Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5514 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. II, 28/02/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 28/02/2020), n.5514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20415-2015 proposto da:

Progetti Editoriali Srl, elettivamente domiciliato in Roma, Lung.Re

Dei Mellini 24, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Nicoletti,

rappresentato e difeso dall’avvocato Guido Uberto Tedeschi;

– ricorrente –

contro

Ditta Individuale B.F., rappresentata e difesa dall’avvocato

Roberto Giovanelli con studio in Reggio Emilia via Isonzo 62;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 63/2015 del Tribunale di Reggio Emilia,

depositata il 14/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/09/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dal ricorso, presentato dalla Progetti Editoriali srl, notificato in data 13-07-2015, avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, che aveva confermato la sentenza del Giudice di pace di Reggio Emilia con cui era stata accolta l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 1806/2012, emesso in data 3/9/2012 in favore della Progetti Editoriali srl e nei confronti della ditta individuale di B.F.;

– in data 03/09/2012 la Progetti Editoriali srl aveva ottenuto il decreto ingiuntivo n. 1806/2012 dal Giudice di pace di Reggio Emilia, con il quale s’ingiungeva alla ditta individuale B.F. di pagare la somma complessiva di Euro 3.182,30 oltre interessi moratori ex D.Lgs. n. 231 del 2002 e spese per la procedura ingiuntiva, liquidate in favore dell’avvocato F.A. ex art. 93 c.p.c.;

– detto decreto traeva origine da un contratto di acquisto di inserzioni e spazi pubblicitari, stipulato fra la ditta individuale B.F. (che acquistava gli spazi pubblicitari sulla pubblicazione intitolata “(OMISSIS)”) e la Progetti Editoriali srl (che li forniva);

– il contratto prevedeva una clausola di rinnovo automatico, all’art. 17 dello stesso, contenente anche le modalità di disdetta;

– B.F. si rendeva inadempiente all’obbligo di versare il corrispettivo pattuito per l’edizione 2010;

– di conseguenza veniva emesso un primo decreto ingiuntivo, n. 1356/2011, in data 13/06/2011, per la somma di Euro 3.358,25 oltre interessi moratori;

– contro detta ingiunzione di pagamento non fu proposta opposizione nei termini di legge e quindi essa passò in giudicato;

– alla nuova scadenza il contratto si rinnovò automaticamente, ai sensi della medesima clausola contenuta nell’art. 17 del contratto;

– successivamente a questo rinnovo la ditta individuale B.F. si rendeva inadempiente per il pagamento relativo all’anno 2012;

– veniva nuovamente richiesto un decreto ingiuntivo, contro il quale il debitore presentava opposizione in data 18/19/2012, deducendo, nell’unico motivo, che il contratto si fosse già risolto, per intervenuta disdetta, inviata alla Progetti Editoriali srl in data 26/10/2011;

– si costituiva la Progetti Editoriali srl affermando che il contratto non poteva considerarsi validamente risolto, essendo spirato il termine per l’esercizio del diritto di recesso, ai sensi dell’art. 17 del contratto;

– il giudice di pace accoglieva l’opposizione con sentenza n. 1405/2013, revocando il decreto ingiuntivo n. 1806/2012;

-il giudice di pace ha ritenuto tempestiva la disdetta, in quanto inviata molti mesi prima (circa 8) e ha ritenuto che il termine per la disdetta fosse affidato ad un fatto meramente potestativo del fornitore e come tale nullo ai sensi del 1355 c.c. (infatti, secondo l’art. 17 del contratto, la disdetta doveva obbligatoriamente essere comunicata, tramite raccomandata A/R, solo nel mese di pubblicazione dell’opuscolo pubblicitario e in quello immediatamente successivo, eventi sottoposti alla sola valutazione della casa editrice);

– avverso detta sentenza veniva proposto appello, in data 13/02/2014, innanzi al Tribunale di Reggio Emilia, dalla Progetti Editoriali srl;

– la società affermava che andava considerato il passaggio in giudicato del primo decreto ingiuntivo (n. 1356/2011), nel senso che esso fosse idoneo a precludere successivi accertamenti sul contratto posto a fondamento di quello;

– in secondo luogo l’appellante affermava che la clausola di cui all’art. 17 del contratto non poteva considerarsi come meramente potestativa e sottoposta all’arbitrio del fornitore;

– si costituiva la ditta B.F., chiedendo la conferma della sentenza di primo grado;

– il Tribunale di Reggio Emilia, quale giudice d’appello, rigettava l’impugnazione, ritenendo che la clausola contestata fosse contraria a buona fede e violasse l’equilibrio dei contrapposti interessi delle parti;

-la cassazione di detta sentenza viene chiesta dalla Progetti Editoriali srl, sulla scorta di ricorso affidato a due motivi;

– la ditta individuale B.F. ha resistito mediante

controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove il giudice del gravame avrebbe errato nel ritenere che il giudicato relativo al decreto ingiuntivo non opposto, n. 1356/2011, fosse inidoneo a produrre effetti nel giudizio in corso, relativo al nuovo decreto ingiuntivo n. 1806/2012;

– il passaggio in giudicato del primo decreto ingiuntivo produrrebbe una preclusione per i successivi giudizi aventi ad oggetto il titolo su cui il credito e il rapporto si fondano;

– il motivo è infondato;

– come correttamente motivato dal Tribunale di Reggio Emilia (pagina 3 della sentenza impugnata), il giudicato sul primo decreto ingiuntivo non può esplicare efficacia nel giudizio monitorio relativo al decreto ingiuntivo successivo, essendo, il primo, relativo all’annualità del 2011 e ad un preciso credito; -questa Corte ha affermato che il provvedimento giurisdizionale di merito, anche quando sia passato in giudicato, non è vincolante in altri giudizi aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, se da esso non sia dato ricavare le ragioni della decisione ed i principi di diritto che ne costituiscono il fondamento;

– pertanto, quando il giudicato si sia formato per effetto di mancata opposizione a decreto ingiuntivo recante condanna al pagamento di un credito con carattere di periodicità, il debitore non può più contestare il proprio obbligo relativamente al periodo indicato nel ricorso monitorio, ma – in mancanza di esplicita motivazione sulle questioni di diritto nel provvedimento monitorio – non gli è inibito contestarlo per le periodicità successive (cfr. Cass. n. 23918 del 25/11/2010;

– infatti, il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione, mentre non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del “petitum” ovvero della “causa petendi” in seno alla domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto esecutivo (cfr. Cass. n. 11360/2010);

– il giudicato su un giudizio monitorio, non può quindi precludere ulteriori e diverse valutazioni sul titolo, se rilevano i requisiti di novità esposti da questa Corte;

– il giudice del merito si è attenuto a questi principi e pertanto il primo motivo è infondato;

– con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1372 e 1375 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– il motivo, formalmente unico, in realtà è diviso in due parti, anche se logicamente connesse tra loro;

– nella prima parte il ricorrente lamenta un vizio di ultra-petizione in cui sarebbe incorso il giudice del gravame, in quanto la ditta B.F. non avrebbe mai dedotto che dal contratto di acquisto di servizi e spazi pubblicitari, nè dal meccanismo di rinnovo tacito ed automatico dello stesso, fosse derivato ai danni della stessa un abuso del diritto;

– inoltre la ditta individuale B.F. mai avrebbe dedotto di aver subito alcuna limitazione del proprio diritto di recesso;

– la seconda parte del motivo censura la decisione del giudice d’appello che ha ritenuto che le modalità di recesso, contenute nell’art. 17 del contratto, fossero contrarie a buona fede;

– secondo il ricorrente la clausola in questione non costituirebbe violazione del principio di buona fede, in quanto essa non produrrebbe un abuso del diritto;

– il giudice del gravame sarebbe incorso in un illegittima intromissione nell’autonomia delle parti che avrebbe determinato quelle modalità di recesso;

– entrambi i profili del secondo motivo sono infondati;

– infatti il giudizio di appello ha avuto per oggetto la natura e l’interpretazione della clausola contenente le modalità di recesso dal contratto ed è proprio relativamente a detto petitum che il giudice si è pronunciato (si vedano le pagine 3, 4 e 5 della sentenza impugnata);

– per quanto riguarda la seconda parte del motivo va considerato come il principio di buona fede, di cui agli artt. 1175,1366 e 1375 c.c., consista nel bilanciamento degli opposti interessi delle parti, alla luce del principio di solidarietà costituzionale;

– l’abuso del diritto si verifica quindi ogni volta in cui si delinea una violazione del criterio di buona fede oggettiva, consistente nella violazione di quei requisiti di equilibrio e proporzione degli opposti interessi su cui si deve fondare il rapporto contrattuale; questa corte ha affermato che si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti. Ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall’esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell’individuo o dell’imprenditore, giacchè ciò che è censurato in tal caso non è l’atto di autonomia negoziale, ma l’abuso di esso (cfr. Cass. n. 20106 del 18/09/2009);

– venendo al caso di specie, il giudice ha fatto applicazione del richiamato orientamento giurisprudenziale e, pertanto, anche questa censura è infondata;

– atteso l’esito sfavorevole di entrambe le censure, il ricorso va respinto;

– in applicazione del principio di soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente e liquidate in Euro 2000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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