Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5524 del 10/03/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 5524 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

equa
riparazione

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici
di questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente contro
PINTO Edvige (PNT DVG 57C59 A783C), quale erede di Paolo
Messina, rappresentata e difesa, per procura a margine del
ricorso, dall’Avvocato Maria Cento, presso il cui studio
in Roma, via Amiterno n. 2, è elettivamente domiciliata;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 10/03/2014

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, depositato in data 25 gennaio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott.

sentito,

per la controricorrente, l’Avvocato Giovanni

Romano con delega.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 19 settembre 2008 presso la Corte d’appello di Roma, Pinto Edvige, quale erede
di Messina Paolo, chiedeva la condanna del Ministero della
giustizia al pagamento dell’equa riparazione, ai sensi
della legge n. 89 del 2001, in relazione ai danni non patrimoniali subiti a causa della irragionevole durata di un
giudizio civile svoltosi dinnanzi al Tribunale di Benevento, iniziato con citazione notificata il 28 novembre 1989
e conclusosi con sentenza depositata il 30 dicembre 2006.
L’adita Corte d’appello, ritenuto che dalla durata
complessiva del giudizio dovesse essere detratto, oltre ai
tre anni di durata ragionevole, un periodo di quattro anni
imputabile alle parti, liquidava per la irragionevole durata accertata di circa dieci anni un indennizzo pari a
euro 9.300,00, oltre interessi legali dalla data della domanda.

Stefano Petitti;

Il Ministero della giustizia ha proposto ricorso per
la cassazione di questo decreto affidato a quattro motivi.
L’intimata ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

stacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza,
alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, cod. proc. civ.,
quale risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 75
del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede
che il pubblico ministero «deve intervenire nelle cause
davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla
legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n.
12, come sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge
n 69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero
presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in
tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi
alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di
cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile». L’art. 376, primo comma, cod.
proc. civ. stabilisce che «Il primo presidente, tranne

l. Il Collegio rileva preliminarmente che non è di o-

quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374,
assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio».

del 2013, quale risultante dalla legge di conversione n.
98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e
la modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e
390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della
partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo
comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni
di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio
sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento
contenuto sia nell’art. 76, comma primo, lett. b), del
r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81 del decreto-legge n. 69 del 2013), sia nell’art. 75, comma 2,
citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezio-

Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69

ne (e cioè quella di cui all’art. 376, primo comma, cod.
proc. civ.), consenta di ritenere non solo che la detta
sezione è abilitata a tenere oltre alle adunanze camerali
anche udienze pubbliche, ma anche che alle udienze che si

partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
cod. proc. civ., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione
dell’udienza odierna è stato emesso in data 25 settembre
2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica ben
può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del
ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un interesse
pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai
sensi dell’art. 70, terzo comma, cod. proc. civ.
2. Nel merito, con il primo motivo di ricorso il Ministero ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 75 cod.
proc. civ., rilevando che dall’atto introduttivo del giudizio non risultava chiaramente se la ricorrente avesse
agito in proprio (secondo quanto risultante dalla intestazione dell’atto introduttivo) ovvero nella qualità di ere-

tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la

de, come invece affermato nel corpo del ricorso, senza
che, tuttavia, la parte avesse offerto alcuna prova della
propria qualità di erede.
Con il secondo motivo il Ministero ricorrente deduce

legge n. 89 del 2001 e dell’art. 75 cod. proc. civ., rilevando che dallo stesso ricorso introduttivo emergeva che
il dante causa della ricorrente, all’incirca un anno dopo
la sua costituzione in giudizio, aveva cessato di essere
assistito dall’originario difensore, il quale aveva rinunciato al mandato, senza che il medesimo dante causa si
fosse poi attivato per sostituire il proprio difensore.
Secondo l’amministrazione ricorrente, sarebbe quindi venuta meno la condizione legittimante alla proposizione della
domanda di equa riparazione, atteso che la parte deve essere non solo costituita, ma efficacemente e validamente
rappresentata al fine di poter poi proporre domanda di equa riparazione.
Con il terzo motivo il Ministero denuncia vizio di motivazione insufficiente su tale aspetto del giudizio presupposto, emergendo dallo stesso atto introduttivo che
quel giudizio si era protratto per oltre quindici anni per
iniziativa del solo attore, mentre il convenuto, e cioè il
dante causa della parte istante in equa riparazione, aveva

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ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della

mantenuto un atteggiamento di totale disinteresse per la
vicenda processuale.
Con il quarto motivo l’amministrazione ricorrente censura il provvedimento impugnato per aver disposto la con-

rato dal dante causa in relazione alla irragionevole durata del giudizio presupposto, in assenza di alcuna prova
che la parte istante fosse l’unica erede.
3. La controricorrente ha eccepito l’inammissibilità
del ricorso per tardività della sua notificazione.
3.1. L’eccezione è fondata.
Il decreto impugnato è stato depositato il 25 gennaio
2012, mentre il ricorso per cassazione è stato notificato
alla resistente in data 19 marzo 2013, allorquando il termine lungo (di un anno e quarantasei giorni, applicabile
nella specie ratione temporis,

essendo il giudizio di equa

riparazione iniziato con ricorso depositato il 19 settembre 2008, e quindi prima del 4 luglio 2009), era ormai
scaduto, essendosi lo stesso maturato alla data del 12
marzo 2013.
Non può giovare all’amministrazione ricorrente il tentativo di notifica effettuato in data 12 marzo 2013 presso
il difensore domiciliatario in Roma, via Pompei n. 13, atteso che tale domicilio non era più corrispondente a quello del medesimo domiciliatario, trasferitosi presso il

danna in favore della ricorrente dell’intero importo matu-

nuovo domicilio in Roma via Amiterno n. 2 nel corso del
giudizio svoltosi dinnanzi alla Corte d’appello di Roma.
Che questo fosse il domicilio presso cui l’amministrazione
ricorrente avrebbe dovuto, entro il termine del 12 marzo

lievo che la variazione di domicilio era stata dalla parte
comunicata alla Cancelleria della Corte d’appello e che il
precedente indirizzo non risulta invece indicato nel provvedimento impugnato; circostanza, questa, che pure avrebbe
potuto indurre la ricorrente in errore. Di tale comunicazione, peraltro annotata, come esattamente rilevato dalla
contro ricorrente, sulla copertina del fascicolo del giudizio di merito, l’amministrazione notificante non ha tenuto alcun conto.
Trova quindi applicazione il principio per cui «in tema di impugnazione, la notifica presso il procuratore costituito o domiciliatario va effettuata nel domicilio da
lui eletto nel giudizio, se esercente l’ufficio in un circondario diverso da quello di assegnazione, o, altrimenti,
nel suo domicilio effettivo, previo riscontro, da parte
del notificante, delle risultanze dell’albo professionale,
dovendosi escludere che tale onere di verifica – attuabile
anche per via informatica o telematica – arrechi un significativo pregiudizio temporale o impedisca di fruire, per

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2013, effettuare la notificazione discende dal duplice ri-

l’intero, dei termini di impugnazione» (Cass., S.U., n.
3818 del 2009).
In motivazione, nella citata sentenza si è chiarito
che alla fase del perfezionamento della notifica per il

nell’ordinamento strumenti idonei a consentire al notificante di superare gli ostacoli frappostisi, non per sua
colpa, all’esercizio del diritto di impugnazione), attengono le sole ipotesi in cui la notifica presso il procuratore non abbia raggiunto il suo scopo per caso fortuito o
forza maggiore, quale, ad esempio, la mancata o intempestiva comunicazione del mutamento del domicilio all’ordine
professionale, il ritardo della sua annotazione, la morte
del procuratore; che, comunque, anche in queste ipotesi,
ai fini della riattivazione del procedimento di notificazione, nonostante il superamento dei relativi termini perentori e decadenziali, è necessaria la proposizione di
un’istanza al giudice ad guem di fissazione di un termine
perentorio per il completamento della notifica; che siffatta istanza, per il rispetto dovuto alle dinamiche processuali, va depositata insieme all’atto contenente l’attestazione della mancata notifica, nel termine stabilito
per la costituzione della parte, in caso di regolare instaurazione del contraddittorio.

destinatario (con conseguente necessità di reperire

Con sentenza di poco successiva, le medesime Sezioni
Unite hanno avuto modo di precisare che «in tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione
dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non

al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale
comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di
richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data
iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari
secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo
della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie» (Cass., S.U., n. 17352
del 2009).
Tuttavia, anche secondo questo orientamento, al quale
si è adeguata la giurisprudenza successiva di questa Corte
(Cass. n. 6846 del 2010; Cass. n. 21154 del 2010; Cass. n.
18074 del 2012; Cass. n. 20830 del 2013), il presupposto è
che il mancato perfezionamento della notificazione dipenda
da causa non imputabile al notificante.

si concluda positivamente per circostanze non imputabili

Orbene, nel caso di specie, l’amministrazione ricorrente ha effettuato la notificazione ad un domicilio eletto individuato negligentemente in quello dichiarato
nell’atto introduttivo del giudizio, omettendo di rilevare

Cancelleria della Corte d’appello di Roma il mutamento di
domicilio e che tale variazione era stata annotata sulla
copertina del fascicolo d’ufficio.
Si è quindi al di fuori della ipotesi in cui la notificazione non si è perfezionata per fatto non imputabile
al notificante, sicché le successive notifiche effettuate
alla parte personalmente, al difensore della stessa, non
nel domicilio eletto ma presso il suo studio in diverso
distretto, nonché quella eseguita presso la Cancelleria
della Corte d’appello di Roma non possono costituire una
valida ripresa del procedimento notificatorio, con conseguente inammissibilità del ricorso.
Si deve solo aggiungere che non vale a sanare la detta
nullità della notificazione la costituzione della parte
nel presente giudizio, atteso che la stessa è avvenuta allorquando il termine lungo per proporre il ricorso era ormai decorso.
4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.

che il difensore della resistente aveva comunicato alla

In applicazione del principio della soccombenza,
l’amministrazione ricorrente va condannata al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità
PER QUESTI MOTIVI

il Ministero ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro
506,25 per compensi, oltre ad euro 100,00 per esborsi e
agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il
9 gennaio 2014.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna

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