Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5529 del 10/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 5529 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA

immobiliare —
Risoluzione
consensuale

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 2330/08) proposto da:
EDILSICILIA s.n.c. (ora Impresa Individuale Saladdino Antonio), in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del
ricorso, dagli Avv.ti Ezio e Mario Crespi del foro di Busto Arsizio e dall’Avv.to Francesco Crisci del
foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via degli
Scipioni n. 8;
– ricorrente contro
X. GIUSEPPE e PIBIRI LAURA, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Francesco Vincenzi e
Martino Marasciulo del foro di Varese e dall’Avv.to Antonio Funari del foro di Roma, in virtù di

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Data pubblicazione: 10/03/2014

procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo
studio di quest’ultimo in Roma, piazza Acilia n. 4;
– controricorrenti avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2622 depositata il 4 ottobre 2007.

Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito l’Avv.to Antonio Funari, per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carmelo
Sgroi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 16 luglio 1993 Giuseppe X. e Laura PIBIRI ottenevano dal Presidente del
Tribunale di Varese decreto ingiuntivo nei confronti della EDILSICILIA s.n.c. per compledke £.
38.000.500, oltre interessi, sulla base di scrittura privata del 29.7.1992, denominata “mandato
unico di vendita” con il quale, avendo raggiunto con la società ingiunta accordo risolutivo del
preliminare di vendita del 25.2.1991, relativo ad immobile sito in Daverio, avevano autorizzato la
società alla vendita del bene a terzi per il prezzo di £. 100.000.000, con versamento a loro di £.
88.500.000, di cui però solo £. 50.000.000 erano state corrisposte.
Con atto di citazione notificato il 24 settembre 1993 l’ingiunta società proponeva opposizione
avverso il d.i. eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione e l’incompetenza territoriale
del Tribunale adito, nel merito, contestando di dovere la maggiore somma, per cui chiedeva la
revoca dell’ingiunzione e comunque chiedeva venisse compensata con il suo credito dovuto al
risarcimento dei danni, preteso con domanda riconvenzionale, per intervenuto recesso dal
contratto preliminare.

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Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19 novembre 2013 dal

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza degli opposti, il giudice adito, concessa la provvisoria
esecuzione del provvedimento monitorio, espletata prova testimoniale, accoglieva l’opposizione e
per l’effetto revocava il d.i., con rigetto della riconvenzionale.
In virtù di rituale appello interposto dai X.-PIBIRI, con il quale lamentavano che il giudice

fosse frutto di concorde volontà delle parti, la Corte di appello di Milano, nella resistenza della
società appellata (divenuta nelle more ditta individuale), accoglieva il gravame, con conseguente
rigetto dell’opposizione e riviviscenza del d.i., rigettata l’eccezione di incompetenza territoriale,
riproposta dalla appellata.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale premetteva che la sottoscrizione apposta
dal geom. Gilberto Torretta sulla scrittura in contestazione non comportava alcuna obbligazione a
carico della EDILSICILIA, essendo pacifico anche agli appellanti che lo stesso era un mero
dipendente della società, né a carico del Torretta, che con detta sottoscrizione si era limitato a
ricevere l’atto, in assenza del legale rappresentante della società. Tanto precisato, la corte di
merito evidenziava che dal tenore letterale della scrittura de qua, denominata mandato unico di
vendita, risultava conferito dagli appellanti un mandato alla vendita che implicitamente, ma
necessariamente, presupponeva la risoluzione consensuale del contratto preliminare di
compravendita intervenuto fra le parti, che era stata accettata dalla EDILSICILIA sia perché la
stessa lo aveva ammesso in corso di causa (v. pagg. 2 e 3 atto di citazione in opposizione) sia
perché vi aveva dato esecuzione, sia pure parziale, per quanto riguardava l’obbligazione
economica che a suo carico scaturiva. Aggiungeva che andava riconosciuto valore confessorio
all’affermazione contenuta nell’atto di citazione del 15.9.1993 laddove con l’espressione la parte
mandataria’, che pure costituiva un refuso essendo incontestato che si trattasse della parte
mandante, era previsto che la Edilsicilia dovesse rimborsare alla parte mandataria £. 88.500.000,
accordo che era stato ratificato dalla società con i successivi versamenti effettuati in favore di

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di prime cure non avesse ritenuto provato che la scrittura di mutua risoluzione del preliminare

X. e PIBIRI di £. 50.000.000 nel periodo 29.10.1992/26.1.1993, per cui la società andava
riconosciuta debitrice della residua somma richiesta in sede monitoria. Del resto nell’atto
introduttivo la Edilsicilia non aveva negato la sua esposizione, ma aveva sostenuto che ad ella
spettasse un risarcimento, indicato in £. 20.000.000, per recesso unilaterale dal contratto

non riproposta in appello.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso EDILSICILIA
s.n.c. (ora Impresa Individuale Saladdino Antonio), affidato a quattro motivi, al quale hanno
resistito i X.-PIBIRI con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1703,
1710, 1351, 1418, 1422 e 1346 c.c. per avere erroneamente la corte di merito qualificato come
‘mandato a vendere’ la scrittura privata del 29.7.1992, in primo luogo per non essere i resistenti
proprietari dell’appartamento sito nello stabile di via Fiume in Daverio avendo stipulato solo un
preliminare di vendita in data 25.3.1991; in secondo luogo, imprecisa la dizione ‘mandato unico di
vendita’, in quanto il mandato sarebbe stato conferito dal non proprietario al proprietario, per
essere il mandato nullo ex art. 1418 c.c. per contrarietà a norme imperative e/o in relazione all’art.
1346 c.c. per impossibilità, illiceità e indeterminatezza del suo oggetto. A conclusione del motivo
viene formulato il seguente quesito di diritto: “è possibile nonché giuridicamente e validamente
configurabile un mandato a vendere conferito al proprietario di un bene immobile da parte di un
promissario acquirente di tale immobile che abbia già rinunziato agli effetti meramente obbligatori
scaturenti dal precedente preliminare di vendita?”.
Con il secondo motivo viene dedotta omessa e/o insufficiente motivazione su fatto
decisivo dal momento che il presunto, anomalo contratto di mandato non sarebbe mai stato

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preliminare da parte dei promissari acquirenti, per cui aveva formulato domanda riconvenzionale,

eseguito e ciò nonostante si pretenderebbe una somma ipotizzando una responsabilità della
mandataria ex art. 1710 c.c. ritenendosi colposa la mancata vendita per £. 100.000.000 di un
appartamento che l’anno prima era stato valutato dalle medesime parti £. 70.500.000. Ai sensi
dell’art. 366 bis c.p.c. viene evidenziato come il fatto controverso sia la presunta ‘responsabilità’

motivazione, idonea cioè a giustificare la decisione assunta al riguardo dalla corte milanese.
Con il terzo motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1703, 1399 e
2730 c.c., oltre ad insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, per non essere
stato il ‘mandato’ sottoscritto da alcun legale rappresentante della Edilsicilia, per cui non si
sarebbe realizzata la fattispecie di cui all’art. 1703 c.c., che presuppone il concorso di volontà dei
due contraenti, non essendo pacificamente parte il Torretta, come ammesso dallo stesso giudice
del gravame, e l’uso della forma scritta, in considerazione dell’oggetto considerato.
E’, altresì, erroneo parlare di ‘ratifica’ da parte di Edilsicilia, come fanno i giudici milanesi, e ciò
per vari motivi: in primo luogo, perché non ricorre la figura del falsus procurator, tale non essendo
il Torretta; in secondo luogo, perché anche l’eventuale ratifica avrebbe dovuto avvenire ex art.
1399, comma 1, c.c. con l’osservanza delle forme prescritte per la conclusione del contratto.
Prosegue parte ricorrente che sotto il profilo motivazionale sarebbe evidente l’arbitrarietà ed
illogicità dell’asserzione secondo cui la prova della conclusione del mandato sarebbe costituita
anche dai versamenti effettuati in favore dei resistenti per £. 50.000.000.
A coronario del motivo vengono posti i seguenti quesiti di diritto: “può ritenersi integrata la figura
contrattuale del mandato a vendere un immobile laddove non ci sia un documento sottoscritto sia
dal mandante che dal mandatario? Può ammettersi una ratifica ex art. 1399 c.c. laddove viene
nel contempo escluso che ricorra un atto compiuto (per conto di un soggetto ‘rappresentato’) da
un soggetto che non si qualifica come ‘rappresentante’? Può ammettersi ex art. 1399, 10 comma

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della Edilsicilia (che presuppone una qualche ‘colpa’) e come manchi al riguardo una sufficiente

una ratifica ‘per facta concludentia’ di un contratto che per la sua validità richiede ad substantiam
la forma scritta?
A conclusione della denuncia di vizio motivazionale ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. viene
evidenziato come al riguardo la motivazione sia insufficiente (o addirittura omessa) in quanto non

supposta ‘esecuzione’ del ‘mandato’ (come detto, non giuridicamente configurabile per vari e
concorrenti motivi) piuttosto che agli effetti restitutori scaturenti dalla pacifica (riconosciuta dalla
Corte d’Appello) risoluzione consensuale del preliminare del 25.3.1991.
Con il quarto motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2730 c.c.,
nonché omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in quanto ad
avviso dei giudici milanesi il ‘mandato’ per cui è causa sarebbe stato oggetto di ‘confessione’ da
parte della Edilsicilia che aveva sottoscritto la ‘procura’ apposta all’atto di citazione in opposizione
a decreto ingiuntivo del 15.9.1993, senza tenere conto né della forma solenne necessaria per il
mandato a vendere immobili, oltre a non essere specificamente conosciuto dall’opponente il
contenuto dell’atto di opposizione. Come vizio motivazionale è dedotto il mancato esame da
parte del giudice del gravame di numerosi altri elementi di giudizio di segno contrario, elencati
con le lettere a-b-c-d-e-f-.
Al riguardo parte ricorrente formula i seguenti quesiti di diritto: “è ammissibile una confessione

riguardante un atto che esige la forma scritta ad substantiam (quale un mandato a vendere
immobili)? Possono ravvisarsi dichiarazioni confessorie (in senso stretto) della parte in un atto
difensivo sottoscritto dal legale, nel quale la firma della parte compare solo in calce alla procura
rilasciata a favore dell’avvocato?”.
I quattro motivi del ricorso – concernenti la qualificazione della scrittura privata del 29.7.1992, in
ordine alla esistenza o meno di un mandato a vendere – esprimono censure strettamente
connesse e, pertanto, ne è opportuno l’esame congiunto.

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vengono esposte le ragioni in forza delle quali i predetti versamenti siano da imputarsi ad una

Orbene, essi sono fondati soltanto nel senso e nei limiti delle considerazioni che seguono.
È senz’altro pacifico in causa, per stessa ammissione dell’odierna ricorrente, che il contratto inter
partes è stato oggetto di risoluzione per mutuo consenso, anteriormente al giudizio. È evidente,
pertanto, che deve trovare applicazione il principio di diritto – assolutamente incontrastato presso

risoluzione consensuale del contratto, il mutuo dissenso, realizzando per concorde volontà delle
parti la ritrattazione bilaterale del negozio, dà vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e
liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario; pertanto, dopo lo
scioglimento, le parti non possono invocare posizioni soggettive relative al contratto risolto
giacché ogni pretesa od eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solutorio e
non su quello estinto (in tema di risoluzione, cfr Cass. 30 agosto 2005 n. 17503).
In altri termini, lo scioglimento del contratto a seguito dell’esercizio legittimo della relativa facoltà
dei contraenti produce la caducazione delle obbligazioni scaturenti dal contratto risolto relative
alla prosecuzione del rapporto, anche se nessun effetto liberatorio esplica in ordine ad eventuali
aspetti di responsabilità per un corretto adempimento relativo a prestazioni già eseguite (Cass. 6
agosto 1997 n. 7270).
In altri termini, lo scioglimento del contratto elimina tutti quei diritti e quegli obblighi cui le parti
erano tenuti prima dell’esercizio della facoltà di sciogliersi dal contratto e che nella permanenza
del vincolo negoziale non hanno avuto esecuzione: essi difatti sono correlati comunque alla
realizzazione del risultato finale del contratto, per cui non rivestono una loro autonomia, che li fa
incidere “ex se” su specifici interessi (dei contraenti) diversi da quello cui tende lo scopo finale del
contratto.
A questa stregua, nella specie, il preteso obbligo a vendere l’immobile oggetto del preliminare
che si postula a carico della EDILSICILIA, stante l’esercizio della facoltà di sciogliere il contratto
esercitata dai contraenti con la scrittura privata del 29.7.1992 (qualificato quale mandato a

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una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte di legittimità – secondo cui in tema di

vendere), non poteva sorgere, non avendo i ricorrenti alcun diritto a disporre del bene medesimo,
caducato ogni legame con l’esercitato recesso dal preliminare.
Dunque la Corte del merito non ha fatto buon governo dei principi in relazione a quanto detto, per

dello stesso articolo.
Nel senso sopra esposto riceve cassazione la denunziata sentenza ed il giudice del rinvio, che
viene indicato in altre sezione della stessa Corte di Milano, dovrà valutare, alla luce dei principi
enunciati, le rispettive posizioni di dare ed avere delle parti conseguenti allo scioglimento del
vincolo negoziale. Allo stesso giudice viene riservata la pronuncia sulle spese del giudizio di
legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, la quale
provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 19 novembre 2013.

cui sussistono sia gli estremi del vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. sia quelli del vizio di cui al n. 5

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