilevanza probatoria degli atti relativi.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., la ricorrente ribadisce la censura relativa alla riconosciuta rilevanza probatoria della relazione redatta dall’amministratore giudiziario, contestandola sotto il profilo oggettivo, essendo stata attribuita fede privilegiata alle dichiarazioni delle parti come le manifestazioni di scienza e di opinione.

Nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2700 c.c., è prospettata in relazione alla contraddittorietà del contenuto della relazione dell’amministratore giudiziario con riguardo a parti della stessa facenti entrambe fede privilegiata.

Con il quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., la ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale l’aver dato rilievo alla prova testimoniale, nonostante l’abbia qualificata ultronea rispetto all’atto qualificato come facente fede privilegiata.

Con il quinto motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per non aver la Corte territoriale motivato il convincimento desunto dalla valutazione della prova.

Il sesto motivo è inteso a denunciare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riferimento all’aver la Corte territoriale ritenuto l’attendibilità di dichiarazioni testimoniali nonostante l’essere le stesse contrastanti con quelle rese dallo stesso teste nel verbale redatto dall’amministratore giudiziario.

Il medesimo vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è dedotto nel settimo motivo in relazione all’aver la Corte territoriale limitato la propria valutazione alla condotta addebitata in sè senza relazione alcuna alle ragioni ed, in particolare, all’illegittimo provvedimento datoriale di collocamento forzoso in ferie che la stessa avevano determinato.

Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per non essere motivata con riferimento alla valenza esimente del comportamento inadempiente dell’amministratore giudiziario, profilo illegittimamente trascurato.

A riguardo è a dirsi come, al di là della sua articolazione su descritti otto motivi, l’impugnazione possa essere globalmente valutata e ritenuta inammissibile in quanto inidonea a contrastare efficacemente la ratio decidendi della pronunzia resa dalla Corte territoriale, per essersi questa espressa nel senso della legittimità del recesso intimato alla ricorrente, non in considerazione della peculiare efficacia probatoria riconosciuta alle dichiarazioni del soggetto che quell’atto aveva posto in essere, a motivo della fede privilegiata che stante il ruolo di amministratore giudiziario da quel soggetto rivestito, sarebbe stata riconosciuta alle predette dichiarazioni con riguardo ad atti viceversa compiuti quale mero datore di lavoro, bensì sulla base del rilievo, qui non fatto oggetto di specifica impugnazione, per cui “anche gli esiti dell’istruttoria orale confermano l’episodio nei suoi contenuti essenziali e, comunque, in tutta la sua gravità”, rilievo che riflette quanto emerge dalla sentenza impugnata in ordine all’accertamento, sulla base di un puntuale e logicamente inappuntabile analisi della prova testimoniale, dei fatti nella loro materialità ed alla valutazione della loro rilevanza, da ritenersi ampia e corretta anche sotto il profilo della comparazione tra la valenza del comportamento inadempiente addebitabile alla lavoratrice ricorrente, ragionevolmente apprezzata in termini di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, ed efficacia esimente dell’illegittimità in cui sarebbe incorsa la Società datrice nella persona dell’amministratore giudiziario, che altrettanto ragionevolmente è stata ritenuta tale da non legittimare la spropositata reazione verbale cui si è lasciata andare la ricorrente.

Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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