Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5509 del 06/03/2017

Cassazione civile, sez. I, 06/03/2017, (ud. 01/12/2016, dep.06/03/2017),  n. 5509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in Roma, al viale B. Buozzi

n. 36, presso l’avv. ROBERTO AFELTRA, dal quale è rappresentata e

difesa in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.F., elettivamente domiciliato in Roma, alla

circumvallazione Trionfale n. 123, presso l’avv. SILVIA GINOCCHI,

dalla quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale

a margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 5821/13,

pubblicata il 30 ottobre 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1

dicembre 2016 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

uditi i difensori delle parti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CERONI Francesca, la quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso, con la trasmissione degli atti alla

Procura della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia ed

alla Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 7 dicembre 2010, il Tribunale di Civitavecchia pronunciò la separazione personale dei coniugi C.A. e P.F., accogliendo la domanda di addebito proposta dalla prima e rigettando quella proposta dal secondo, disponendo l’affidamento condiviso dei due figli minori, con collocazione prevalente presso la madre, alla quale assegnò la casa coniugale, e ponendo a carico del P. l’obbligo di corrispondere un assegno mensile di Euro 800,00 a titolo di contributo per il mantenimento della C. ed un assegno mensile di Euro 1.000,00 a titolo di contributo per il mantenimento di ciascun figlio, oltre al 75% delle spese straordinarie.

2. – L’impugnazione proposta dalla C. è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Roma, che con sentenza del 30 ottobre 2013 ha parzialmente accolto il gravame incidentale proposto dal P., riducendo ad Euro 600,00 l’assegno mensile dovuto per il mantenimento di ciascun figlio, con decorrenza dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado.

A fondamento della decisione, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto non decisivo, ai fini della valutazione della capacità reddituale del P., l’ammontare lordo del ricavato della sua attività imprenditoriale, considerandolo espressivo della capacità produttiva dell’impresa, ma inidoneo ad evidenziare la capacità di guadagno del titolare, sulla quale incidevano anche i costi delle materie prime, del personale, etc.; esclusa inoltre la possibilità di avvalersi del notorio per l’individuazione di importi non fatturati, ha richiamato le dichiarazioni fiscali prodotte in giudizio, relative agli ultimi tre anni d’imposta, osservando che dalle stesse emergeva la conduzione di un’attività nel settore meccanico in grado di generare ricavi ed utili, anche se con andamento incostante, e ritenendola pertanto indicativa di un reddito medio mensile collocabile intorno ai 3.000,00-3.500,00 Euro, sulla base del quale ha determinato l’importo dell’assegno. In proposito, ha disatteso i rilievi sollevati dall’appellante, osservando che il divario tra i dati contabili riportati nelle dichiarazioni e le entrate complessive del conto corrente trovava giustificazione nella circostanza che nella dichiarazione i ricavi sono indicati al netto dell’IVA: ha aggiunto che i beni immobili risultavano indicati, mentre i fondi pensione non devono essere riportati nella dichiarazione dei redditi, e l’esistenza di prestiti avrebbe dovuto essere considerata indicativa di uno stato debitorio. Quanto alla situazione economico-patrimoniale della C., ha rilevato che essa era titolare soltanto del reddito derivante dall’assegno di mantenimento, avendo lavorato soltanto per qualche mese come donna delle pulizie, non ricavando alcun utile dalla quota dell’impresa dei propri familiari di cui era titolare, ed usufruendo della casa familiare in comproprietà con il coniuge: ha ritenuto pertanto congruo l’importo riconosciutole dal Tribunale, riducendo invece quello stabilito per il mantenimento dei figli, in considerazione della percentuale delle spese straordinarie posta a carico del P. e dell’utilizzazione della casa coniugale in comproprietà tra i genitori.

3. Avverso la predetta sentenza la C. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Il P. ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, affermando che, nel far decorrere dalla pubblicazione della sentenza di primo grado la riduzione dell’assegno previsto per il mantenimento dei figli, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del carattere sostanzialmente alimentare del contributo in questione, il quale impone di contemperare la normale retroattività della relativa statuizione con i principi d’irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni alimentari.

1.1. Il motivo è fondato.

In tema di separazione personale dei coniugi, il carattere sostanzialmente alimentare dell’assegno liquidato a titolo di contributo per il mantenimento del coniuge e dei figli ha indotto questa Corte ad affermare ripetutamente che, qualora ne sia stata disposta la riduzione, l’operatività della stessa decorre dal momento della pronuncia giudiziale che ne abbia modificato la misura: il principio secondo cui la statuizione giudiziale di riduzione opera retroattivamente dalla domanda dev’essere infatti contemperato con il principio d’irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità della prestazione in esame, con la conseguenza che la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, l’importo originariamente stabilito non può essere costretta a restituirlo, nè può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo (cfr. Cass., Sez. 6, 4 luglio 2016, n. 13609; Cass., Sez. 1, 20 luglio 2015, n. 15186; 10 dicembre 2008, n. 28987). Non può pertanto condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, dopo aver disposto la riduzione dell’assegno dovuto dal P. per il mantenimento dei figli, collocati prevalentemente presso la C., ha fatto decorrere gli effetti di tale statuizione dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, in tal modo incidendo retroattivamente sulla misura del predetto contributo, e facendo sorgere a carico della ricorrente l’obbligo di restituire le somme ricevute in eccedenza rispetto all’importo definitivamente liquidato, in contrasto con il principio d’irripetibilità e con la funzione alimentare dell’assegno, destinato al sostentamento dei minori.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che, nella determinazione dello assegno di mantenimento, la sentenza impugnata non ha considerato che lo stesso dev’essere tale da consentire al coniuge separato la conservazione del tenore di vita goduto nel corso della convivenza, ovverosia di quello che l’altro coniuge avrebbe dovuto garantirgli in base alle sue possibilità economiche, il cui indicatore può essere individuato nel divario reddituale tra i coniugi. Nel valutare la capacità reddituale del P., la Corte di merito si è attenuta alle risultanze delle sue dichiarazioni dei redditi, ritenute inverosimili dalla sentenza di primo grado, omettendo di rilevare che a) quelle relative agli anni 2009 e 2010 non recavano l’attestazione di coerenza e congruità agli studi di settore, mentre quella relativa allo anno 2011 mancava degli studi di settore, b) i componenti positivi del reddito, i ricavi delle vendite e le entrate del conto corrente non coincidevano, c) i fondi pensione erano stati indicati ed avrebbero quindi dovuto essere valutati, d) i mutui contratti costituivano manifestazione di capacità contributiva. A fronte di tali incongruenze, la sentenza impugnata ha immotivatamente rifiutato di procedere ai necessari approfondimenti istruttori, trascurando anche la circostanza che, in conseguenza della separazione, essa ricorrente era venuta a trovarsi in situazione di reale indigenza, essendo stata arbitrariamente estromessa dall’impresa comune al cui sviluppo aveva contribuito con il suo impegno, anche economico, e la sua capacità imprenditoriale. Nel disporre la riduzione dell’assegno dovuto per il mantenimento dei figli, la Corte di merito si è infine discostata ingiustificatamente dai parametri di cui all’art. 155 c.c., comma 4, non avendo tenuto conto delle condizioni economiche delle parti, del pregresso tenore di vita, delle attuali esigenze dei figli, dei tempi di permanenza con ciascun genitore e della valenza economica dei compiti domestici e di cura.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

Ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell’assegno di mantenimento, la sentenza impugnata si è puntualmente attenuta al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’insorgenza del relativo diritto è subordinata all’indisponibilità di adeguati redditi propri, ovverosia di redditi che consentano al richiedente di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, ed alla sussistenza di una disparità economica tra le parti, da valutarsi in relazione alle risorse patrimoniali ed alle potenzialità reddituali complessive di ciascuna di esse (cfr. Cass., Sez. 1, 27 giugno 2006, n. 14840; 30 marzo 2005, n. 6712; 22 ottobre 2004, n. 20368). Pur affermando di non poter procedere ad un approfondito esame dei rilievi sollevati dalla C. in ordine alla documentazione fiscale prodotta dal P., la Corte di merito ne ha ampiamente riportato le risultanze, valutandone motivatamente l’attendibilità in relazione alle critiche mosse dalla ricorrente, comparandole con gli elementi acquisiti in ordine alla situazione lavorativa e reddituale di quest’ultima, e pervenendo in tal modo all’accertamento di un divario economico ritenuto superabile attraverso la corresponsione dell’importo posto a carico del controricorrente. Tale apprezzamento trova conforto nel consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui lo accertamento delle condizioni economiche delle parti, ai fini della liquidazione dell’assegno di mantenimento sia per il coniuge che per i figli, non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti mediante l’acquisizione di dati numerici o rigorose analisi contabili e finanziarie, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, attraverso la quale sia possibile pervenire a fissare l’erogazione di una somma corrispondente alle esigenze dell’avente diritto (cfr. Cass., Sez. 1, 7 dicembre 2007, n. 25618: 5 novembre 2007, n. 23051).

Nel contestare la predetta valutazione, la ricorrente non è in grado di indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, ma si limita ad insistere sui rilievi già sollevati nella precedente fase processuale, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, un nuovo apprezzamento delle risultanze istruttorie, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica della valutazione compiuta nella sentenza impugnata, nei limiti in cui la stessa è censurabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. Tale disposizione, circoscrivendo l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclude infatti la possibilità di estendere l’ambito di applicabilità dell’art. 360, comma 1, n. 5 cit. al di fuori delle ipotesi, nella fattispecie non ricorrenti, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere d’individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. 6, 8 ottobre 2014, n. 21257).

3. – Per analoghe ragioni, è inammissibile l’unico motivo del ricorso incidentale, con cui il controricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Premesso infatti che la conferma dell’importo dell’assegno riconosciuto in favore del coniuge si pone in contrasto con la riduzione di quello posto a suo carico per il mantenimento dei figli, in conseguenza dell’accertata insussistenza della situazione economico-patrimoniale prospettata a sostegno della relativa domanda, il P. sostiene che, nel confermare il predetto importo, la Corte di merito non ha considerato che il coniuge percettore di redditi non può essere condannato a corrispondere all’altro una somma pari alla metà dei propri redditi.

3.1. La mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione è di per sè inidonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal citato D.L. n. 83, art. 54 in quanto tale disposizione, attribuendo rilievo esclusivamente all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, richiede, ai fini della censurabilità dell’accertamento compiuto dal giudice di merito, che sia stato totalmente pretermesso un fatto storico idoneo ad orientare diversamente la decisione, ovvero che la motivazione svolta al riguardo risulti meramente apparente oppure perplessa ed obiettivamente incomprensibile, o ancora caratterizzata da argomentazioni tra loro inconciliabili (cfr. Cass., Sez. 6, 6 luglio 2015, n. 13928; 8 ottobre 2014, n. 21257; 9 giugno 2014, n. 12928).

4. Il ricorso principale va pertanto accolto, limitatamente al primo motivo, mentre il secondo motivo va dichiarato inammissibile, così come il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, nei limiti segnati dal motivo accolto, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., disponendo che la riduzione dell’assegno dovuto dal controricorrente per il mantenimento dei figli decorra dalla data di pubblicazione della sentenza d’appello.

L’esito complessivo della lite, caratterizzato dall’accoglimento soltanto parziale della domanda proposta dalla ricorrente, giustifica la dichiarazione dell’integrale compensazione tra le parti delle spese dei tre gradi di giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il secondo motivo ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, dispone che la riduzione dell’assegno posto a carico di P.F. a titolo di contributo per il mantenimento dei figli decorra dalla data di pubblicazione della sentenza d’appello; dichiara interamente compensate tra le parti le spese dei tre gradi di giudizio.

Ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52 dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2017

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