Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5528 del 10/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 5528 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

Simulazione Prova
SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 7837/13) proposto da:
VICENTINI LIDIA e MORDENTI SILVANO, rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in
calce al ricorso, dall’Avv.to Benito Panariti del foro di Roma ed elettivamente domiciliati presso il
suo studio in Roma, via Celimontana n. 38;
– ricorrenti contro
NIEVE FLORA VICENTINI, rappresentata e difesa dall’Avv.to Angelo Cerchia del foro di Milano,
in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliata presso
lo studio dell’Avv.to Mario Chibbaro in Roma, via Giovanni Battista Vico n. 29;
– controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 3953 depositata il 5 dicembre 2012.

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Data pubblicazione: 10/03/2014

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19 novembre 2013 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti Alessandro Ardizzi (con delega dell’Avv.to Benito Panariti), per parte
ricorrente, e Angelo Cerchia, per parte resistente;

Sgroi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 26 giugno 2003 Flora NIEVE VICENTINI evocava, dinanzi al
Tribunale di Monza, la figlia, Lidia Rosa VICENTINI, ed il genero, Silvano MORDENTI, esponendo
che a seguito del decesso del proprio coniuge, Michele Carmignani, avvenuto il 14.11.1999, aveva
da questo ereditato una serie di immobili a lei attributi a seguito della divisione dei cespiti caduti in
successione intervenuta con la figlia di prime nozze del de cuius, Tiziana Carmignani; proseguiva
di essersi successivamente determinata ad alienare uno di tali immobili, in particolare
l’appartamento sito in Milano, via Tadino n. 48, e rivoltasi a tal fine ad un’agenzia immobiliare di
Milano, apprendeva di non essere più la piena ed esclusiva proprietaria degli immobili milanesi
ereditati dal marito giacchè il genero, nel frattempo nominato suo procuratore generale, senza
darle alcuna comunicazione, con atto del 24.6.2002, aveva venduto la nuda proprietà di detti
cespiti alla moglie, Lidia Rosa VICENTINI, dando atto di avere ricevuto, a titolo di corrispettivo,
l’importo di £. 143.000.000, somma irrisoria rispetto al valore dei cespiti e comunque mai versata;
tanto premesso, chiedeva in principalità, di accertare che tra i convenuti era intervenuto un
accordo simulatorio ai suoi danni, avendo gli stessi proceduto a stipulare fittiziamente un contratto
di compravendita, con l’intento di realizzare, per contro, l’alienazione della nuda proprietà a titolo
gratuito; in subordine, di annullare il predetto contratto per conflitto di interessi in quanto il
mandatario MORDENTI aveva agito ad esclusivo vantaggio della moglie Lidia, procurando un

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udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carmelo

danno alla mandante; in via di ulteriore subordine, di condannare l’avv.to Silvano MORDENTI a
versare il prezzo dichiarato nell’atto di vendita, oltre che, a titolo risarcitorio, la differenza tra tale
importo ed il valore di mercato della nuda proprietà degli immobili venduti.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali contestavano le allegazioni

accordi intercorsi tra madre e figlia e che del resto l’acquirente, in vista della successiva
attribuzione della nuda proprietà dei predetti immobili, già dall’ottobre 2001 aveva iniziato a
corrispondere all’attrice il relativo prezzo, mediante pagamenti in contanti eseguiti a più tranches,
come dimostrato da quietanza del 21.6.2002, rilasciata a tale titolo dalla madre in favore della figlia
per l’importo di €. 350.000,00, precisando che il pagamento con liquidi era stato richiesto dalla
stessa madre che dopo il decesso del marito aveva mutato completamente il proprio tenore di vita,
con notevole aumento delle uscite mensili, il giudice adito, prima disconosciuta dall’attrice la
conformità all’originale della quietanza prodotta dai convenuti e successivamente, in esito alla
produzione del documento in originale, riconosciuta come vera detta firma disconosceva tuttavia la
veridicità del contenuto, riservandosi di presentare querela di falso, che veniva effettivamente
proposta dopo l’espletamento delle attività ex art. 183, V comma, c.p.c. e respinte le istanze
istruttorie attoree, compiuti gli accertamenti ex art. 222 c.p.c., rimetteva il giudizio al Presidente per
la sua riassegnazione in ragione della competenza collegiale sulla querela. Assegnata la causa al
giudice designato per il giudizio incidentale di querela, il quale espletata l’attività ex ad. 223 c.p.c.
con istruttoria orale e c.t.u. grafica, oltre a c.t.u. volta ad accertare il valore della nuda proprietà
degli immobili oggetto dell’atto di vendita, tenuto conto dell’epoca della stipulazione del relativo
contratto, curando di rimetterla per la decisione al Collegio, che con sentenza n. 2515/07 del
3.9.2007 accertava e dichiarava la falsità dell’atto di quietanza del 21.6.2002; inoltre accertava che
il contratto di compravendita del 24.6.2002 atto notaio Paolo Mastrorilli di Milano, rep. n. 4179 racc.
1908, concluso tra Silvano Mordenti, quale procuratore di Flora NIEVE VICENTINI e Lidia Rosa

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attoree assumendo che l’atto di compravendita impugnato era stato concluso in attuazione degli

VICENTINI, trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Milano con nota del
16.7.2002, ai numeri 29838/47794, era simulato avendo i convenuti voluto concludere, in luogo
dello stesso, un contratto di donazione e ne dichiarava l’inefficacia nei confronti dell’attrice.
In virtù di rituale appello interposto dai coniugi MORDENTI-VICENTINI, con il quale insistevano per

c.t.u. e l’ammissione di mezzi istruttori, la Corte di appello di Milano, nella resistenza dell’appellata,
respingeva il gravame.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale osservava che la pronuncia sulla querela di
falso, proposta dall’appellata su documento essenziale ai fini della decisione, acquisita la
dichiarazione di parte convenuta – che Io aveva prodotto – di volersene avvalere, era basata su di
accurata e puntuale valutazione degli elementi istruttori acquisti al processo, in particolare dalle
risultanze della c.t.u., dalle deposizioni testimoniali e dai documenti prodotti. E una volta esperita in
senso favorevole alla NIEVE VICENTINI la verifica sulla falsità della quietanza di pagamento del
prezzo della compravendita in questione, non poteva non essere decisa in senso favorevole anche
la asserita simulazione del contratto medesimo, giacchè la compravendita senza versamento del
corrispettivo determinava la natura di liberalità dell’atto, di cui difettava la forma della donazione.
In particolare, la corte distrettuale condivideva l’accertamento del c.t.u. laddove aveva individuato
l’ordine di apposizione delle due scritture sul documento in contestazione tenendo conto delle
modificazioni nelle proprietà di emissione di fluorescenza dell’inchiostro della stampante, per cui la
presenza di un effetto di spegnimento del segnale di fluorescenza in corrispondenza delle regioni
di scritture interessate dalla sovrapposizione dei tratti era stata ritenuta prova del fatto che la
sottoscrizione prodotta mediante penna sfera era antecedente alla stampa del carattere mediante
stampante a getto d’inchiostro; l’ausiliare del giudice aveva, inoltre, chiarito — a seguito delle
critiche formulate dai convenuti – che il reale significato da attribuire allo ‘spegnimento’ era di
natura foto fisica.

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il rigetto della domanda attorea e della querela di falso, formulando istanza di rinnovazione della

Aggiungeva che la deposizione della teste Fella, segretaria presso lo studio dell’avv. Mordenti, la
quale aveva dichiarato di non avere mai visto la NIEVE VICENTINI sottoscrivere fogli in bianco e
che non era prassi dello studio fare firmare mandati in bianco da compilare successivamente, non
inficiava gli esiti della c.t.u. (che aveva accertato che “la sottoscrizione prodotta mediante penna

rispetto ad essa, anche in considerazione degli stretti rapporti di parentela fra le parti e di cura fra
le stesse di affari giudiziali e stragiudiziali. Né assumeva alcuna rilevanza l’accertamento del
soggetto che avrebbe effettuato il riempimento del foglio firmato in bianco, assumendo significato
ai fini del giudizio civile esclusivamente il dato della falsità del documento.
Del pari apparivano irrilevanti le altre deposizioni raccolte in quanto nessuno dei testi escussi
aveva dichiarato di avere personalmente assistito alla dazione delle somme in contanti alla NIEVE
VICENTINI da parte della figlia o del genero, come dagli stessi affermato.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano agiscono i coniugi MORDENTIVICENTINI, affidato il ricorso ad un unico articolato motivo, al quale ha replicato la NIEVE
VICENTINI con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico articolato motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 1537,
1415 e 1417 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente a più
fatti controversi e decisivi per il giudizio, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. con riferimento
all’art. 2697 (per mero errore materiale indicato quale 2967) c.c..
Ad avviso dei ricorrenti il giudice distrettuale avrebbe negato validità alla compravendita
intervenuta con scrittura privata del 24.6.2002, autenticata dal notaio Mastrorilli, per non essere
stata fornita alcuna prova del pagamento del prezzo, concludendo per la simulazione dello
stesso, mentre nella specie non è rinvenibile alcuna ipotesi di apparenza contrattuale, non

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sfera è antecedente alla stampa del carattere stampante a getto d’inchiostro”), essendo irrilevante

essendovi alcuna divergenza tra quanto dichiarato e quanto voluto dalle parti, ossia Lidia
VICENTINI, quale acquirente della nuda proprietà, e l’avv. Silvano MORDENTI quale parte
venditrice in nome e per conto di Flora NIEVE VICENTINI. Né sussiste un’intesa precedente e
coeva alla dichiarazione negoziale volta a stipulare un negozio diverso, come emergerebbe prima

dichiara di avere ricevuto l’importo di €. 350.000,00 per la compravendita della nuda proprietà
degli immobili ivi indicati, per cui nessuna gratuità sarebbe rinvenibile nella fattispecie in esame.
Proseguono i ricorrenti che non vi sarebbe neanche alcun intento ‘fraudolento’, che gli stessi
avrebbero meglio realizzato attribuendo alla figlia Lidia VICENTINI l’intera proprietà dei beni. Del
resto già nel 1998, per appartamento sito In Sesto San Giovanni, via Alfieri, e nel 2000, per
appartamento sito in Sesto San Giovanni, via Matteotti, erano stati stipulati fra madre e figlia atti
con cui la prima conservava il diritto di usufrutto e la seconda la nuda proprietà dei beni. Ad
avviso dei ricorrenti non vi sarebbe in atti la prova che la NIEVE VICENTINI abbia consegnato ai
ricorrenti fogli scritti in bianco, né che gli stessi abbiano effettuato opera di riempimento, sicchè
anche a ritenere posteriore la redazione del contenuto della quietanza del 21.6.2004 rispetto alla
sua sottoscrizione, tale mero utilizzo di bianco segno non poteva di per sé essere utilizzato a
sostegno della testi dell’abusivo riempimento. Al riguardo osservano che non è stata
adeguatamente esaminata dalla corte di merito il breve arco di tempo intercorso fra la data di
stipula del contratto di vendita e quella di rilascio della quietanza in contestazione.
Si dolgono i ricorrenti che la dimostrazione offerta circa l’effettivo percepimento del prezzo della
vendita avrebbe dovuto indurre la corte di merito ad apprezzare il contenuto della quietanza che
correttamente rappresenta l’intervenuta estinzione dell’obbligazione.
Con ulteriore profilo i ricorrenti denunciano la mancata ammissione di mezzi istruttori, che si
tradurrebbe in vizio di motivazione per insufficiente esame di punti decisivi della controversia.
Proseguono i ricorrenti nell’affermare la contraddittorietà e la erroneità della motivazione per

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facie dalla dichiarazione rilasciata proprio dall’attrice in data 21.6.2002, con la quale la stessa

avere la corte di merito ritenuto la falsità del documento contenente la quietanza e sulla scorta di
tale asserzione, dichiarato la natura simulata della vendita. Gli elementi fondanti le
argomentazioni dei giudici di appello sarebbero stati ricavati dalla consulenza, senza tenere in

acquisita alcuna certezza, scientificamente supportabile, che nel caso in esame si sia in
presenza di un bianco segno. In particolare, i ricorrenti denunciano il carattere non scientifico del
procedimento osservato dal prof. Bottiroli per essersi lo stesso limitato a creare un unico modello
di riferimento.
Infine i ricorrenti, lamentano l’erroneità delle motivazioni in ordine alla attendibilità dei testi
escussi in primo grado.
Precede l’esame delle censure formulate dai ricorrenti l’analisi del dato normativo relativo
al regime processuale applicabile quanto al vizio di motivazione, trattandosi di ricorso proposto
avverso sentenza depositata il 5 dicembre 2012, per cui rientrante nella disciplina transitoria
prevista dal terzo comma dell’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012.
Com’è noto, la disposizione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. è stata oggetto di modifiche
plurime dal testo del 1940, essendo stata la versione originaria riformulata nel 1950 e nel 2006,
fino al recente testo del 2012, intervenute le due ultime innovazioni con finalità sicuramente
delimitativa, essendo ribadita in entrambe l’intrinseca attinenza del vizio logico alla motivazione in
facto, così recependo il self-restrait della Corte che con le sue pronunce, già nel corso degli anni
’90, ha costruito il vizio di motivazione quale controllo sulla decisione in fatto della sentenza di
merito strettamente funzionale alla tutela del valore costituzionale della motivazione e
all’esercizio della funzione nomofilattica ( cfr già Cass. 22 marzo 1993 n. 3356; Cass. 25 maggio
1995 n. 5742; Cass. 17 giugno 1995 n. 6863; Cass. 21 agosto 1996 n. 7692; Cass. 15 giugno
1999 n. 5945, in cui è comparso, nelle “massime” ufficiali, il riferimento al c.d. principio di

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alcun conto le prove assunte. D’altro canto — ad avviso dei ricorrenti — non sarebbe stata

autosufficienza del ricorso per cassazione, poi definitivamente stigmatizzata la relazione fra
nomofilachia e motivazione in Cass. 21 marzo 2007 n. 6703).
L’art. 54, primo comma, lett. b, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n.
134, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese» (c.d. decreto sviluppo), ha proceduto

circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», che riporta la
norma sul vizio di motivazione, quasi letteralmente, al testo originario del codice di rito del 1940:
scompare ogni riferimento letterale alla motivazione della sentenza impugnata e, accanto al vizio
di omissione, non sono più menzionati i vizi di insufficienza e di contraddittorietà.
Oltre che riformulata in termini restrittivi, la fattispecie conosce due ipotesi di esclusione, definite,
rispettivamente, dal quarto e dal quinto comma dell’art. 348-ter c.p.c., introdotto dall’ad. 54, primo
comma, lett. a), del dl. n. 83 del 2012, ipotesi accomunabili nel riferimento alla minore
impugnabilità della c.d. doppia conforme.
Un’ipotesi riguarda il caso in cui il giudice di appello abbia dichiarato inammissibile
l’impugnazione perché sprovvista di «una ragionevole probabilità di essere accolta», nel qual
caso, «quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto,
poste a base della decisione impugnata», il ricorso per cassazione — proponibile per saltum
avverso la sentenza di primo grado — «può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai
numeri 1, 2, 3 e 4 del primo comma dell’articolo 360».
L’altra ipotesi deriva dall’estensione di questa disposizione «al ricorso per cassazione avverso la
sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado». Ai sensi del secondo comma
dell’ad. 54 del dl. n. 83 del 2012, le regole sulla doppia conforme si applicano «ai giudizi di
appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione
dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto» (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012). Ai sensi

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all’ulteriore riformulazione del n. 5 dell’ad. 360 c.p.c., facendo riferimento all’«omesso esame

del terzo comma dell’art. 54 del dl. n. 83 del 2012, la riformulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. si
applica «alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto» (id est, alle sentenze pubblicate dal giorno 11

Un’ipotesi si innesta sul meccanismo, di nuova istituzione, del “filtro” in appello, che determina
l’inammissibilità dell’impugnazione quando essa «non ha una ragionevole probabilità di essere
accolta» (art. 348-bis); orbene, l’art. 348-ter, dopo aver stabilito che l’inammissibilità è dichiarata
«con ordinanza succintamente motivata», recante pronuncia sulle spese (primo comma), e che,
«quando è pronunciata l’inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere
proposto, a norma dell’articolo 360, ricorso per cassazione» (terzo comma), dispone, al quarto
comma, che, «quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di
fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma
precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 4 del primo
comma dell’articolo 360», sicché il ricorso per saltum non può dedurre il vizio di cui al n. 5.
L’altra ipotesi è definita dal quinto comma dell’art. 348-ter «la disposizione di cui al quarto
comma si applica … anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma
la decisione di primo grado». Il rinvio alla «disposizione di cui al quarto comma» indica che,
anche nell’ipotesi del quinto comma, rileva unicamente la doppia conforme in facto («fondata
sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata»), e
non la doppia conforme in iure.
Quindi, entro tale perimetro, la deducibilità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 è esclusa non
soltanto nell’ipotesi di doppia conforme “a cognizione piena” (sentenza di rigetto dell’appello di
verificata infondatezza), ma anche nell’ipotesi di doppia conforme “a cognizione sommaria”
(ordinanza di inammissibilità dell’appello “a prognosi infausta”), equiparazione che a molti
sembra incostituzionale per irragionevolezza.

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settembre 2012).

Nella specie la decisione della corte di merito, nel confermare integralmente la sentenza del
Tribunale, ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure, pronuncia del
giudice di appello adottata in esito alla trattazione completa del giudizio di impugnazione.
Per completezza, occorre aggiungere che per dichiarare inammissibile il motivo di ricorso,

quello di primo grado costituisca il fondamento della sentenza di rigetto dell’appello. Infatti pur
non essendo il dato positivo specifico sul punto, dal complessivo impianto normativo si deduce
che la previsione normativa non può che ricorrere solo quando la «conferma» concerne sia il
dispositivo sia la ricostruzione del fatto; se invece il giudice di secondo grado ricostruisce il fatto
in modo differente da quello formulato in primo grado, pur non mutando il dispositivo, la
limitazione non può operare.
Da quanto sopra esposto emerge che nel caso in esame ricorre l’ipotesi ispirata al principio
canonistico della doppia conforme (in ore duorum stat omne verbum) prevista dal quinto comma
dell’art. 348-ter, per cui non parrebbero porsi dubbi di legittimità costituzionale, ampiamente
prospettati in letteratura per l’altra fattispecie di filtro, anche se non mancano critiche
metodologiche per quella che viene definita globalmente “la piccola riforma”.
Orbene per superare l’ostacolo, parte ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che il provvedimento
impugnato non si fonda sulle stesse ragioni di fatto poste a base della decisione appellata. In altri
termini, grava su detta parte l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a fondamento della
decisione di primo grado, quelle poste a fondamento della sentenza di rigetto del gravame e
dimostrarne la diversità. Di converso, i ricorrenti oltre a non avere dedotto la diversità della
questio facti a fondamento delle decisioni di merito, hanno anzi affermato che il primo errore è
stato ripercorrere “lo stesso iter logico argomentativo del Tribunale di Monza” (pag. 13 del
ricorso).

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fondato sull’art. 360, n. 5, c.p.c. occorre che l’adesione del giudice di appello al giudizio di fatto di

Ne consegue che il profilo dell’unico motivo di ricorso con il quale alla sentenza impugnata è
addebitato il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione è
inammissibile, poiché, nel regime processuale applicabile alla fattispecie, tale forma di censura

insufficiente o contraddittoria motivazione — per quanto sopra esposto — la più ristretta formula
concernente l’omesso esame del fatto, per cui la denuncia relativa al vizio di motivazione, pur
convertita in una denuncia di omesso esame del fatto, viene a dover essere scrutinata in base a
detto nuovo parametro.
Passando all’esame delle censure con le quali vengono dedotte plurime violazioni di
legge, in particolare degli artt. 1537, 1415, 1417 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in
relazione all’art. 2697 c.c., trattandosi di critiche strettamente connesse per la innegabile
continuità argomentative delle stesse, possono esaminarsi congiuntamente.
Esse sono infondate.
Qui è appena il caso di accennare che le doglianze sollevate con il ricorso, nella prima parte,
sono costruite intorno alla circostanza che vi sia stato il pagamento del prezzo di acquisto della
nuda proprietà, senza tenere conto del procedimento seguito in ordine alla prova e al valore di
presunzioni degli elementi posti a base della decisione con riferimento all’accertamento compiuto
dalla sentenza in ordine proprio alla mancata corresponsione del prezzo della compravendita, da
cui i giudici hanno poi tratto la conseguenza del carattere simulato della quietanza di pagamento
rilasciata dal procuratore e della nullità della compravendita, in quanto priva di causa.
La sentenza impugnata, facendo corretta applicazione dei principi dettati in materia di
presunzioni, ha accertato i fatti (ignoti) posti a fondamento della domanda di nullità del contratto il carattere simulato della dichiarazione di quietanza e la mancata corresponsione di alcun prezzo
della compravendita – attraverso l’analisi motivata e complessiva di una serie di elementi
obiettivamente accertati, avendone verificato la gravità, la precisione e la concordanza. In

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non è consentita, posto che la novella del 2012 ha ‘sostituito’ alla formula incentrata sull’omessa,

particolare, i giudici hanno ritenuto simulata la quietanza di pagamento del prezzo rilasciata dal
MORDENTI sul rilievo che nessun pagamento del prezzo era stato mai effettuato.
Occorre innanzitutto ritenere corretto il ricorso della prova presuntiva atteso che il mandante, non

della quietanza, relativa all’avvenuto pagamento del prezzo, in relazione ad una vendita, posta in
essere dal suo mandatario con rappresentanza, à da considerarsi “terzo”: pertanto egli può
fornire la prova della simulazione “senza limiti”, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1417,
2722 e 2727 c.c., e, quindi, sia a mezzo di testimoni, sia a mezzo di presunzioni, dovendosi
inoltre escludere che, in dipendenza della natura di confessione stragiudiziale della quietanza,
possano valere, riguardo alla sua posizione, i limiti di impugnativa della confessione stabiliti
dall’art. 2732 c.c., che trovano applicazione esclusivamente nei rapporti fra il mandatario e il
preteso simulato acquirente. Orbene, nel procedere alla ricostruzione dei fatti, i giudici sono
partiti da alcuni dati certi: a) che le prove testimoniali esperite non provavano in alcun modo il
versamento del corrispettivo della compravendita della nuda proprietà degli immobili, poiché
nessuno dei testi aveva dichiarato di avere personalmente assistito alla dazione; b) le modalità di
pagamento, in contanti, dell’importo pattuito, evidenziando l’incongruenza e la stranezza di tali
modalità; c) le risultanze della c.t.u. grafologica espletata nell’ambito del procedimento
incidentale di querela di falso, che attraverso metodologie di indagine ‘per la verifica di quale dei
due tratti in incrocio debba essere ritenuta antecedente e quale successivo’, aveva rilevato la
presenza di un effetto di spegnimento del segnale di fluorescenza in corrispondenza delle regioni
di scrittura interessata dalla sovrapposizione dei tratti che dimostrava che la sottoscrizione
prodotta mediante penna a sfera era antecedente alla stampa del carattere mediante stampante
a getto d’inchiostro, accertamento che sottolineava — contrariamente a quanto assunto dai
convenuti — come il testo della quietanza era stato redatto successivamente alla sottoscrizione
dell’attrice.

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partecipe ed ignaro dell’accordo simulatorio, il quale agisca per la dichiarazione di simulazione

La sentenza ha poi spiegato che l’accertamento della falsità del documento contenente la
quietanza, da collegarsi all’assenza di qualsiasi prova dell’avvenuta dazione di denaro in
contanti, aveva quale logica conseguenza l’assenza di un corrispettivo per il trasferimento della

della donazione, per cui andava dichiarata l’inefficacia dell’atto nei confronti delle parti.
Conclusivamente, pur facendo riferimento a violazioni di legge, da cui la sentenza impugnata è
immune, le critiche si risolvono nella censura della valutazione degli elementi presuntivi acquisiti.
Orbene, in materia di prova presuntiva l’apprezzamento in ordine alla gravità, precisione e
concordanza degli indizi posti a fondamento dell’accertamento effettuato con metodo presuntivo
attiene alla valutazione dei mezzi di prova, ed è pertanto rimesso in via esclusiva al giudice di
merito, salvo lo scrutinio riguardo alla congruità della relativa motivazione.
Quanto poi alle doglianze relative all’acritico recepimento delle risultanze peritali, scientificamente
non supportate da alcuna certezza, si osserva che secondo la giurisprudenza di questa Corte il
giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione
abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della
motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli
si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, seppur non
espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le
conclusioni tratte. In tal caso, le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio

proprietà e la natura di liberalità dell’atto posto in essere dalle parti, che però difettava della forma

già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive, che non
possono configurare neanche il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (salvo
quanto sopra esposto con riferimento a detta censura) (Cass. n. 282 del 2009; Cass. n. 8355 del
2007; Cass. n. 12080 del 2000 e Cass. n. 522 del 1981). Nello specifico, la sentenza impugnata
ha in maniera argomentata esaminato sia la relazione del c.t.u., sia gli esiti di ulteriori
esperimenti, eseguiti al di fuori delle operazioni peritali, utilizzando due diversi tipi di stampante e

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quattro diverse penne a sfera, con riconvocazione a chiarimenti dell’ausiliare, pervenendo alla
conclusione che, contrariamente a quanto sostenuto dai convenuti, secondo cui l’effetto di
spegnimento non sarebbe sempre significativo della successione temporale dell’apposizione

erronei, essendo le stesse frutto di un malinteso fenomeno di spegnimento, quale effetto
‘ricoprente’ e come tale affetto da notevole variabilità in dipendenza del grado di inchiostrazione
dei tratti in verifica, mentre il reale significato da attribuire era di natura fotofisica, “legato
all’instaurarsi o meno di interazioni tra molecole diverse tale per cui la presenza di molecole non
fluorescenti determinano un abbattimento delle proprietà di fluorescenza di altre molecole oppure
esercitano un effetto filtro sull’emissione di queste ultime riducendone l’intensità”. Tale
motivazione giustifica in maniera congrua la prevalenza assegnata alle conclusioni del c.t.u.
rispetto a quelle delle osservazioni di parte; contiene una sufficiente valutazione anche
dell’ipotesi opposta prospettata nella memoria di parte e si sottrae, pertanto, al sindacato di
legittimità.
Infine, per ciò che concerne la denuncia di mancata ammissione di mezzi istruttori, nella parte in
cui non si traduce in vizio di motivazione per insufficiente esame di punti decisivi della
controversia, è da ritenere ugualmente inammissibile per assoluta genericità, non essendo stati
riportati gli eventuali capitoli di prova che si assumono non ammessi ed anche a volere
esaminare quelli trascritti nella parte narrativa del ricorso, non è dato apprezzare quali specifici

degli inchiostri, il c.t.u. ha evidenziato come le censure mosse erano basate su presupposti

capitoli non sarebbero stati oggetto di ponderata valutazione, dal momento che dalle complessive
argomentazioni della sentenza impugnata si evince l’acquisizione di dichiarazioni di numerosi
testi indotti dai medesimi convenuti.
In conclusione il ricorso va respinto.
Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la
soccombenza della parte ricorrente.

14

A

P.Q.M.

Cassazione, che liquida in complessivi E. 7.200,00, di cui E. 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 19 novembre 2013.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di

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