Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 551 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 11/01/2017, (ud. 10/11/2016, dep.11/01/2017),  n. 551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1431-2016 proposto da:

COMUNE MICIGLIANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOLA

RICCIOTTI 9, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO COLACINO, che

lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1008/15 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 02/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Perugia in data 18 dicembre 2014, il Comune di Micigliano chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo civile svoltosi tra il ricorrente ed il Comune di Rieti conclusosi solo in data 6/5/2014 a seguito del passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Cassazione n. 7200 del 21/3/2013 che aveva posto fine alla vertenza decidendo anche nel merito.

Evidenziava che il giudizio era stato intrapreso con citazione del 22 settembre 1966, e che era stato definito in primo grado con sentenza del 15/5/1993 che aveva affermato il difetto di giurisdizione del G.O. in favore del Commissario regionale per la liquidazione degli usi civici del Lazio. La Corte d’Appello di Roma, a seguito di gravame proposto dal Comune di Rieti, con sentenza del 4/5/1997 aveva invece affermato la giurisdizione del G.O., e riassunta la causa dinanzi al Tribunale di Rieti, questi con sentenza del 15/1/2002 aveva rigettato la domanda del Comune di Rieti, il quale aveva nuovamente appellato la decisione dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, che in riforma della stessa aveva condannato il Comune ricorrente al pagamento della somma di 219.170,09.

Infine la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7200 del 21 marzo 2013 aveva respinto il ricorso del Comune di Micigliano.

Con decreto del 23/1/2015 il Consigliere delegato della Corte d’Appello di Perugia dichiarava il ricorso inammissibile in quanto tardivo, e la statuizione era confermata dalla Corte in composizione collegiale, all’esito dell’opposizione proposta dal Comune, con decreto del 2/7/2015, osservandosi che il processo presupposto si era concluso con la sentenza della Corte di cassazione, sicchè la domanda di equa riparazione andava proposta nei sei mesi da tale termine, non potendosi a tal fine tenere conto del fatto che la decisione fosse stata suscettibile di ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c.

Per la cassazione di questo decreto il ricorrente ha proposto ricorso affidato a due motivi.

L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Con il primo motivo di censura, il ricorrente critica il decreto impugnato per violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 in relazione anche al disposto degli artt. 324 e 391 bis c.p.c.

Infatti non può condividersi l’assunto della Corte distrettuale per il quale le sentenze della Corte di Cassazione passano in giudicato anche se potenzialmente suscettibili di impugnativa per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4.

Inoltre deve ritenersi che a seguito della pronuncia della Cassazione, passi in giudicato non già la stessa sentenza della Suprema Corte, in quanto suscettibile di revocazione, ma quella impugnata in sede di legittimità.

Con il secondo motivo si prospetta il dubbio di illegittimità costituzionale dell’art. 391 bis c.p.c. per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost. nella parte in cui si ritenga che, per effetto del comma 4 norma in esame, sia previsto l’immediato passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Cassazione, non potendo ritenersi giustificata la disparità di trattamento rispetto alla sorte riservata alle altre sentenze che siano comunque suscettibili di revocazione ordinaria ex art. 395 c.p.c., n. 4.

Il ricorso non merita accoglimento.

Come da ultimo ribadito da Cass. n. 4679/2013, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, applicabile alla specie ratione temporis, stabilisce: La domanda di riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva (conf. Cass. n. 21863/2012).

Secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, ai fini dell’individuazione della data di decorrenza del termine di decadenza di sei mesi per la proponibilità della domanda, la decisione conclusiva del procedimento, nel quale la violazione si assume verificata, diventa definitiva con il passaggio in giudicato della sentenza che lo definisce (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 1775 del 2012, 7874 e 24450 del 2006).

E’ stato quindi enunciato il principio di diritto – correttamente richiamato dai Giudici a quibus – secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, il termine semestrale di decadenza per la proposizione della relativa domanda, previsto dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, decorre dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione che conclude il processo della cui durata si discute, sicchè detto termine, una volta spirato, non può essere riaperto, ed a tempo indeterminato, per effetto del ricorso per revocazione della sentenza conclusiva del processo presupposto che, costituendo un mezzo di impugnazione straordinario, non è legato da “rapporto di unicità” con il giudizio di revocazione (cfr. la sentenza n. 24358 del 2006, seguita per i giudizi in materia pensionistica dinanzi alla Corte dei conti, dalle sentenze nn. 15778 del 2010, 3189, 8917 e 9843 del 2012);

Applicando tali principi alla fattispecie, non può esservi dubbio che – nel caso in cui, quale quello di specie, il processo presupposto sia stato definito con sentenza della Corte di cassazione, di reiezione del ricorso, il dies a quo del termine semestrale, di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, coincide con la pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione che ha respinto il ricorso, ovvero ha deciso nel merito la causa, senza disporre il rinvio, determinando in tal modo il passaggio in giudicato della decisione impugnata con il ricorso ordinario per cassazione ovvero della pronuncia di merito direttamente assunta dalla Suprema Corte.

Appare poi del tutto inconsistente il dubbio di legittimità costituzionale oggetto del secondo motivo di ricorso, posto che è la stessa peculiare posizione ordinamentale che riveste la Corte di Cassazione a giustificare il passaggio in giudicato delle sue pronunce, anche laddove abbia deciso nel merito, dovendosi in ogni caso assegnare il carattere di straordinarietà al rimedio della revocazione di cui all’art. 391 bis c.p.c.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

Tuttavia risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte suprema di cassazione, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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