Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5521 del 01/03/2021

Cassazione civile sez. I, 01/03/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 01/03/2021), n.5521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CESARE Umberto Luigi – Presidente –

Dott. SCOTTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 32783/2018 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Machiavelli n.

47/50, presso lo studio dell’avvocata Antonia Di Maggio, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Prefettura di Roma;

– intimato –

avverso il decreto del GIUDICE DI PACE di ROMA, depositata il

17/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2020 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA;

udito, per il richiedente, l’avvocato AMEDEO BOSCAINO, per delega

scritta depositata in udienza;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso con richiesta di assegnazione del

ricorso all’esame delle Sezioni Unite; in subordine, per il rigetto

del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- A seguito di mandato Europeo, S.M., cittadino della Tunisia, è stato coattivamente condotto in Italia il 25 maggio 2012 e portato nel carcere di Rebibbia, ove è rimasto detenuto sino al 20 maggio 2018.

Nello stesso giorno del fine pena gli è stato notificato decreto di espulsione, emesso dal Prefetto di Roma: perchè “illegalmente presente in Italia”, considerato pure che “non sussistono le condizioni, affinchè allo stesso possa essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivo umanitari o ad altro titolo”, e inoltre che lo straniero non ha “prodotto documentazione che certifichi oggettive e gravi situazioni personali che non ne consentano l’allontanamento dal territorio nazionale”.

2.- Nei confronti del provvedimento prefettizio S.M. ha proposto opposizione avanti al Giudice di Pace di Roma. Che la ha respinta, con provvedimento datato 16 aprile 2018.

3.- Il giudice del merito ha rilevato, per quanto in questa sede può ancora venire in interesse, che “il provvedimento impugnato reca una motivazione adeguata, nella quale si evidenziano con chiarezza i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che costituiscono il fondamento”; il “decreto di espulsione risulta motivato in riferimento alla mancata regolarità della posizione di soggiorno dello straniero”; “Lo straniero è risultato privo del permesso di soggiorno, così come correttamente contestato e motivato dalla Prefettura di Roma, a nulla rilevando l’erronea indicazione della norma violata, posto che il Prefetto ha esaustivamente indicato il fatto che si contesta allo straniero, il quale, in ottemperanza a un ordine di custodia cautelare emesso in Italia in data 25/5/2012, veniva estradato in Italia”; “D’altronde, lo straniero non risulta neppure in possesso di regolare permesso di soggiorno rilasciato da un Paese dell’UE, posto che dalla copia della permesso di soggiorno rilasciato dal Belgio, lo stesso permesso risulta scaduto in data 6 aprile 2014”.

4.- S.M. ha proposto ricorso avverso questa decisione, affidandosi a tre motivi.

Il Prefetto di Roma è rimasto intimato.

5.- La controversia è stata portata all’esame della Prima Sezione civile ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., nell’ambito della camera di consiglio svoltasi il 16 gennaio 2020.

6.- Con ordinanza interlocutoria del 25 febbraio 2021, n. 5082, il Collegio ha ritenuto l’opportunità di disporre la trattazione della causa in pubblica udienza: “anche al fine di valutare l’eventuale incidenza o meno” portata dalla decisione di Cass. 9 gennaio 2020, n. 270, su “fattispecie sostanzialmente analoga a quella odierna”, sui principi già affermati, sebbene nella diversa ipotesi di mancata richiesta, a opera dello straniero detenuto, del rinnovo del permesso di soggiorno, da Cass., n. 6780/2017, Cass. n. 13364/2007, Cass., Cass., n. 1753/2006, Cass., n. 20936/2004 e Cass., n. 4883/2004″.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7.- I motivi di ricorso possono essere sintetizzati nei termini qui di seguito riportati.

7.1.- Primo motivo: “violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4”. Il motivo sostiene che la motivazione svolta dal giudice risulta “illogica e apparente”.

Affermare che il decreto di espulsione risulta argomentato con la “mancata regolarità della posizione di soggiorno dello straniero” – si spiega – crea solo un’apparenza di motivazione: nei fatti, non viene indicata la ragione della irregolarità così assunta. D’altra parte, l’ulteriore affermazione, per cui il ricorrente è “privo del permesso di soggiorno”, è “apodittica”.

Pure illogico, del resto, è “ritenere che l’essere stato estradato in Italia possa… costituire prova dell’essere privo del permesso di soggiorno: è lampante come l’una vicenda non si leghi in alcun modo all’altra, trovandosi su piani del tutto distinti e separati”.

7.2.- Secondo motivo: “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13”.

Sostiene il ricorrente che la “ragioni del decreto di espulsione emesso ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13 possono essere solo ed esclusivamente quelle ivi previste: la condizione di fatto del destinatario dell’atto deve necessariamente essere ricondotta a una delle figure tipiche, legali, previste dal legislatore. Ciò che non è nel caso di specie, ove il Prefetto ha descritto una vicenda che non integra, nè è riconducibile ad alcune delle figure normativamente previste”.

7.3.- Terzo motivo: “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2”.

Ad avviso del ricorrente, “anche ove si volesse ritenere che l’essere stato coattivamente condotto in Italia in carcere e che all’atto della rimessione in libertà il soggetto possa essere destinatario automaticamente – di un decreto di espulsione, quel che è certo che tale eventualità non rientra nella casistica specificamente indicata nell’art. 13, comma 2 lett. b), e individuata dal Prefetto”.

8.- I primi due motivi di ricorso vanno esaminati in modo congiunto, posta la stretta contiguità che li caratterizza.

In effetti, essi convergono nel proporre, al centro dei contenuti rispettivamente espressi, il quesito se sia legittimo, oppure no, il decreto di espulsione emesso nei confronti dello straniero che – nel momento della cessazione della misura restrittiva della libertà personale – non risulti provvisto di valido permesso di soggiorno o in ogni caso non abbia presentato la relativa richiesta nei termini prescritti.

9.- Come ha segnalato l’ordinanza interlocutoria (sopra, n. 6), che ha rimesso la controversia in esame al vaglio della pubblica udienza, al quesito ha risposto in termini negativi la recente pronuncia di Cass., n. 270/2020, con riferimento a una fattispecie in cui – com’è pure nella presente – lo straniero era stato condotto coattivamente nel territorio italiano, per essere poi espulso il giorno stesso del fine pena.

La stessa soluzione, di ordine negativo, era stata già adottata pure dalla sentenza di Cass., 1 aprile 2003, n. 4922, in relazione a un’ipotesi in cui lo straniero era entrato volontariamente nel territorio statale, per essere espulso al termine di una custodia cautelare medio tempore sopravvenuta (e cioè all’interno degli “otto giorni lavorativi” stabiliti dalla normativa dell’epoca).

A supporto di tale soluzione, queste pronunce hanno rilevato che il comportamento preso in considerazione dalla norma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b) “presuppone un atto volontario del soggetto interessato” (“l’espulsione è disposta dal prefetto, caso per caso, quando lo straniero… si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all’art. 27, comma 1 bis, o senza avere richiesto il permesso nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o rifiutato ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo,…”).

E hanno pure osservato, in via consecutiva, che, nel caso di carcerazione, questo comportamento è di certo assente, visto che allora “il soggetto è forzosamente trattenuto (nello Stato) a seguito dei provvedimento restrittivi emessi nei suoi confronti”.

10.- In altre occasioni, risalenti nel tempo, talune sentenze hanno invece dato risposta positiva al quesito sopra richiamato (n. 8).

Così è avvenuto, in particolare, per la decisione di Cass., 7 giugno 2007, n. 13364, con riferimento a un caso di decreto di espulsione emesso lo stesso giorno dell’intervenuta cessazione delle “modalità custodiali” dello straniero, che pure aveva presentato la richiesta prima della liberazione, ma tardiva rispetto alla scadenza del precedente permesso.

Così è stato pure per la pronuncia di Cass., 28 ottobre 2004, n. 20936, relativa a un caso in cui il decreto di espulsione cade nello stesso giorno in cui lo straniero viene trattenuto presso un CPTA (per completezza informativa è pure da ricordare che, delle altre pronunce richiamate dall’ordinanza interlocutoria di rimessione alla pubblica udienza, Cass., 15 marzo 2017, n. 6780 e Cass., 10 marzo 2004, n. 4883 riguardano casi in cui la detenzione incide su una parte solo del periodo intercorrente tra la scadenza del permesso di soggiorno e la concreta emissione del decreto di espulsione; quanto infine a Cass., 27 gennaio 2006, n. 1735, la parte descrittiva della decisione non consente di ricostruire con compiutezza gli elementi costitutivi della fattispecie concreta).

A base della soluzione così determinata le decisioni in discorso hanno posto il rilievo per cui lo “stato di carcerazione dello straniero non osta a che egli abbia a presentare domanda di permesso di soggiorno o di rinnovo del medesimo, tale carcerazione non costituendo in alcun modo forza maggiore idonea, D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 11, a impedire l’osservanza dell’obbligo, posto che la direzione dell’istituto penitenziario è obbligata a ricevere la domanda e a inoltrarla al Questore” (per quest’ultimo proposto, viene richiamata in particolare la previsione dell’art. 10, comma 4, regolamento di attuazione del T.U. sull’immigrazione reso con D.P.R. n. 394 del 1999).

11.- Fermati questi riscontri, va adesso osservato che il rilievo da ultimo riferito, appare in sè stesso senz’altro condivisibile: lo stato di custodia dello straniero non può rappresentare un caso di forza maggiore, se questo stato non preclude – non come impedimento formale, non come impedimento sostanziale – la possibilità di presentare la richiesta di permesso di soggiorno.

Per altro verso, si deve anche osservare, tuttavia, che detto rilievo si manifesta pure del tutto inidoneo a incidere sui termini del problema che è qui in esame.

Posto che la forma maggiore si pone, per sua stessa natura, come fattore esogeno che interviene a paralizzare l’efficacia di una prescrizione altrimenti operante, l’interrogativo sulla sua eventuale ricorrenza in una fattispecie concreta dà sì per scontata la soggezione della medesima alla prescrizione, ma non indica in alcun modo la ragione per cui ciò dovrebbe avvenire.

12.- D’altra parte, non meno evidente appare che, nella ricostruzione offerta da tale linea di pensiero, il fatto che la permanenza dello straniero nel territorio dello italiano abbia, o meno, causa diretta in una coazione esterna si manifesta circostanza del tutto accidentale, come in sè stessa per nulla rilevante.

Ciò tuttavia contrasta in modo frontale con l’idea che la richiesta del permesso di soggiorno – di potere permanere, cioè, nel territorio italiano – risponda a una scelta propria del richiedente, quale frutto di un suo libero processo di autodeterminazione. Secondo quanto risulta del resto confermato, e anzi sottolineato, proprio dal tenore testuale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, (cfr. sopra, nell’ultimo capoverso del n. 9).

Non può invero sfuggire la rilevanza che, nel caso della norma in questione, viene a rivestire la “sfumatura lessicale” prescelta dal legislatore: il richiamo allo straniero che “si è trattenuto nel territorio” delinea, in effetti, una prospettiva radicalmente diversa da quella che sarebbe seguita all’adozione di una formula imperniata sul mero fatto oggettivo della “permanenza” o del “trattenimento” dello straniero sul territorio italiano.

13.- Non pare poi punto da trascurare che – a seguire l’opinione per cui la detenzione in essere dello straniero è circostanza irrilevante ai fini dell’emissione del decreto di espulsione – la presentazione della domanda di rinnovo dovrebbe comunque essere compiuta entro i sessanta giorni dalla scadenza del precedente permesso di soggiorno: e ciò anche nell’ipotesi in cui la liberazione dello straniero sia prevista, dalla misura di restringimento della libertà personale, per un momento successivo a detta scadenza (e magari anche molto lontano nel tempo, nell’eventualità).

Di un simile incombente, tuttavia, appare difficile scorgere una qualche utilità: posto che, fino all’esaurimento della misura costrittiva, la permanenza dello straniero nel territorio trova comunque causa in una coazione esterna. Nè, per altro verso, si vede la ragionevolezza di una scelta normativa intesa a costringere gli stranieri, che siano attualmente detenuti, a presentare richieste di permesso di soggiorno che siano “ora per allora”.

14.- Dall’insieme delle considerazioni svolte discende, in definitiva, che – per l’ipotesi di stranieri che siano detenuti – la norma del D.Lgs. n. 286 del 1998 , art. 13, comma 2, lett. b), viene in applicazione (solo) dal momento in cui termina l’adozione nei loro confronti della misura restrittiva in essere.

Con l’ulteriore conseguenza, tra l’altro, che costoro possono presentare la richiesta di permesso di soggiorno, o di rinnovo del medesimo, anche nell’arco dei sessanta giorni successivi alla cessazione della misura restrittiva; e che, quindi, il decreto di espulsione può essere legittimamente emesso dopo che sia trascorso inutilmente questo periodo.

15.- Il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere quindi accolti.

L’accoglimento di questi motivi comporta assorbimento del terzo motivo di ricorso.

16.- In conclusione, va accolto il ricorso e la controversia rinviata al giudice di pace di Roma, che provvederà, in persona di diverso magistrato, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia la controversia al giudice di pace di Roma, che, in persona di diverso magistrato, provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2021

 

 

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