Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5515 del 06/03/2017

Cassazione civile, sez. I, 06/03/2017, (ud. 13/01/2017, dep.06/03/2017),  n. 5515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20796/2011 proposto da:

C.G. (C.F. (OMISSIS)), Ca.Gi., nella qualità

di eredi di Ca.Fr., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Celimontana n.38, presso l’avvocato Panariti Paolo, che li

rappresenta e difende, giusta procura per Notaio avv.

C.F. di (OMISSIS) – Rep. n. (OMISSIS) del (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

Terna – Rete Elettrica Nazionale S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

F. Denza n.15, presso l’avvocato Mastrolilli Stefano, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Covone Francesca,

giusta procura per Notaio dott. T.L. di (OMISSIS) – Rep. n.

(OMISSIS) del (OMISSIS);

– controricorrente –

e contro

ALCATEL ITALIA S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4586/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2017 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato P. PANARITI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato N. PAGNOTTA, con delega,

che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale PRATIS

PIERFELICE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Ca.Gi. e C.G., proprietari di un terreno in (OMISSIS) sul quale l’ENEL, ottenuto decreto di occupazione temporanea e d’urgenza per la durata di 3 anni, aveva realizzato una linea elettrica, costruita dalla Società Alcatel Italia S.p.A., adirono il Tribunale di Roma per ottenere il risarcimento del danno. Con sentenza non definitiva, il Tribunale rigettò la domanda, e dispose la prosecuzione del giudizio per statuire sulla domanda riconvenzionale di costituzione della servitù coattiva di elettrodotto. L’impugnazione dei proprietari fu rigettata dalla Corte d’Appello di Roma, ma la decisione fu cassata con sentenza di questa Corte n. 3403 del 2003, che, preso atto dell’avvenuta applicazione dell’istituto della c.d. occupazione acquisitiva, demandò al giudice di rinvio di stabilire in concreto se la realizzazione dell’elettrodotto avesse comportato la perdita della proprietà del suolo, perchè acquisito dall’amministrazione occupante, ovvero la costituzione di fatto di una servitù su di esso, e di provvedere, quindi, alla liquidazione del danno, nonchè di accertare il danno provocato dalla Società Alcatel durante la costruzione dell’elettrodotto.

Riassunto il giudizio, la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, accertò essersi verificato l’asservimento di fatto e condannò la TERNA S.p.A., già Enel S.p.A., al relativo risarcimento quantificato in Euro 2.000,00, tenuto conto delle caratteristiche del fondo, dell’entità delle opere in esso installate e della presenza dei cavi; condannò l’Alcatel Italia S.p.A. al pagamento della somma di Euro 1.476,51 per l’eliminazione di un basamento in cemento armato di un traliccio dismesso.

Per la cassazione della sentenza, la C. ed il Ca. hanno proposto ricorso per tre motivi; ai quali resiste la TERNA S.p.A., con controricorso. L’Alcatel non ha svolto difese. Il Ca. ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., oltre che vizio di motivazione, i ricorrenti lamentano che la Corte del merito abbia liquidato il risarcimento dovuto per l’asservimento del fondo in misura arbitraria ed irrisoria e senza tener conto del deprezzamento della porzione residua. Il valore venale del suolo, proseguono i ricorrenti, è stato calcolato dal CTU in ragione di L./mq. 1000 e, dunque, per un’area di complessivi mq. 218,89, in Euro 113,05: somma inferiore a quella (Euro 294,00) indicata dal medesimo consulente nel giudizio per la costituzione coattiva di servitù (pari ad Euro 294,90). In particolare, il valore unitario del fondo era stato calcolato a senso unico per dimostrare una sua utilizzabilità a pascolo, come puntualmente contestato dal consulente di parte in seno a rilievi depositati, rispetto ai quali la Corte territoriale era incorsa nel vizio di motivazione. Mancava, poi, la valutazione circa il deprezzamento del fondo residuo, pur essendo la questione stata sollevata dal CTP ed in sede di difese.

2. Il motivo è, in parte, inammissibile ed, in parte, infondato. 3. Occorre premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni dell’adesione e ciò in quanto l’accettazione di detto parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in cassazione (Cass. n. 28647 del 2013; n. 10222 del 2009; Cass. n. 3881 del 2006); peraltro, in questa sede di legittimità, la parte non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (Cass. n. 16368 del 2014).

4. Applicando tali principi nella specie, la genericità della doglianza appare evidente, essendo solo stati estrapolati alcuni dati contenuti nella consulenza d’ufficio ed in quella di parte, inidonei a far comprendere I’iter argomentativo svolto in seno alla consulenza d’ufficio e nei rilievi ad essa mossi, vizio che appare esiziale, tenuto conto che la Corte territoriale non solo si è fondata sui concludenti elementi fattuali desunti dalla CTU (distanza da centri abitati ed interclusione del fondo, fortemente scosceso), ma ha, poi, confutato, con motivazione congrua, le asserite maggiori potenzialità di sfruttamento economico del fondo (evidenziandone la sostanziale vocazione a pascolo, per le caratteristiche orografiche e d’isolamento, tenuto conto del mancato impianto del noccioleto e della presenza di sporadiche piante), ritenendo infine d’incrementare il dovuto, in riferimento alla presenza dei cavi, in una somma omnicomprensiva assai maggiore (Euro 2000,00) rispetto a quella indicata dal CTU (Euro 113,05), maggiorazione sulla quale deve escludersi ogni interesse alla censura da parte dei ricorrenti. La decisività delle censure, che tendono al riesame del merito, risulta, in definitiva, tutt’altro che accertata anche in riferimento all’estensione della superficie di fatto asservita.

5. Quanto al deprezzamento per il fondo residuo, da valutare alla stregua del precetto di cui al T.U. n. 1775 del 1933, art. 123, comma 1, essendo divenuta irrevocabile la statuizione di costituzione della servitù per espropriazione sostanziale e trattandosi di vicenda antecedente l’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, tale componente dell’indennizzo (e dunque del risarcimento) non opera in modo indistinto ed automatico, ma può essere attribuita, solo, quando sia dimostrata l’attualità del deprezzamento e comunque il suo documentato verificarsi in conseguenza della costituzione della predetta servitù (cfr. Cass. 3751 del 2012; n. 141 del 2003; 9343 del 1998, 954 del 1988) incidenza causale che non può essere individuata nella mera vicinanza con l’opera pubblica (Cass. n. 26265 del 2005). A tale stregua, la genericità della doglianza esclude, anche in parte qua, la sussistenza di alcun vizio motivazionale (tanto più che i ricorrenti riferiscono trattarsi dell’aggravamento di una preesistente servitù cfr. pag. 21 ricorso, penultimo cpv.), ed, in conseguenza, la fondatezza della dedotta falsa applicazione di legge, dovendo, poi, rilevarsi che la sentenza della Corte Cost. n. 46 del 1973, invocata dai ricorrenti non è pertinente, essendo con essa stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 123, comma 2, del TU Acque “nella parte in cui statuisce l’aggiunta del “soprappiù del quinto” alla indennità per servitù di elettrodotto”.

6. Inoltre, la questione relativa alla stima dell’intero fondo in ragione dei VAM, da cui discenderebbe l’irrisorietà del danno liquidato, non solo è generica, non avendo i ricorrenti riportato il passo della relazione di CTU fatta propria dalla Corte, ma è comunque incongrua, tenuto conto che, secondo la stessa prospettazione del ricorso, il VAM sarebbe poi stato elevato in considerazione “della suscettibilità edificatoria” (cfr. pag. 19 ricorso), e dunque di una valutazione in concreto del bene inciso, in conformità del principio di cui alla Corte Cost. con la sentenza n. 181 del 2011, che impone di determinare l’indennità di asservimento (e dunque il risarcimento), in riferimento a quella di esproprio, in base al valore venale del bene. Circa l’asserita minore appetibilità del fondo dovuta alla pericolosità dell’impianto e connessa all’opinione corrente secondo cui i campi magnetici sono estremamente pericolosi per la salute, va osservato, in conformità di quanto in precedenza ritenuto da questa Corte (cfr. Cass. n. 15629 del 2016 in motivazione), che il danno alla salute che può, in tesi, derivare dai campi elettromagnetici (risarcibile in un giudizio ordinario, come danno alle persone) esula dall’ambito delle voci da liquidare nel diverso ambito risarcitorio da costituizione della servitù di elettrodotto, nè giova ai ricorrenti la giurisprudenza richiamata (Cass. n. 22148 del 2010, ma vedi anche n. 14996 del 2013) perchè relativa a fattispecie in cui la vicinanza dei campi elettromagnetici aveva comportato – come accertato dalle indagini tecniche ivi svolte – una riduzione di valore dei terreni in riferimento al “rischio possibile o probabile” assunto dall’acquirente “medio”, restando quindi escluso che la riduzione di valore possa tout court presumersi, dovendo piuttosto essere specificamente accertata e ritenuta sussistente nel caso concreto.

7. Col secondo motivo, si deduce vizio di motivazione, violazione dell’art. 2043 c.c. e violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento “al capo relativo alla condanna dell’Alcatel al risarcimento del danno”. Già con la precedente sentenza, proseguono i ricorrenti, era stata affermata la possibilità della determinazione del danno cagionato dalla messa in opera della struttura, che la CTU svolta in primo grado aveva quantificato in Euro 518,84, e su tale voce la sentenza aveva taciuto. La liquidazione dell’importo di Euro 1.476,51 per la rimozione del basamento era stata effettuata mediante rinvio alla voce di prezziario regionale relativa alla demolizione del calcestruzzo con mezzi meccanici, anzichè quella relativa alla demolizione a mano, e non era stata arricchita di interessi e rivalutazione dal momento dell’illecito.

8. Il motivo è infondato. La circostanza che la liquidazione della voce di danno per la rimozione del basamento sia altra e diversa da quella dovuta alla lamentata modifica dello stato dei luoghi e considerata nella sentenza rescindente di questa Corte è del tutto priva di autosufficienza, non avendone i ricorrenti indicato la consistenza; e del pari totalmente generica è la contestazione relativa alla modalità di determinazione del dovuto, secondo i principi posti al p. 3, per non essere, neppure in relazione alla voce risarcitoria in esame, stato riportato alcun passaggio nè della consulenza d’ufficio nè dei rilievi ad essa mossi nella consulenza di parte, nè specificato se l’importo sia stato liquidato in moneta attuale.

9. Il terzo motivo, con cui si denuncia il capo relativo alla compensazione delle spese di lite, è inammissibile: ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile ratione temporis – prima della modifica introdotta dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a) -, il sindacato di questa Corte è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale ambito e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione, anche se priva di motivazione, dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi.

10. Tenuto conto del rigetto del presente giudizio di legittimità e dell’esito complessivo della lite, vanno interamente compensate tra le parti anche le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2017

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