Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5525 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. II, 28/02/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 28/02/2020), n.5525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 14021/’15) proposto da:

P.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza

di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Alberto di Mauro

e domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria della Corte di

cassazione, in Roma, p.zza Cavour;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ FOOTBALL PADOVA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, (C.F.: (OMISSIS)),

in persona del liquidatore e legale rappresentante pro-tempore,

rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al

controricorso, dall’Avv. Simone Perazzolo e domiciliata “ex lege”

presso la Cancelleria della Corte di cassazione, in Roma, p.zza

Cavour;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 2626/2014,

depositata il 20 novembre 2014 (non notificata);

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13

novembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Mistri Corrado, che ha concluso per la parziale

inammissibilità del ricorso e, comunque, per il suo rigetto.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Con sentenza n. 572/2008 il Tribunale di Padova, pronunciando sulla domanda proposta dal Calcio Padova s.p.a. nei confronti dell’avv. P.G. al fine di ottenere la restituzione della somma di Lire 79.000.000 versata a titolo di compenso per l’assistenza prestata nella stipulazione del contratto intercorso tra la società attrice ed il calciatore Pa. nel maggio 1998, la rigettava.

Decidendo sull’appello formulato dalla stessa società calcistica e nella costituzione dell’appellato (che, a sua volta, avanzava appello incidentale), la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 2626/2014, accoglieva il primo motivo dell’impugnazione principale e rigettava il secondo nonchè l’impugnazione incidentale e, in parziale riforma della sentenza di prime cure, condannava l’avv. P.G. alla restituzione della somma di Euro 41.058,32, da quantificarsi, a seguito della rivalutazione, in Euro 55.634,02, oltre interessi legali da computarsi sul capitale via via rivalutato, nonchè al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte veneta, rigettata l’eccezione pregiudiziale di rito circa la supposta tardività della rinnovazione della notificazione dell’atto di citazione in primo grado, riteneva che non potesse aver alcun pregio la deduzione dell’appellato riferita alla circostanza che il suo compenso trovava titolo in un rapporto di collaborazione continuativa indirizzato a segnalare alla società calcistica giocatori ed allenatori, così come rilevava che, alla stregua dell’ordinamento sportivo “ratione temporis” vigente (e da ritenersi vincolante), il procuratore sportivo (qualità spesa dal P.) avrebbe potuto svolgere la sua attività solo su incarico e nell’interesse del calciatore suo assistito e non anche per conto e su incarico della società sportiva.

Il giudice di appello poneva, inoltre, in evidenza che la mancata costituzione del rapporto fra il calciatore Pa. ed il Calcio Padova aveva privato di ogni giustificazione causale il compenso erogato all’avv. P., che, pertanto, andava restituito alla società appellante principale, trattandosi di somma indebitamente percepita dal P..

Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi – l’avv. P.G., resistito con controricorso dalla Società Football Padova s.p.a. in liquidazione.

In un primo momento per la trattazione e la definizione del ricorso si optava per le forme di cui al procedimento previsto dall’art. 380-bis. 1 c.p.c. ma, all’esito dell’adunanza camerale, il collegio ravvisava l’opportunità di rimetterne la discussione alla pubblica udienza, fissata per la data odierna.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha reiterato l’eccezione di estinzione del processo ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 2 e art. 307 c.p.c., sul presupposto che l’originario atto di citazione era stato notificato in violazione del termine minimo a comparire e che, pur essendo stata una prima volta disposta la rinnovazione della notificazione, il giudice istruttore all’udienza stabilita aveva ordinato – in difetto della tempestività della prima notifica – nuovamente la rinnovazione di detta notificazione, così incorrendo nella violazione del citato art. 164, comma 2 codice di rito, il quale qualifica come perentorio il previsto termine per eseguire, dopo la verifica del mancato rispetto del termine a comparire, la suddetta rinnovazione della notificazione.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 345 c.p.c. (con riferimento alla previsione del divieto di “ius novorum” in appello), avuto riguardo all’asserita introduzione, nel giudizio di secondo grado, di un nuovo tema di indagine ricondotto alla deduzione della violazione del regolamento sportivo incidente anche sull’ordinamento statuale.

3. Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione di legge consistente nell’errato apprezzamento giuridico della fattispecie, con riferimento alla vigenza all’epoca dei fatti del Regolamento dell’attività di procuratore sportivo in vigore dal 1 gennaio 1998, che, pur prevedendo che l’iscrizione e l’appartenenza all’elenco dei procuratori sportivi fossero incompatibili con rapporti di dipendenza o di collaborazione coordinata e continuativa con società di calcio, non impediva di svolgere, con queste ultime, un’attività occasionale e temporanea relativa al c.d. mercato calcistico.

4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato – in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame di un fatto decisivo con riferimento alla mancata presa in considerazione del dato documentale della corrispondenza tra le annotazioni sulle matrici degli assegni depositate da controparte e la dicitura consulenza sportiva sulle fatture depositate da esso ricorrente.

5. In via pregiudiziale, il collegio dà atto che è pervenuta in cancelleria dichiarazione di attestazione della intervenuta dichiarazione di fallimento della Società Football Padova s.p.a.. Tale sopravvenuto evento non è, tuttavia, idoneo a produrre alcun effetto interruttivo nella presente sede di legittimità, dal momento che – secondo la giurisprudenza di questa Corte – nel giudizio di cassazione, in quanto dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo (quale è l’intervenuta dichiarazione di una società parte del processo) previste in via generale dalla legge (cfr., specificamente, Cass. n. 21153/2010 e Cass. n. 17143/2017).

6. Ciò premesso, rileva il collegio che il primo motivo di ricorso è infondato ed è, quindi, da rigettare.

Infatti, per come emerge dall’impugnata sentenza, è incontestato che, dopo l’accertata inosservanza del termine a comparire concesso con la citazione iniziale (in primo grado), il giudice istruttore ebbe – in applicazione dell’art. 164 c.p.c., comma 2, – a concedere nuovo termine per la rinnovazione della stessa e della sua notificazione, che risulta essere stata richiesta a mezzo posta dalla notificante nel termine perentorio giudizialmente fissato ma che per ritardo imputabile all’organo postale – non era pervenuto al destinatario nello stesso termine concesso.

Quindi, è rimasto riscontrato che la società Padova si era tempestivamente attivata nel procedere alla rinnovazione della notificazione nel termine perentorio concesso, dovendosi applicare il generale principio della scissione degli effetti della notificazione tra notificante e notificatario (conseguente alla sentenza della Corte costituzionale n. 447/2002).

Pertanto, legittimamente (dovendo, infatti, considerarsi rispettato il primo temine, senza che, però, la notificazione fosse andata tempestivamente a buon fine per causa non imputabile alla società notificante), il giudice istruttore aveva concesso nuovo termine per provvedere – in difetto della costituzione del convenuto – a quanto previsto dall’art. 164 c.p.c., comma 2, e, quindi, perfezionatasi la notificazione entro tale nuovo termine, il contraddittorio si era quindi venuto a instaurare regolarmente ed il convenuto ebbe anche a costituirsi in giudizio.

7. La seconda censura è altrettanto infondata ed è, perciò, da respingere, non potendo ritenersi affatto che il giudice di appello abbia introdotto un tema di indagine nuovo secondo quanto dedotto dal ricorrente, tale da comportare la configurazione dell’asserita violazione dell’art. 345 c.p.c..

Infatti, la Corte di appello, dopo aver motivatamente escluso che il diritto al riconoscimento del richiesto compenso poteva essere ricondotto ad un rapporto di collaborazione continuativa con la società sportiva (in virtù della quale il P. si era attivato a segnalare calciatori e allenatori), ha – in relazione al principio generale del rilievo d’ufficio delle nullità negoziali (art. 1421 c.c.), come quella in discussione fatta valere specificamente anche con l’atto di appello – rilevato che il contratto dedotto in giudizio era stato concluso in frode alle regole dell’ordinamento sportivo (“ratione temporis” vigente), in tal modo mantenendosi nell’ambito del “deductum” e, quindi, dell’oggetto della causa, senza incorrere nel divieto di cui al citato art. 345 codice di rito.

8. Il terzo motivo è da considerarsi propriamente inammissibile per difetto di specificità, avuto riguardo alla mancata osservanza dell’obbligo previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

Infatti, il P., pur deducendo l’erroneità dell’accoglimento dell’appello principale avversario e del rigetto del proprio appello incidentale sotto il profilo dell’asserito inconferente inquadramento giuridico della fattispecie nel regolamento sportivo della FIGC del 1991, anzichè in quello del 1998, non ha affatto indicato nè specificato, trascrivendoli, nel corpo del ricorso i passaggi del citato regolamento sportivo (avente natura giuridica di atto privato) del 1998 (asseritamente vigente ed applicabile al caso di specie) sui quali il motivo è stato fondato e dai cui si sarebbe dovuta evincere la supposta inesistenza della condizione di incompatibilità che era, viceversa, contemplata nel precedente regolamento sportivo considerato dalla Corte di appello.

Tale omissione – senza, peraltro, trascurare la circostanza che il citato regolamento sportivo del 1998, solo richiamato in ricorso, non risulta nemmeno essere stato allegato al ricorso stesso – come imposto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – e depositato nel termine prescritto dal comma 1 medesima norma – comporta la dichiarazione di inammissibilità della censura in questione (cfr., a tal proposito, tra le tante, Cass. n. 4220/2012, Cass. n. 8569/2013, Cass. n. 14784/2015, Cass. n. 31082/2017 e Cass. n. 29093/2018).

Da questa inammissibilità consegue l’assorbimento (ancorchè in senso improprio: cfr. Cass. n. 17219/2012, Cass. n. 14190/2016 e Cass. n. 13534/2018) del quarto ed ultimo motivo (con il quale è stato denunciato l’omesso esame della circostanza che vi era corrispondenza tra le annotazioni sulle matrici degli assegni depositate dal “Padova calcio” e la dicitura “consulenza sportiva” sulle fatture prodotte). Invero, il suo esame – attenendo al “merito” del rapporto intercorso tra il P. e la società calcistica Padova presuppone (dal punto di vista logico-giuridico e, quindi, alla stregua di un “rapporto di implicazione”: v. la cit. Cass. n. 13534/2018) l’ammissibilità del motivo precedente (invece esclusa), con il quale il ricorrente aveva dedotto l’inquadramento del rapporto stesso nella disciplina del regolamento sportivo del 1998, alla cui stregua si sarebbe dovuto considerare possibile (e, quindi, legittimo) lo svolgimento della sua consulenza con detta società in via occasionale e temporanea.

9. In definitiva, per le ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo” con attribuzione. Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge, con attribuzione al difensore antistatario della controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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