Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5528 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. I, 08/03/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 08/03/2010), n.5528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23729/2008 proposto da:

D.S.D. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

02/11/2007, n. 1568/07 R.G.A.D.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/12/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di appello di Napoli, con decreto del 2 novembre 2007, ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondere a D.S.D. un indennizzo di Euro 4.585,00 per l’irragionevole durata di un procedimento in materia di lavoro pubblico dipendente iniziato davanti al Tribunale amministrativo regionale della Campania con ricorso del 26 febbraio 1999, e non ancora concluso, osservando: a) che il giudizio avrebbe dovuto avere durata complessiva di 3 anni , laddove si era protratto, per un periodo di oltre 7 anni; b) che tale durata eccedeva di anni 4, mesi 5 quella ritenuta ragionevole dalla CEDU;per cui doveva essere liquidato il danno non patrimoniale in misura equitativa corrispondente ad Euro 4.585,00.

Che il D.S. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso affidato a 7 motivi, con i quali, deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU, degli artt. 1223 e 1226 cod. civ., nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ha censurato la decisione: sia nella liquidazione del quantum nell’importo di soli Euro 4.585,00 sia in ordine alla durata del processo, nonchè alla liquidazione delle spese processuali, e che il Ministero ha resistito con controricorso, osserva:

A) Il collegio ritiene, anzitutto di dichiarare inammissibile il primo motivo di ricorso perchè si risolve nella trascrizione di parte del contenuto di alcune decisioni della CEDU, ed in particolar modo della sentenza 29 marzo 2006 della Grande Chambre della Corte in causa Scordino c/Italia, nonchè in un generico addebito alla sentenza impugnata di non averne applicato i principi;

B) E’, poi, infondata la censura relativa alla durata del processo, secondo il ricorrente pari alla intera durata del giudizio, avendo questa Corte ripetutamente tratto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, la regola che nel giudizio di equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, rileva solamente il periodo eccedente il suddetto termine, essendo sul punto vincolante il criterio chiaramente stabilito dall’art. 2, comma 3 di detta legge; e che questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, valorizzato invece dalla Corte di Strasburgo, al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89, a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97 (Cass. 3716/2008; 8603/2005; 8568/2005).

C) Ancor più inconsistenti sono le censure che si appuntano sulla insufficienza del ristoro del danno non patrimoniale: è ben vero, infatti, che il giudice nazionale deve in linea di principio uniformarsi ai parametri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per i casi simili, salvo il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto.

Ma nel caso concreto la Corte di appello si è puntualmente attenuta a questi principi in quanto ha, anzitutto, liquidato il danno non patrimoniale per il fatto in sè della violazione della durata irragionevole del processo, quale evento che si verifica normalmente, e cioè di regola per effetto della violazione stessa: senza bisogno di alcun sostegno probatorio relativo al singola fattispecie (Cass. sez. un. 1239, 1240 e 1241/2004 e successive).

La stessa ricorrente, poi, ha più volte riconosciuto che la valutazione equitativa del danno morale per tale genere di controversie oscilla nella giurisprudenza della Corte europea tra “i 1000,00 e 1500,00 Euro per anno di durata della procedura”, menzionando anche numerose decisioni della CEDU in materia di obbligazioni; per cui il decreto impugnato che ha determinato l’indennizzo nella misura di Euro 1.000,00 per anno, ha applicato rigorosamente i parametri elaborati da detta Corte.

D) Infondata è anche la censura che verte sul punto del mancato riconoscimento del c.d. bonus, in quanto nella determinazione del risarcimento dovuto, mentre la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e riparare un pregiudizio non patrimoniale tendenzialmente sempre presente ed eguale, l’attribuzione di una somma ulteriore postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore. Sicchè, quando il giudice non attribuisce il c.d. bonus e perciò nega che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni e se del caso alle prove delle allegazioni addotte nel giudizio di merito.

E) Fondata è invece la doglianza relativa alla liquidazione delle spese processuali, compensate dal decreto impugnato sul mero presupposto della mancata opposizione del Ministero, che d’altra parte non aveva dato causa al giudizio: in quanto la soccombenza va valutata in relazione all’esito del processo nel cui alveo si accerta la fondatezza della pretesa azionata, ed è consequenziale alla definizione del giudizio, trovando fondamento nell’esigenza di evitare diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto svolgere attività processuale onde ottenere il riconoscimento del suo processo. Di qui l’oggettiva applicazione del principio della soccombenza, che priva di decisiva rilevanza ai fini dell’esclusione dell’obbligo del pagamento delle spese il fatto che la parte dichiarata soccombente non abbia dato causa all’introduzione della lite, ovvero abbia assunto un contegno processuale neutro, non contestando l’avversa pretesa (Cass. 20404/2008).

Il decreto impugnato va, pertanto, cassato con riguardo alla statuizione in esame; ed assorbiti gli altri motivi relativi alla liquidazione delle spese processuali, poichè non necessitano ulteriori accertamenti il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., liquidando al D.S., le spese processuali del giudizio di merito come da dispositivo; nonchè quelle del giudizio di legittimità in ragione di l/3 da distrarre in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra che ha dichiarato di averle anticipate.

L’accoglimento solo in minima parte della richiesta della ricorrente ed il rigetto dei motivi principali del ricorso induce il Collegio a dichiarare interamente compensati tra le parti i restanti 2/3 di quelli del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie in parte il ricorso, cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e pronunciando nel merito condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito in complessivi Euro 880,00, di cui Euro 380,00 per diritti e 450,00 per onorari, e delle spese del giudizio di cassazione in ragione di un terzo, liquidate nell’intero in Euro 525,00, di cui Euro 425,00 per onorari, unitamente al rimborso forfetario delle spese generali ed agli accessori di legge, e ne dispone la distrazione a favore dell’avvocato Alfonso Luigi Marra. Dichiara interamente compensati tra le parti i restanti due terzi.

Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

 

 

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