Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5526 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. II, 28/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 28/02/2020), n.5526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7920-2018 proposto da:

R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 46,

presso lo studio dell’avvocato DOMENICO MARTINO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE MARTINO;

– ricorrente –

contro

BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso la propria sede in VIA

NAZIONALE 91, rappresentata e difesa dagli avvocati MARIA PATRIZIA

DE TROIA e DONATO MESSINEO dell’Avvocatura della Banca stessa;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5595/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Domenico Martino, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso; udito l’Avvocato Donato

Messineo, difensore della resistente, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 5 settembre 2017 la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’opposizione proposta da R.L., già membro del collegio sindacale della Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti s.p.a., nei confronti della Banca d’Italia, avverso il provvedimento n. 743145/15 del 7 luglio 2015, con il quale era stata irrogata la sanzione complessiva di 48.000,00 Euro, con riguardo alle accertate carenze dell’attività del collegio sindacale nei controlli interni.

2. Per quanto ancora rileva, alla luce dei motivi del ricorso per cassazione, la Corte territoriale ha osservato: a) che era insussistente la dedotta violazione del principio del ne bis in idem, fondata sulla ritenuta attribuzione di condotte già contestate all’esito di una precedente ispezione del 2012; b) che la lamentata sovrapposizione fra condotte sanzionate non si era verificata e, soprattutto, non si sarebbe potuta verificare in quanto il ricorrente non era membro del collegio sindacale al momento della prima contestazione; c) che la prima sanzione era stata irrogata il 12 giugno 2013, in relazione a violazioni accertate dalla Banca d’Italia tra il 14 aprile 2012 e il 29 giugno 2012, mentre la seconda sanzione era stata irrogata il 7 luglio 2015, all’esito di accertamenti ispettivi condotti tra il 20 febbraio 2014 e il 30 maggio 2014; d) che la prosecuzione delle medesime condotte omissive dell’organo di vigilanza non escludeva in alcun modo l’applicazione della sanzione anche ai diversi componenti del successivo collegio sindacale; e) che nella proposta sanzionatoria si era specificato che, “nonostante i ripetuti solleciti della Vigilanza, la C. non ha assunto le incisive azioni per il superamento delle criticità rilevate già nel corso dei precedenti accertamenti ispettivi, con conseguente ulteriore involuzione degli equilibri economici e patrimoniali”.

Quanto, infine, all’entità della sanzione irrogata, la Corte d’appello ha ritenuto correttamente motivato il provvedimento impugnato, che aveva valorizzato: a) la gravità delle violazioni, tali da comportare, infine, l’adozione del provvedimento di amministrazione straordinaria nei confronti della banca; b) il fatto che il R. era componente del collegio sindacale già da tempo ed era stato destinatario di sanzioni per il medesimo profilo; c) che era stata applicata un’unica sanzione per una pluralità di comportamenti.

3. Avverso tale sentenza il R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, ai quali la Banca d’Italia ha resistito con controricorso. è stata depositata memoria nell’interesse del R..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 144 (t.u.b.), della L. n. 689 del 1981, artt. 8, 8 bis e 14, della L. n. 241 del 1990, art. 2, n. 1; nonchè dei par. 1.2 e 1.6 della sezione seconda delle disposizioni di vigilanza del 18 dicembre 2012; del principio del ne bis in idem; si lamenta, altresì, omesso di esame di fatti decisivi per il giudizio.

Osserva il ricorrente: a) che la Corte territoriale, esaminando il sesto motivo di opposizione, aveva escluso la violazione del principio del ne bis in idem, rilevando che il R. non era membro del collegio sindacale al momento della prima contestazione; b) che, al contrario, il ricorrente ricopriva la carica di sindaco anche in tale momento, come era stato riconosciuto dalla stessa Banca d’Italia nella memoria difensiva del 30 ottobre 2015; c) che la sentenza impugnata aveva riconosciuto che le medesime condotte omissive dell’organo di vigilanza era continuate nel tempo; d) che non erano state contestate nè la continuazione nè la reiterazione delle violazioni, quali previste dalla L. n. 689 del 1981, artt. 8 e 8 bis.

La doglianza è infondata.

E’ certamente errato che il ricorrente non facesse parte del collegio sindacale al quale, con precedente provvedimento, erano state applicate sanzioni amministrative per violazioni relative all’attività di vigilanza.

Ciò emerge da quanto riconosciuto dalla stessa controricorrente e, a ben vedere, dal complesso della motivazione della medesima sentenza impugnata, per quanto si dirà subito infra.

Cionondimeno, il profilo non è decisivo, tenuto conto sia del rilievo esplicito per cui la lamentata sovrapposizione non si era in concreto verificata, sia delle considerazioni che la Corte d’appello ha dedicato alla mancata assunzione di azioni necessarie al superamento delle criticità rilevate nel corso dei precedenti accertamenti ispettivi “con conseguente ulteriore involuzione degli equilibri economici e patrimoniali”.

Del resto, il ricorrente, in primo luogo, si sottrae all’onere di indicare, rispetto all’appena evidenziato, autonomo percorso argomentativo della sentenza impugnata, quali sarebbero le condotte specifiche per le quali si sarebbe verificata la duplicazione sanzionatoria e quale sarebbe l’obiettivo fondamento, rinvenibile negli atti processuali, di tale censura.

In secondo luogo, del tutto contraddittoriamente, riconosce, nel formulare il secondo motivo, che la contestazione aveva riguardato il controllo del collegio sindacale nel periodo successivo all’aprile 2013 data di nomina del nuovo collegio – o, al più, i fatti posti in essere dal giugno 2012, in tal modo realizzando una saldatura con la fine del precedente accertamento ispettivo (29 giugno 2012, secondo quanto indicato dalla sentenza impugnata, senza incontrare contestazione alcuna da parte del ricorrente).

Rispetto a siffatta ricostruzione non assume alcun significato la mancata contestazione della continuazione o della reiterazione.

Premesso che, nel sistema della L. n. 689 del 1981, la mitigazione del trattamento sanzionatorio resta circoscritta, al di fuori della materia della previdenza e dell’assistenza obbligatorie (L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 3), ai casi di plurime violazioni poste in essere con una sola azione o omissione (L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 1), si osserva che l’istituto della reiterazione di cui all’art. 8 bis della stessa legge è confinato agli ambiti definiti da altra disciplina (art. 8 bis, comma 5), non individuabile nel caso di specie.

Ne discende che nessuna logica implicazione può trarsi, ai fini auspicati dal ricorrente, dalla mancata applicazione di siffatti istituti.

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 144 t.u.b., della L. n. 689 del 1981, artt. 8, 8 bis e 11, dell’art. 3 Cost.; nonchè del principio di uguaglianza; del par. 1.6 della sezione seconda della disposizioni di vigilanza del 18 dicembre 2012; si lamenta, altresì, omesso di esame di fatti decisivi per il giudizio.

Osserva il ricorrente che le contestazioni attengono – come rilevato nel quattordicesimo motivo di opposizione – unicamente al periodo successivo alla nomina del nuovo collegio sindacale, ossia al periodo successivo all’aprile del 2013, talchè, in assenza di una contestazione della continuazione o della reiterazione e in difetto dell’indicazione di un ruolo preponderante del R., deve ritenersi sproporzionata una sanzione di importo doppio rispetto a quella inflitta agli altri sindaci.

Il motivo è infondato.

Nel procedimento di opposizione avverso le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazione della legge bancaria, il giudice ha il potere discrezionale di quantificarne l’entità, entro i limiti sanciti da quest’ultima, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dalla L. n. 689 del 1981, art. 11, quali la gravità della violazione, la personalità dell’agente e le sue condizioni economiche (v., ad es., Cass. 8 febbraio 2016, n. 2406).

In realtà, il ricorrente, nella sostanza, si duole della sproporzione della sanzione rispetto a quella irrogata ad altri soggetti, ma, in tal modo argomentando, finisce per sottrarsi al confronto, nei termini in cui il sindacato di legittimità è consentito, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con lo specifico apparato argomentativo che sorregge la determinazione della sanzione che lo riguarda e che investe anche i profili legati alla gravità della condotta attribuita e alla personalità rivelata.

3. In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bisx, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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