Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5517 del 06/03/2017

Cassazione civile, sez. I, 06/03/2017, (ud. 13/01/2017, dep.06/03/2017),  n. 5517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3163/2013 proposto da:

P.C., (c.f. (OMISSIS)), P.M. (c.f.

(OMISSIS)), P.O. (c.f. (OMISSIS)), P.P.

(c.f. (OMISSIS)), P.S. (c.f. (OMISSIS)), P.

Serbatoi di P. C.E. M. S.n.c. (c.f. (OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in

Roma, Viale Giuseppe Mazzini n.123, presso l’avvocato Cuozzo Maria,

rappresentati e difesi dall’avvocato Baldassini Rocco, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Roma Capitale, (già COMUNE DI ROMA), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove

n.21, presso l’Avvocatura Capitolina, rappresentata e difesa dagli

avvocati Rossi Domenico, Garofoli Umberto, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Roma Metropolitane S.r.l., in persona del Direttore Generale pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Francesco Crispi

n.89, presso l’avvocato Pontecorvo Leone, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Pontecorvo Barbara, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Metro C S.c.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Vittoria Colonna n.40, presso

l’avvocato Lipani Damiano, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Pellicciotti Emanuela, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

01/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2017 dal cons. MARULLI MARCO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato R. BALDASSINI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente Roma Metropolitana, B. PONTECORVO che

ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;

udito, per la controricorrente Metro C, l’Avvocato G. MAZZONE, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito, per la controricorrente ROMA CAPITALE, l’Avvocato U. GAROFOLI

che ha chiesto l’improcedibilità, inammissibilità del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso notificato il 18.1.2013 i ricorrenti P., nonchè la P. s.n.c. – i primi in quanto già proprietari di distinti cespiti oggetto di distinte procedure di esproprio con decreti contenenti altresì la determinazione provvisoria della relativa indennità, la società in quanto affittuaria dell’immobile espropriato – giudicando le predette indennità largamente insufficienti e sottostimate, adivano la Corte d’Appello di Roma onde sentir determinare giudizialmente l’indennità dovuta a fronte del patita ablazione “nella misura ed in funzione dell’effettivo valore di mercato dei beni espropriati”.

Il giudice distrettuale, all’esito dell’incardinato giudizio – nel corso del quale si costituivano la Metro C s.c.p.a. e la Roma Metropolitane s.r.l. mentre non si costituiva Roma Capitale – rilevando che il ricorso depositato il 12.1.2012, a seguito del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione per il 26.4.2012, era stato notificato a Roma Capitale il 26.3.2012, oltre, dunque, il termine dell’art. 702 bis c.p.c., dichiarava previamente improcedibile la domanda nei confronti di quest’ultima in difetto della sua costituzione.

Dichiarava invece inammissibile la domanda nei confronti delle altre due convenute, che costituendosi avevano sanato il rilevato vizio notificatorio, in quanto la proposizione del ricorso contro costoro era avvenuta fuori termine, atteso che, essendo stati i decreti impugnati notificati il 26.10.2011, il ricorso depositato il 12.1.2012 doveva appunto reputarsi tardivo essendo stato proposto oltre il termine di trenta giorni statuito dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 29, comma 3. A nulla rilevava in contrario, a giudizio del decidente, la circostanza che nella specie non fosse stata ancora determinata l’indennità definitiva di esproprio e che i ricorrenti avessero inteso richiedere, in ragione di ciò e nella persistente inerzia della competente Commissione Provinciale, la determinazione giudiziale di essa in relazione alla quale non era previsto alcun termine, atteso che l’argomento, replicando le ragioni già fatte proprie da Corte cost. sent. n. 67 del 1990, trovava risposta, nel vigore della novellata disciplina della materia ad opera del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nell’art. 22, comma 4, di tale decreto, disposizione che, rimandando nel caso di disaccordo sulla stima al procedimento di determinazione di cui al precedente art. 21, “pare disporre che, quanto all’indennità provvisoria, determinata in via d’urgenza, all’espropriato sia preclusa qualsivoglia opposizione, potendo esclusivamente chiedere la nomina dei tecnici ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21”; così come del pari non era “percorribile un’interpretazione costituzionalmente orientata” dell’art. 21 al fine di addivenire “immediatamente” ad una determinazione definitiva del’indennità dovuta, stante appunto il disposto dell’art. 22, citato che consente ora all’espropriato “di chiedere la nomina dei tecnici ai sensi del precedente art. 21”.

2. La cassazione dell’impugnata decisione è ora chiesta dai ricorrenti affidandosi a tre motivi di ricorso.

Ad essi replicano tutti gli intimati con controricorso.

Hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c., i ricorrenti, nonchè Roma Capitale e Roma Metropolitane s.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti P. si dolgono della duplice violazione di legge in cui ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è incorso il giudice adito nel dare applicazione al D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 29, e D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 22, comma 4, posto che, contrariamente a quanto da esso statuito, ferma in fatto la circostanza che nella specie non era stata ancora operata una determinazione in via definitiva dell’indennità, in relazione alla prima delle norme richiamate, andava osservato che, a fronte della rilevata circostanza di fatto, “non può iniziare a decorrere alcun termine di decadenza di trenta giorni, la cui decorrenza è invece indissolubilmente ancorata esclusivamente alla notifica della indennità definitiva di esproprio”, sicchè nel caso di una stima solo provvisoria, “in mancanza di una diversa previsione di legge e soprattutto in mancanza della previsione di uno specifico termine di decadenza, il termine a disposizione del proprietario per la proposizione del giudizio di opposizione alla stima è inevitabilmente quello decennale previsto per la prescrizione ordinaria”, con il conclusivo effetto che non poteva perciò ritenersi tardiva l’opposizione proposta dai ricorrenti oltre il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio, ma prima della determinazione dell’indennità definitiva; in relazione alla seconda delle norme anzidette si rendeva assorbente la considerazione che la nomina dei tecnici previsti dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21, a cui rimandava l’art. 22, comma 4, nel caso di disaccordo sull’indennità provvisoria, “rappresenta non un obbligo, ma semplicemente una mera facoltà di cui il proprietario è libero di avvalersi o meno”, di talchè essa “non può impedire che il proprietario, in presenza del decreto di esproprio e prima che sia determinata l’indennità definitiva di esproprio” possa esercitare il diritto ad opporsi nella forma della domanda giudiziale della stessa.

1.2. Il motivo – in relazione alla proposizione del quale va rilevato il difetto di legittimazione attiva della P. s.n.c., in quanto l’opposizione all’indennità di esproprio è preclusa a chi sia semplicemente titolare, come la detta società, di un diritto relativo di godimento sul bene che ne è oggetto – è fondato e va dunque accolto.

La Corte d’Appello ha ritenuto tardivo il ricorso proposto dai P. avverso la stima dell’indennità provvisoria loro comunicata ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 22, comma 1, in uno con la notificazione del decreto di esproprio, nella convinzione che l’opposizione in tal modo proposta, pur non avendo ad oggetto la determinazione in via definitiva dell’indennità dovuta, fosse comunque soggetta all’osservanza del termine previsto dal D.Lgs. n. 150 del 2001, art. 29, comma 1. Ed, in replica all’obiezione che il termine in questione non è applicabile al caso dell’indennità provvisoria, ha creduto di poter osservare che, assicurando l’ordinamento agli interessati gli adeguati mezzi di tutela – nella specie individuati nell’attivazione del procedimento di stima previsto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 22, comma 4 – “quanto all’indennità provvisoria, determinata in via d’urgenza, all’espropriato sia preclusa qualsivoglia opposizione, potendo esclusivamente chiedere la nomina dei tecnici ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21”.

1.3. Così ragionando il giudice adito è però incorso nel duplice errore di diritto lamentato dagli impugnanti.

Da un lato non si è infatti avveduto che il termine previsto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, citato art. 29, comma 3, (“l’opposizione va proposta, a pena di inammissibilità, entro il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio”), in osservanza del quale ha giudicato tardiva l’iniziativa processuale dei ricorrenti poichè, notificati i decreti di esproprio il 26.10.2011, costoro avevano proposto il ricorso per la determinazione giudiziale dell’indennità il 12.1.2002, opera solo in relazione al caso di una stima definitiva dell’indennità, sicchè come questa Corte, in relazione all’analoga disposizione recata dal previgente D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, comma 2 (“L’opposizione di cui al comma 1, va proposta, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio”) ha da ultimo annotato, “non essendo stata determinata la stima definitiva, il termine di decadenza non ha, dunque, neppure iniziato il suo decorso” e “l’azione (di determinazione giudiziale dell’indennità) resta proponibile per l’intera durata della prescrizione decennale, a far tempo dall’emanazione del provvedimento ablatorio” (Cass., Sez. 1^, 24/05/2016, n. 10720).

Dall’altro, non senza cadere in una vistosa contraddizione, laddove nel fatto di giudicare intempestiva l’azione dei ricorrenti è implicita l’ammissione che una tutela giudiziaria sia anche in questo caso pur sempre possibile, affermando che per la previsione dettata dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 22, comma 4, “all’espropriato sia preclusa qualsivoglia opposizione”, ha mostrato di trascurare un non secondario dato esegetico – quale è rappresentato dalla locuzione “può chiedere comunque la determinazione giudiziale dell’indennità”, che, ad onta del fatto di chiudere la prima parte del citato art. 54, comma 1, apre la via ad una più estesa tutela giudiziaria – e soprattutto di non cogliere in tutta la sua efficacia precettiva la portata del dictum di costituzionalità enunciato da Corte cost. sent. n. 67 del 1990 – che, si ricorderà, aveva dichiarato l’illegittimità della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19, comma 1, come modificato dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14, nella parte in cui non consentiva che in caso di espropriazione il proprietario del bene e gli altri interessati possano agire in giudizio per la determinazione dell’indennità loro dovuta per contrasto con l’art. 24 Cost. – e della quale invece si era mostrato ben conscio il legislatore del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 22, allorchè, nel rimandare al rimedio previsto dal precedente art. 21, non a caso si era espresso in termini facoltativi (“Se non condivide la determinazione della misura della indennità di espropriazione, entro il termine previsto dal comma 1, l’espropriato può chiedere la nomina dei tecnici, ai sensi dell’art. 21, e, se non condivide la relazione finale, può proporre l’opposizione alla stima”). Che del resto l’art. 54 citato, nella parte in commento, comprenda due azioni a tutela dell’espropriato è opinione ben salda nella giurisprudenza di questa Corte che anche di recente, in motivazione, ha ribadito che “l’azione di determinazione giudiziale dell’indennità di esproprio è, dunque, testualmente prevista dalla norma in esame, in aggiunta a quella di opposizione alla stima, come attestato dal contestuale utilizzo della congiunzione e dell’avverbio “e comunque” e “costituisce la codificazione del principio, costantemente affermato da questa Corte (Cass. n. 17604/2013; 11406/2012; 20997/2008; 11054/2001), secondo cui, una volta emanato il provvedimento ablativo sorge contestualmente, ed è per ciò stesso immediatamente azionabile, il diritto del proprietario a percepire il giusto indennizzo di cui art. 42 Cost., che si sostituisce al diritto reale, va determinato in riferimento alle caratteristiche del bene alla data del provvedimento, e non è subordinato alla liquidazione in sede amministrativa”. (Cass., Sez. 1^, 9/11/2016, n. 22844).

2.1. Con il secondo motivo di ricorso i P. fanno rilevare ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la contrarietà dell’impugnata decisione, nella parte in cui ha dichiarato improcedibile la domanda nei confronti di Roma Capitale, all’art. 702 bis c.p.c., comma 3, poichè la tardiva notifica del ricorso e del decreto di comparizione addotta dal decidente a fondamento di detta dichiarazione, “non comporta infatti nè la decadenza del ricorrente da alcun termine nè tanto meno alcuna ipotesi di inammissibilità e/o di improcedibilità del ricorso”, di modo che, una volta ritenuti applicabili nella specie gli artt. 164 e 291 c.p.c., il giudice adito avrebbe dovuto in accoglimento della richiesta formulata dalla loro difesa, “fissare una nuova udienza di comparizione con concessione di un nuovo termine per la notifica del ricorso e del decreto”.

2.2. Il motivo è fondato e la sua fondatezza assorbe il terzo motivo di ricorso, giusta il quale i ricorrenti denunciano la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, comma 4, poichè il giudice territoriale anzichè dichiarare improcedibile il ricorso nei confronti di Roma Capitale avrebbe dovuto verificarne preliminarmente “la legittimazione passiva “, con la conseguenza che in caso negativo ne avrebbe dovuto dichiarare il relativo difetto.

2.3. Quanto al motivo accolto va osservato che, sebbene trattasi di un procedimento speciale, il procedimento disciplinato dall’art. 702 bis c.p.c. e segg., costituisce un modello processuale alternativo al processo di cognizione ordinaria, al quale esso si affianca replicandone le finalità in quanto anche “per questa via si perviene all’accertamento del diritto come vi si giunge attraverso la via tracciata dall’art. 163 c.p.c. e ss.”, e dal quale tuttavia si differenzia sotto i tratti distintivi di una trattazione e di un istruttoria ispirata al principio di un’accentuata semplificazione. Di ciò è traccia, significativamente, nella regolazione della fase introduttiva del giudizio che adotta la forma del ricorso e contiene in termini volutamente brevi i tempi di instaurazione del contraddittorio, ma nella fedeltà alla comune radice che lo lega al modello della cognizione ordinaria si dà cura di prescrivere che il ricorso “deve contenere le indicazioni di cui ai nn. 1), 2), 3), 4), 5) e 6) e l’avvertimento di cui al n. 7), del terzo comma articolo 163”. Questo dà modo di credere, sebbene sul punto la disciplina di legge risulti alquanto laconica, che in caso di inosservanza dei requisiti afferenti tanto all’editio actionis che alla vocatio in ius si renda senz’altro applicabile, allorchè il convenuto non si costituisca e non sani con la propria costituzione il vizio rilevato, la regola della rinnovazione dell’atto introduttivo nullo ai sensi dell’art. 164 c.p.c., con l’assegnazione da parte del giudice di un termine perentorio per provvedere ad una nuova notificazione.

2.4. In questi termini si è del resto già espressa questa Corte (Cass., Sez. 2^, 29/09/2015, n. 19345) non solo rilevando la piena applicabilità al procedimento di cognizione sommaria dell’art. 164 citato, nella specie enunciata in relazione al caso del mancato avvertimento di cui all’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 7, rispetto al quale la Corte, prendendo atto della costituzione del convenuto, ha ritenuto per l’appunto applicabile l’art. 164 c.p.c., comma 3. Ma anche osservando con più diretto riferimento al caso che ne occupa – anche nella fattispecie affrontata nell’occasione era stata dedotta la perentorietà del termine previsto per la notificazione del ricorso – che la situazione processuale che in tal caso si delinea è del tutto sovrapponibile, in quanto in entrambi i casi si tratta di un procedimento in unico grado di merito introdotto con ricorso, a quella che è stato oggetto di un pertinente arresto delle Sezioni Unite, “le quali hanno affermato, con sentenza n. 5700/14, che in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza alla controparte non è perentorio, non essendo previsto espressamente dalla legge. Ne consegue che il giudice, nell’ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, può, in difetto di spontanea costituzione del resistente, concedere al ricorrente un nuovo termine, avente carattere perentorio, entro il quale rinnovare la notifica”.

2.5. E’ dunque di chiara evidenza l’errore processuale in cui si è imbattuto il giudice di merito allorchè, di fronte alla notificazione alla convenuta Roma Capitale del decreto di fissazione fuori termine e alla mancata comparizione di costei all’udienza fissata, in luogo di assegnare ai ricorrenti un nuovo termine per procedere alla rinnovazione della notifica nell’osservanza dei tempi previsti dall’art. 702 bis c.p.c., comma 3, ha invece ritenuto puramente e semplicemente improcedibile il ricorso giudicando erroneamente perentorio il termine per la notificazione e violando quindi la regola della rinnovazione.

3. Il ricorso va dunque accolto e l’ordinanza impugnata andrà doverosamente cassata con rinvio della causa avanti al giudice territoriale competente per la rinnovazione del giudizio a mente dell’art. 383 c.p.c., comma 1.

PQM

accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo; cassa l’impugnata ordinanza in relazione ai motivi accolti e rinvia avanti alla Corte d’Appello di Roma che in altra composizione provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2017

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