Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5522 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. II, 28/02/2020, (ud. 03/10/2019, dep. 28/02/2020), n.5522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26423-2015 proposto da:

GE.CO. 2000 s.n.c., (già P.S.C. a r.I.), in persona del legale

rappresentante E., rappresentata e difesa dall’Avvocato

GIANFELICE PILO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in

SASSARI, VIA CAVOUR 48;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 459/2014 del TRIBUNALE di TEMPIO PAUSANIA del

3/07/2014 (in riferimenti alla ordinanza 416/2015 della CORTE

d’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 6/08/2015);

udita la relazione delle cause svolta nella pubblica udienza del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIANFELICE PILO per il ricorrente che ha concluso

come in atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 459/2014 del 33.2014 il Tribunale di Tempio Pausania, in parziale accoglimento della domanda proposta dal CONDOMINIO (OMISSIS), condannava la GE.CO. 2000 s.n.c. (già PSC a r.l.) alla restituzione, in favore dell’attore, della somma di Euro 17.116,29, oltre interessi, nonchè alla rifusione delle spese di lite. Il Tribunale argomentava: che la GE.CO. 2000 PSC a r.l. aveva svolto le funzioni di amministratore del Condominio negli anni 2003 e 2004; che per l’anno 2003 era stato approvato il bilancio preventivo per una spesa di Euro 20.658,28, mentre la spesa asseritamente sostenuta dall’amministratore era stata di Euro 24.556,29, con un disavanzo di Euro 3.898,01; che, del pari, per l’anno 2004 il bilancio consuntivo ammontava ad Euro 33.876,56, con una maggiore spesa rispetto a quella autorizzata in sede di preventivo di Euro 13.218,28; che entrambi i bilanci non erano stati approvati dall’assemblea; che numerose fatture erano state emesse da GE.CO. 2000 PSC a r.l., la quale aveva, nella qualità di amministratore, stipulato contratti con se stessa per l’esecuzione di opere; che l’espletata CTU aveva evidenziato che mancavano in atti il computo metrico ed elaborati tecnici che individuassero le aree interessate dai lavori, per cui la spesa sostenuta non poteva ritenersi giustificata in quanto non concretamente verificabile.

Avverso detta sentenza proponeva appello la GE.CO. 2000 s.n.c. (PSC a r.l.). Il Condominio (OMISSIS) restava contumace.

Con ordinanza n. 416/2015, depositata in data 6.8.2015, la Corte d’Appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari dichiarava l’inammissibilità dell’appello in quanto, per i motivi prospettati, non aveva ragionevoli probabilità di essere accolto.

Avverso la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania, con riferimento alla ordinanza della Corte d’Appello di Cagliari Sezione Distaccata di Sassari propone ricorso per cassazione la GE.CO. 2000 s.n.c. (già P.S.C. a r.l.) sulla base di tre motivi; l’intimato Condominio (OMISSIS) non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – In via pregiudiziale, va rilevato come del tutto correttamente la ricorrente abbia impugnato solo la sentenza di primo grado, laddove privo di rilievo è il “riferimento” alla ordinanza di inammissibilità dell’appello, resa ex art. 348 ter c.p.c.; che non è ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, ove (come nella specie: v. primo motivo) si denunci l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio “prognostico” che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione (Cass. sez. un. 1914 del 2016; conf. Cass. n. 23151 del 2018).

2. – Con il primo motivo, la società ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 99,112 c.p.c., art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4 e all’art. 24 Cost.”, denunciando la mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in quanto il Giudice di primo grado ha ritenuto di valutare come non giustificate le spese straordinarie senza che il Condominio (OMISSIS) avesse mai richiesto nell’atto introduttivo l’accertamento della congruità della spesa. Il presupposto indicato dall’attore nelle proprie conclusioni per la richiesta restituzione delle somme e il risarcimento del danno era la mancata approvazione assembleare della spesa straordinaria, cosa ben diversa dall’accertamento della congruità della medesima. Pertanto, non era compito del Giudice sopperire a tale carenza del contraddittorio e di offerta di prove. Invece, il Tribunale, partendo dalla mancata approvazione del rendiconto (peraltro dopo due precedenti assemblee andate deserte), costruiva l’istruttoria superando i limiti tracciati dall’attore, con evidente violazione del principio della dialettica processuale, che è espressione diretta del principio del diritto alla difesa di cui all’art. 24 Cost. Ed a tale proposito, la ricorrente segnala che la Corte d’Appello ometteva qualsiasi pronunciamento sia pure per statuirne la palese infondatezza.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Il Tribunale ha esplicitamente sottolineato (sentenza impugnata, pagina 3) come, in sede di atto introduttivo, il Condominio attore avesse mosso tutta una serie di censure all’operato dell’amministratore condominiale, ponendo in evidenza “(a) l’impiego di somme in eccedenza rispetto a quanto autorizzato in sede di bilancio preventivo 2013 e/o la mancata autorizzazione di talune spese ordinarie e straordinarie; (b) il prelievo di somme da fondi speciali vincolati ad altro uso; (c) l’impossibilità di controllare la congruità delle spese sostenute per genericità delle fatture poste a giustificazione delle stesse; (d) la non congruità delle spese in quanto non affiancate dalla richiesta di altri preventivi ad alte imprese ed in quanto la Ge.Co. 2000 PSC a. r.l. ha dato incarico a sè stessa per l’esecuzione dei lavori”.

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa – alla stregua delle risultanze istruttorie – autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonchè in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (Cass. n. 16809 del 2008; Cass. n. 10542 del 2003), purchè (come nella specie) restino immutati il petitum e la causa petendi (Cass. n. 2209 del 2016).

Nella specie, dunque, l’accertamento della congruità delle spese sostenute per genericità delle fatture emesse a giustificazione delle stesse, e l’affermazione della non congruità delle spese in quanto non affiancate dalla richiesta di altri preventivi ad altre imprese, rappresentano circostanze che, correttamente, il Tribunale ha considerato poste a fondamento della domanda (intesa in senso complessivo, a supporto del decisum, di cui in dispositivo), quale suo presupposto logico e contenuto sostanziale, senza mutarne la consistenza in termini di identità del petitum e della causa petendi.

3.1. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 1135 e 2697 c.c.”. La ricorrente società contesta che il Tribunale, in assenza della domanda di accertamento della congruità della spesa sostenuta, avesse potere di disporre la restituzione delle somme. Osserva parte ricorrente l’esercizio del potere dell’amministratore, di cui all’art. 1135 c.c., comma 2, non si basa su una delibera assembleare, in quanto al verificarsi delle ipotesi e delle condizioni di urgenza, l’amministratore può esercitare i poteri speciali, previsti dall’art. 1130 c.c., comma 1, nn. 3 e 4 e dall’art. 1135 c.c., comma 2, essendo così legittimato ad agire per la salvaguardia dei beni e dei diritti comuni contro ogni evento pregiudizievole, anche in assenza di delibera assembleare. Così gli atti compiuti dall’amministratore sono dotati di efficacia anche nel caso in cui, riferito di essi alla prima assemblea, vi sia dissenso nella maggioranza dei condomini, fatto salvo, ove ne sia data la prova nell’an e nel quantum, l’accertamento della mala gestio e il risarcimento del danno che l’operato dell’amministratore abbia cagionato al Condominio. La ricorrente sottolinea che, nella specie, è indubbio che l’eliminazione delle infiltrazioni di acqua fognaria rappresenti un intervento sia conservativo del diritto sia manutentivo di ordine urgente, anche a tutela dell’incolumità dei condomini e dei terzi frequentatori delle aree e quindi determinante dell’obbligo di agire sanzionato dall’art. 40 c.p., comma 2, Potendosi, del resto, considerarsi ingiustificata la spesa sostenuta solo con la prova della mala gestio dell’amministratore, posta a carico di colui che alleghi i fatti determinanti e gli effetti pregiudizievoli conseguenti all’operato di gestione. Ma, nella specie, la prova è mancata. Il Tribunale avrebbe dovuto accertare tale mala gestio, individuando l’effettivo pregiudizio dei diritti dei condomini, pregiudizio che, difettando la domanda di accertamento della congruità della spesa, non si poteva risolvere nella mancata approvazione assembleare della spesa. Nè l’attore ha provato il prelievo dai fondi di riserva intestati al Condominio da parte dell’amministratore, nè di ciò è emersa traccia nel corso della CTU.

3.2. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 1710,1711 e 2697 c.c.”, in quanto, per affermare che erano stati superati i limiti del mandato, il Condominio avrebbe dovuto provare che non sussistevano i presupposti per l’azione urgente ovvero la mala gestio. Essendo pacifica la sussistenza dei presupposti che imponevano all’amministratore di attivarsi senza indugio ed essendo provato che la ricorrente aveva provveduto a convocare due successive assemblee, andate deserte per mancanza del numero legale, l’operato dell’amministratore doveva essere dichiarato legittimo ex art. 1710 c.c., oltre che ricompreso nei limiti del mandato di amministrazione, il cui contenuto è integrato dalla disciplina speciale ex art. 1130 c.c., comma 1, nn. 3 e 4 e art. 1135 c.c., comma 2, norme che pongono a carico dell’amministratore solo l’onere di riferire alla prima assemblea sull’esercizio dei poteri, non certo l’onere di ricevere l’approvazione alla prima assemblea, la quale non esercita un potere di ratifica ma di controllo.

3.3. – In considerazione della loro connessione logico-giuridica e la analoga modalità di formulazione, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

3.4. – I motivi non sono fondati.

3.5. – Come già detto, l’errore logico ascritto dalla ricorrente alla pronuncia del Tribunale sta nella lamentata separazione della verifica dell’urgenza da quello della giustificazione della spesa anche riguardo ai limiti entro i quali l’assemblea condominiale ha autorizzato la spesa medesima. Infatti, per la ricorrente, se la necessità di intervento urgente dà facoltà all’amministratore di agire senza preventiva autorizzazione, tale facoltà si estende anche alla spesa, salva la motivata contestazione della mancanza di congruità.

Da ciò, la considerazione che l’attore nulla avesse allegato limitandosi a contestazioni generiche; così avendo il Tribunale (nell’accogliere la domanda) invertito l’onere della prova.

Va, per contro, rilevato che il Tribunale non ha affatto (espressamente o implicitamente) contestato l’ambito e le modalità di esercizio dei poteri dell’amministratore, e del relazionarsi del medesimo con i poteri dell’assemblea condominiale, come delineati dalla ricorrente e di cui alla motivazione delle censure mosse alla sentenza impugnata.

Per il resto, va ritenuto che la valutazione di fatto delle risultanze istruttorie resa dal Tribunale sia congrua e plausibile; come tale, sottratta quindi al sindacato di legittimità; laddove non è dato affermare alcuna inversione dell’onere della prova da parte del Tribunale medesimo.

Vale, infatti, il consolidato principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013).

Viceversa, così come articolate, le censure portate dai motivi riuniti si risolvono sostanzialmente nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando la società ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

4. – Il ricorso va dunque rigettato. Nulla per le spese in ragione del mancato svolgimento dell’attività difensiva da parte dell’intimato Condominio. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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