Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5527 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. I, 08/03/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 08/03/2010), n.5527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23725/2008 proposto da:

T.B. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

19/12/2007, n. 2228/07 R.G.A.D.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/12/2 009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di appello di Napoli, con decreto del 19 dicembre 2007, ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondere a T.R. un indennizzo di Euro 4.466,00, oltre agli interessi legali per l’irragionevole durata di un procedimento in materia di lavoro pubblico iniziato davanti al TAR Campania con ricorso del 5 marzo 1999 e non ancora definito, osservando: a) che il giudizio non avrebbe dovuto durare più di tre anni; b) che la sua durata aveva quindi ecceduto di altri 5 anni quella ritenuta congrua dalla CEDU; per cui doveva essere liquidato il danno non patrimoniale in misura equitativa corrispondente ad Euro 4.446,00 oltre interessi.

Che il T. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso affidato a 10 motivi, con i quali, deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU, degli artt. 1223 e 1226 cod. civ., nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ha censurato la decisione: sia nel calcolo della durata ragionevole del processo, che nella liquidazione del quantum nell’importo di soli Euro 3.239,00 sia infine in ordine alla liquidazione delle processuali, e che il Ministero ha resistito con controricorso, osserva:

A) Il collegio ritiene,anzitutto di dichiarare inammissibile il primo motivo di ricorso perchè si risolve nella trascrizione di parte del contenuto di alcune decisioni della CEDU,ed in particolar modo della sentenza 29 marzo 2006 della Grande Chambre della Corte in causa Scordino c/Italia, nonchè in un generico addebito alla sentenza impugnata di non averne applicato i principi; B) Che è infondata la censura relativa alla durata del processo, secondo i ricorrenti pari alla intera durata del giudizio,avendo questa Corte ripetutamente tratto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, la regola che nel giudizio di equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, rileva solamente il periodo eccedente il suddetto termine, essendo sul punto vincolante il criterio chiaramente stabilito dall’art. 2, comma 3 di detta legge; e che questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, valorizzato invece dalla Corte di Strasburgo, al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza,non esclude la complessiva attitudine della L. n. n. 89, a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97 (Cass. 3716/2008; 8603/2005; 8568/2005).

C) Che devono invece essere parzialmente accolte le altre censure in quanto questa Corte ha ripetutamente affermato anche a sezioni unite:

1) che detta legge, con specifico riferimento alla riparazione del danno non patrimoniale,richiama attraverso l’art. 2056 c.c., l’art. 1226 c.c., che prevede una valutazione con criteri equitativi, i quali possono essere commisurati, in linea generale, all’equa soddisfazione prevista dall’art. 41 CEDU, e che tale regola di applicazione della L. n. 89 del 2001, per quanto attiene alla riparazione del danno non patrimoniale, ha natura giuridica, perchè inerisce ai rapporti tra la detta legge e la CEDU, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge denunziabile a questa Corte di legittimità;

2) che conseguentemente spetta al giudice della CEDU individuare tutti gli elementi di tale fatto giuridico,che pertanto finisce con l’essere “conformato” dalla Corte di Strasburgo,la cui giurisprudenza si impone per quanto attiene all’applicazione della L. n. 89 del 2001, ai giudici italiani: come del resto confermato dalla stessa Corte europea, secondo la quale “deriva dal principio di sussidiarietà che le giurisdizioni nazionali devono,per quanto possibile, interpretare ed applicare il diritto nazionale conformemente alla Convenzione” 3) che il giudice nazionale “può allontanarsi da un’applicazione rigorosa e formale dei criteri adottati dalla Corte”, ma pure conservando un margine di valutazione,non può liquidare somme che non siano in “relazioni ragionevoli con la somma accordata dalla Corte negli affari simili”, restando quindi fermo il suo dovere di “conformarsi alla giurisprudenza della Corte, così accordando somme conseguenti”; 4) che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono, in conclusione, essere ignorati dal giudice nazionale anche se questi può discostarsi in misura ragionevole dalle liquidazioni effettuate a Strasburgo in casi simili: con conseguente dovere di ufficio del giudice di merito di accertare i casi simili e le eque riparazioni del danno non patrimoniale in essi operate dalla Corte di Strasburgo, avvalendosi al riguardo della collaborazione delle parti, ed in particolare dell’attore, che ha interesse a fornirgli ogni elemento utile alla determinazione del danno nella misura da lui richiesta (come del resto in altra materia consente la L. n. 218 del 1995, nell’accertamento della legge straniera).

Ritenuto che nel caso concreto il provvedimento impugnato non si è attenuto a questi principi avendo liquidato come danno non patrimoniale causato da un giudizio durato oltre 8 anni, in cui ha ravvisato,per quanto interessa il ricorrente, un ritardo di 5 anni, mesi 7, un indennizzo di Euro 4.446,00 corrispondenti ad Euro 800,00 per anno,per l’entità dell’oggetto; e soprattutto per la modestia della posta in gioco costituita da compensi residuali rispetto a quelli già liquidati dall’ente datore di lavoro.

Questa Corte,infatti, considera che la modestia della posta in giuoco giustifichi uno scostamento rispetto al parametro di mille Euro per anno di non ragionevole durata del processo, ma non al di sotto della soglia di 750,00 Euro, che appare invece alla Corte generalmente adeguato in particolare nei casi – come quello in considerazione – in cui la domanda di giustizia risulti accolta in modo definitivo in un ulteriore periodo che non superi quello di altri tre anni, oltre il quale sia invece giustificato ritenere che l’irragionevole durata del processo abbia comunque provocato un pregiudizio risarcibile come danno non patrimoniale nella misura di almeno mille per ogni anno di ulteriore irragionevole protrazione del processo.

D) Infondata è infine anche la censura che verte sul punto del mancato riconoscimento del c.d. bonus, in quanto nella determinazione del risarcimento dovuto, mentre la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e riparare un pregiudizio non patrimoniale tendenzialmente sempre presente ed eguale, l’attribuzione di una somma ulteriore postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore.

Sicchè, quando il giudice non attribuisce il c.d. bonus e perciò nega che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni e se del caso alle prove delle allegazioni addotte nel giudizio di merito.

Il decreto impugnato va,pertanto, cassato in relazione alla censura accolta; ed assorbiti gli altri motivi, poichè non necessitano ulteriori accertamenti il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., liquidando al T. un indennizzo che tuttavia data la modestia della posta in gioco, già evidenziata dalla Corte di appello, viene determinato in misura inferiore allo standard minimo indicato dalla Corte Edu di Euro 1000,00 per anno in base al parametro minimo di 800,00 Euro, per ciascuno dei primi 3 anni di ritardo; nonchè di Euro 1.000,00 per anno per quello successivo: e perciò nella misura complessiva di Euro 5.000,00, con gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale; nonchè a rifondere al ricorrente le spese processuali, che si liquidano come da dispositivo: da distrarre a favore dell’avvocato Alfonso Luigi Marra, che ha dichiarato d’aver anticipato le spese e non percepito gli onorari.

Essendo stato il ricorso accolto soltanto in minima parte,il Collegio ritiene di compensare tra le parti la metà delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondere a T.B. la somma di Euro 5.000,00 con gli interessi dalla data della domanda; lo condanna inoltre al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito liquidate in complessivi Euro 880,00, di cui Euro 380,00 per diritti e Euro 450,00 per onorari, e delle spese del giudizio di cassazione in ragione di metà,liquidate nell’intero in Euro 350,00, di cui Euro 250,00 per onorari, unitamente al rimborso forfetario delle spese generali ed agli accessori di legge, e ne dispone la distrazione a favore dell’avvocato Alfonso Luigi Marra. Dichiara interamente compensata tra le parti la restante metà.

Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

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