Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 553 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 11/01/2017, (ud. 10/11/2016, dep.11/01/2017),  n. 553

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7190/2016 proposto da:

A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO

VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato FABIO ANTONIO CUTRUPI,

che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 1527/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 30/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Fabio Antonio Cutrupi per il ricorrente.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Perugia in data 15 maggio 2015, il ricorrente chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per l’irragionevole durata del procedimento penale, nel quale aveva assunto la qualità di imputato e che si era protratto dal 15 marzo 1999, allorchè era stato tratto in arresto in esecuzione di una misura cautelare, sino alla data del 15 novembre 2014, quando era divenuta irrevocabile la sentenza del Tribunale di Roma.

Poichè il procedimento aveva avuto una durata complessiva di anni tredici e mesi otto, al netto dei rinvii dettati da astensione del difensore, aveva maturato il diritto alla liquidazione dell’equo indennizzo ai sensi della L. n. 89 del 2001, per una durata di anni 10 e mesi otto.

Con decreto del 20/5/2015 il Consigliere delegato della Corte d’Appello di Perugia accoglieva il ricorso, ritenendo che la durata del processo andasse determinata in anni 8, mesi 6 e giorni 25, occorrendo avere riguardo per l’individuazione del dies a quo alla data della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Avverso tale provvedimento proponeva opposizione l’ A., assumendo l’erroneità della decisione nella parte in cui aveva escluso dal computo della durata del processo il lasso temporale anteriore alla conclusione delle indagini preliminari, mentre l’Avvocatura dello Stato, in via incidentale, lamentava il mancato rilievo dell’inammissibilità della richiesta per effetto della mancata presentazione dell’istanza di accelerazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, lett. e).

La Corte di Appello in composizione collegiale, con decreto del 30/09/2015, revocava il decreto opposto, in quanto, pur avendo condiviso la doglianza dell’ A. circa l’erronea esclusione dal computo della durata del processo del periodo che aveva preceduto la conclusione delle indagini preliminari, alla luce di quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 184/2015, riteneva che la domanda fosse inammissibile in quanto in atto non risultava il deposito dell’istanza di accelerazione nei trenta giorni successivi al superamento dei termini di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, ritenendo la norma applicabile anche ai processi in corso.

Per la cassazione di questo decreto il ricorrente ha proposto ricorso affidato ad un solo motivo.

L’intimato Ministero non ha svolto attività difensiva.

Con un solo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2012, art. 2, comma 2 quinquies, lett. e), così come introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012.

Si sostiene che in realtà alla data di entrata in vigore della novella, il termine di durata ragionevole del processo era stato abbondantemente suprato, e che la maturazione del triennio era avvenuta in data 14/4/2002, allorquando il processo non era nemmeno iniziato, non apparendo quindi nemmeno ipotizzabile la presentazione dell’istanza di accelerazione.

Rileva tuttavia il Collegio che il ricorrente non ha versato in atti anche l’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell’art. 149 c.p.c., nel caso di specie avvalendosi delle previsioni di cui alla L. n. 53 del 1994.

E’ pur vero che l’avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 c.p.c., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal comma 1 della citata disposizione, ovvero fino all’adunanza della corte in Camera di consiglio di cui all’art. 380-bis c.p.c., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2. Tuttavia, in caso di mancata produzione dell’avviso di ricevimento, ed in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato, il ricorso per cassazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (così Cass. S.U. n. 627/2008; Cass. n. 26108/2015; Cass. n. 13923/2011).

Nella fattispecie non si rinviene in atti l’avviso attestante la notifica del ricorso alla controparte, che non ha svolto attività difensive in questa sede, sicchè il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla a provvedere sulle spese in assenza di attività difensiva dell’intimato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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