Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5529 del 26/02/2019

Cassazione civile sez. VI, 26/02/2019, (ud. 08/11/2018, dep. 26/02/2019), n.5529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17768-2017 proposto da:

V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PREMUDA 2,

presso lo studio dell’avvocato SERGIO BARATTA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LEANDRO BOMBARDIERI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ORIOLO ROMANO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GAVINANA 1, presso lo studio

dell’avvocato EUGENIO VILLA, rappresentata e difesa dall’avvocato

IVANA MANNI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9797/12/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA, depositata il 30/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/11/2018 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO LUCIO.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte:

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 9797/12/2016, depositata il 30 dicembre 2016, non notificata, la CTR del Lazio rigettò l’appello proposto dal sig. V.A. nei confronti del Comune di Oriolo Romano avverso la sentenza della CTP di Viterbo, che aveva a sua volta rigettato il ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento ai fini ICI per l’anno 2011, ritenendo insussistente l’invocata esenzione d’imposta quale abitazione principale in relazione all’immobile cui era riferito l’accertamento.

Avverso la sentenza della CTR il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui l’ente impositore resiste con controricorso.

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. 27 maggio 2008, n. 93, art. 1, convertito nella L. 24 luglio 2008, n. 126, (quale applicabile ratione temporis) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata, pur a fronte della prova offerta dal contribuente dei requisiti di legge per usufruire dell’esenzione dall’ICI, essendo l’unità immobiliare oggetto di accertamento concessa in uso gratuito al coniuge, che vi abitava con i due figli minori, aveva fondato la decisione confermativa della pronuncia di primo grado unicamente sul rilievo formale dell’omessa comunicazione all’ente comprovante la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per il godimento dell’esenzione, secondo quanto stabilito dagli artt. 4 e 5 del regolamento comunale approvato con Delib. del consiglio comunale 2 aprile 2011, n. 16, confermativa della delibera dell’anno precedente.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare sulle eccezioni formulate riguardo all’asserita violazione da parte dell’ente impositore delle norme dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000).

3. Con il terzo motivo, che si pone anche in chiave di specificazione dell’ambito del motivo precedente, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 6 e 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non avendo la sentenza impugnata rilevato che l’atto impositivo, giustificato da un’omissione di carattere formale da parte del contribuente relativamente ad elementi già noti all’ente locale, si poneva in aperta violazione del principio di collaborazione e buona fede a cui devono essere improntati i rapporti tra contribuente e fisco.

4. Infine, con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e dell’art. 23 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nella parte in cui la sentenza impugnata, senza rilevare che la norma regolamentare non poteva porre a carico del contribuente un onere ulteriore rispetto ai requisiti per beneficiare dell’esenzione stabiliti dalla norma primaria, non ha provveduto alla disapplicazione della norma regolamentare illegittima secondo quanto prescritto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5.

5. Il primo motivo è inammissibile. Esso reitera, in sostanza, l’analogo motivo di gravame avverso la sentenza di primo grado (indicato come n. 5 nella parte del ricorso per cassazione relativa all’esposizione dei fatti di causa), lamentando il contribuente che il giudice tributario di appello, a prescindere dall’omissione di natura formale della relativa comunicazione, sulla quale si sofferma negli altri motivi di impugnazione, avrebbe dovuto riconoscere l’esenzione, avendo comprovato il contribuente la concessione dell’immobile in comodato gratuito al coniuge presso il quale vivevano i due figli minori della coppia, emergendo, sulla base delle risultanze anagrafiche, che l’immobile era destinato a loro casa di abitazione.

5.1. Sennonchè è dato rilevare dalla stessa esposizione del ricorso del contribuente che il motivo di appello aveva colto una soltanto delle due rationes decidendi nelle quali si era articolata la pur succinta, ma chiara motivazione della decisione di primo grado, riportata dal contribuente a pag. 7 del ricorso per cassazione.

5.2. Anche a prescindere dal rilievo che, secondo quanto statuito dalla CTP sarebbe stato prodotto nel giudizio di primo grado la sola certificazione anagrafica relativa alla residenza dei minori, la decisione di primo grado impugnata con il ricorso in appello, nella parte in cui ha statuito che “non potendo sostenersi che due minori di cinque ed undici anni possano vivere da soli, non è stata raggiunta la prova del diritto all’esenzione richiesta”, ha sostanzialmente escluso la sussistenza dei requisiti richiesti dalla norma primaria per l’esenzione, non essendo configurabile un rapporto di comodato gratuito unicamente tra il genitore ed i figli minori, e – tenuto conto della natura di stretta interpretazione delle norme tributarie agevolative (cfr. tra le molte, in tema di ICI, Cass. sez. 6-5, 13 giugno 2018, n. 15560; Cass. sez. 6-5, ord. 11 ottobre 2017, n. 23833) – non essendo il coniuge del ricorrente annoverabile, in relazione al disposto dell’art. 74 c.c., tra “i parenti in linea retta fino al secondo grado”.

5.3. Detta autonoma ratio decidendi non è stata oggetto di specifica censura con il ricorso in appello, per cui sulla questione deve intendersi formato il giudicato interno (cfr. Cass. sez. unite 2013, n. 7931 e, tra le altre successive conformi, Cass. sez. lav. 4 marzo 2016, n. 4293), ciò rendendo inammissibile il motivo di ricorso per cassazione in esame.

6. Alla stregua delle osservazioni che precedono, restano assorbiti gli ulteriori motivi.

7. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, a ciò conseguendo la condanna del ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 510,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13 comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2019

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