Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5507 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. I, 08/03/2010, (ud. 01/12/2009, dep. 08/03/2010), n.5507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A. e P.N., elettivamente domiciliati in

Roma, viale Margherita 37, presso l’avv. Alessandro Barretta,

rappresentati e difesi dall’avv. Martino Francesco giusta delega in

atti;

– ricorrenti e controricorrenti –

contro

Consorzio AS.CO.S.A., in persona del legale rappresentante

elettivamente domiciliato in Roma, via dell’Orso 74, presso l’avv. Di

Martino Paolo, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente ricorrente incidentale –

Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente,

domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1493/03 del

5.5.2003.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza

dell’1.12.2009 dal Relatore Cons. Dr. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Martino per i ricorrenti e Di Martino per il

Consorzio;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

con atto di citazione del 30.6.1993 C.A. e P. N. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Napoli il Commissario di Governo per le aree esterne al Comune di Napoli, per sentirlo condannare a risarcirli del deprezzamento di un fabbricato di loro proprietà, derivante dalla realizzazione di una strada a scorrimento veloce. Chiamato in causa dal Commissario straordinario, si costituiva in giudizio anche il Consorzio AS.CO.S.A., quale concessionario della costruzione della strada in questione, ed il tribunale, con sentenza non definitiva, rigettava la domanda nei confronti dell’originario convenuto, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda di rivalsa proposta dalla AS.CO.S.A. contro il concedente e disponeva la prosecuzione della trattazione per gli adempimenti istruttori, relativamente a quella formulata avverso il Consorzio chiamato in causa.

La sentenza veniva impugnata e poi modificata in sede di gravame nei seguenti termini: a) dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario per la domanda di rivalsa del Consorzio; b) inammissibilità del motivo di appello dello stesso Consorzio; c) infondatezza dell’impugnazione incidentale di C. e P..

All’esito del giudizio di primo grado, nel frattempo proseguito in relazione alle altre domande, il Tribunale condannava solidalmente il Commissario di Governo e la AS.CO.S.A. al pagamento di L. 86.679.401 in favore di C.A. e P.N., oltre interessi sulla somma di L. 84.859.388, con decorrenza dal 16.9.1997 alla data del deposito della sentenza.

La sentenza veniva impugnata da tutte le parti in causa e la Corte di appello, modificando la decisione di primo grado, dichiarava inammissibile la domanda degli originari istanti nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e quella di rivalsa del Consorzio nei confronti di quest’ultima, mentre condannava il Consorzio al pagamento di Euro 18.492,95 ciascuno in favore di C. e P., statuendo inoltre in modo articolato sulle spese di lite.

In particolare la Corte dichiarava inammissibile l’originaria domanda di condanna della Presidenza del Consiglio al pagamento dell’indennità L. 25 giugno 1865, n. 2359, ex art. 46, per l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza del tribunale in data 17.4.1996, con la quale era stata affermata l’estraneità della convenuta alla pretesa creditoria di C. e P., previa qualificazione della loro domanda come finalizzata a percepire l’indennità di cui al citato articolo; riteneva analogamente che si fosse formato il giudicato interno sia sulla qualificazione giuridica della domanda contro il Consorzio, sia sulla legittimazione passiva di quest’ultimo, giudicato che tuttavia non avrebbe precluso il riesame della domanda di natura indennitaria, poichè quest’ultima non avrebbe avuto un “petitum” diverso rispetto a quella risarcitoria, ma avrebbe avuto semplicemente un contenuto più ampio di quello sul quale la parte sostanzialmente vittoriosa aveva invitato il giudice a pronunciarsi; osservava che il riconoscimento del pregiudizio avrebbe presupposto la preesistenza del fabbricato asseritamente pregiudicato e la regolarità della situazione urbanistico – edilizia, prova che sarebbe stata fornita dagli attori;

quantificava il deprezzamento dell’immobile a seguito dell’opera pubblica in conformità delle condivise valutazioni del consulente tecnico a tal fine designato; rilevava infine l’inammissibilità della domanda di rivalsa del Consorzio nei confronti della Presidenza del Consiglio, mancando una sua inequivoca manifestazione di volontà in sede di riassunzione relativamente alla volontà di far valere nel processo la pronuncia affermativa della giurisdizione del giudice ordinario.

Avverso la decisione C. e P. proponevano ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi, cui resistevano il Consorzio, con controricorso contenente anche ricorso incidentale articolato in sei motivi (resistito a loro volta dai ricorrenti), e la Presidenza del Consiglio.

I ricorrenti ed il Consorzio depositavano infine memoria.

Successivamente la controversia veniva decisa all’esito dell’udienza pubblica dell’1.12.2009.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., si osserva che con quello principale C. e P. hanno rispettivamente lamentato:

1) violazione dell’ordinanza del Commissario Straordinario di Governo per le aree esterne al Comune di Napoli n. 70/1982 del 10.8.1982, nonchè vizio di motivazione, con riferimento all’intervenuta quantificazione dell’indennità di espropriazione con l’applicazione di una riduzione del 50% del valore venale, senza cioè tener conto che con la citata ordinanza era stato disposto che l’indennità di espropriazione dovesse essere corrispondente al valore venale dell’immobile;

2) violazione della L. n. 241 del 1990, art. 7, per l’omesso invito all’interessato a partecipare al procedimento di determinazione dell’indennità;

3) violazione del provvedimento del Commissario di Governo per le aree esterne al Comune di Napoli n. 16754 del 10.10.1990 e vizio di motivazione, per il fatto che la Corte territoriale si sarebbe riportata alla disposizione n. 16754 del 10.10.1990, che aveva tuttavia disatteso avendo applicato le percentuali di deprezzamento sull’indennità di espropriazione dimezzata rispetto al valore venale;

4) violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 46 e vizio di motivazione, per l’omessa considerazione delle due ipotesi ivi previste (danno da servitù e danno derivante da perdita o diminuzione di diritto), nonchè della circostanza che l’indennità di esproprio, sulla cui base deve essere calcolata l’indennità di cui al citato art. 46, va determinata in ragione del valore venale del fabbricato.

Con il ricorso incidentale il Consorzio ha, a sua volta, denunciato:

1) violazione degli artt. 112, 324, 329, 343 e 346 c.p.c., art. 2909 c.c. e vizio di motivazione, poichè l’intervenuta condanna da parte della Corte di appello al pagamento dell’indennizzo L. n. 2359 del 1986, ex art. 46, si porrebbe in contrasto con la non impugnata qualificazione della domanda nell’ambito risarcitorio da parte del tribunale e la connessa statuizione di condanna ex art. 2043 c.c., mentre la motivazione adottata sul punto sarebbe carente e contraddittoria, attesa la differenza esistente, per “petitum” e “causa petendi”, fra la domanda di indennizzo (L. n. 2359 del 1865, ex art. 46) e quella risarcitoria (ex art. 2043 c.c.);

2) violazione di legge e vizio di motivazione sotto diversi aspetti con riferimento all’affermata sussistenza della legittimazione passiva del Consorzio, e segnatamente: a) per omessa pronuncia in ordine alla dedotta inesistenza della preclusione da giudicato circa la detta legittimazione, atteso che il tribunale si sarebbe limitato a negare la legittimazione della Presidenza del Consiglio in relazione alla domanda indennitaria; b) per errata interpretazione della sentenza del tribunale, il cui giudicato interno si sarebbe formato sulla sola legittimità della domanda nei confronti del Consorzio, e non anche sulla sussistenza della legittimazione passiva di quest’ultimo; c) per il mancato esame delle considerazioni relative all’assenza di titolarità di poteri pubblicistici, requisito che rappresenterebbe il presupposto per la configurabilità di una legittimazione passiva del Consorzio; d) per l’inesatta interpretazione della L. n. 219 del 1981, art. 81, dal quale si farebbe discendere la legittimazione passiva dei concessionari, sia sotto il profilo letterale (la norma fa riferimento alle operazioni per l’acquisizione delle aree e non ai poteri necessari a tal fine), che teleologico (le altre disposizioni della legge in questione, ed in particolare quella di cui all’art. 80, mantengono i poteri pubblici in capo al concedente); e) per il fatto che, non essendo gestore o esercente dell’opera, il Consorzio non avrebbe alcuna responsabilità rispetto alle conseguenze di attività ad esso del tutto estranee; f) per il mancato esame, da parte della Corte, della richiamata direttiva 16754/c del 10.10.1990, che avrebbe escluso l’obbligo per i concessionari di provvedere alle prescritte anticipazioni (L. n. 2359 del 1865, art. 46) per gli immobili (quale quello oggetto della presente controversia) non in regola con le prescrizioni urbanistiche; 3) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermata legittimità urbanistica del fabbricato, in quanto: a) a torto la Corte si sarebbe pronunziata sulla qualità della costruzione, considerata abusiva, perchè il punto era già stato oggetto di esame da parte del giudice di primo grado, mentre la successiva impugnazione era stata proposta esclusivamente in relazione all’interpretazione dell’atto di acquisto del terreno su cui era stato realizzato l’edificio; b) l’onere della prova circa la preesistenza del fabbricato al progetto, oltre che dell’intervenuta sanatoria, sarebbe stato a carico degli istanti P. e C., che peraltro nulla avrebbero dedotto e dimostrato al riguardo; c) il pagamento dell’oblazione oggetto di autoliquidazione non sarebbe stato integralmente corrisposto, sicchè la legittimità urbanistica del fabbricato Sarebbe stata da escludere; d) l’immobile oggetto dell’istanza di sanatoria non sarebbe identico a quello effettivamente realizzato;

4) violazione degli artt. 112, 183, 184, 187 e 189 c.p.c., in quanto nel liquidare il danno la Corte avrebbe tenuto conto anche di voci non indicate dagli istanti, che si sarebbero limitati a denunciare una maggiore rumorosità ed una diminuzione di luminosità e di areazione;

5) violazione di legge in relazione all’intervenuto riconoscimento della rivalutazione monetaria, domanda formulata tardivamente e che sarebbe rimasta sfornita di prova;

6) violazione degli artt. 1282 e 1224 c.c., per l’avvenuta liquidazione degli interessi a far tempo dalla domanda giudiziale. Il credito su cui computarli sarebbe stato infatti accertato con la sentenza di secondo grado, e pertanto in tale data sarebbe stato correttamente individuabile il termine iniziale di decorrenza ai fini del relativo calcolo.

Devono essere dapprima esaminati il secondo e il primo motivo del ricorso incidentale attesa la loro priorità sul piano logico, motivi che risultano infondati.

Ed infatti al riguardo va osservato, sul secondo motivo, che la Corte di appello, pur,avendo constatato l’assenza nel dispositivo della sentenza impugnata di una specifica pronuncia sulla legittimazione passiva del Consorzio, ha ritenuto che il punto rappresentasse un indispensabile antecedente logico-giuridico della decisione che, in quanto non impugnato, sarebbe passato in giudicato.

Tale valutazione, fisiologicamente rimessa al giudice del merito, appare sorretta da motivazione immune da vizi logici, poichè in effetti il rigetto della domanda originariamente proposta contro la Presidenza del Consiglio (sentenza 3659/96 del Tribunale di Napoli) e la continuazione del giudizio disposta per lo svolgimento dell’attività istruttoria con riferimento alla domanda contro il Consorzio presuppongono implicitamente la riconosciuta legittimazione passiva di quest’ultimo che, in quanto non impugnata, risulta definitivamente accertata.

Nè valgono in senso contrario le argomentazioni articolate dal Consorzio a sostegno della doglianza prospettata, per quelle sub a) e b), poichè essenzialmente consistenti nella rappresentazione di una differente interpretazione del contenuto della sentenza di primo grado sul punto, senza l’indicazione di profili di erroneità (a parte l’esito conclusivo) riscontrabili nella decisione impugnata;

quanto alle altre, individuabili nella considerazione dei limitati poteri conferiti al Consorzio concessionario che escluderebbero la configurabilità di una sua legittimazione, per il fatto che ogni eventuale questione al riguardo risulta superata ed assorbita dall’intervenuto giudicato.

In ordine poi al primo motivo, occorre rilevare che la Corte territoriale ha accertato l’esistenza del giudicato anche in relazione alla qualificazione della domanda degli originari attori, interpretata come finalizzata al conseguimento dell’indennizzo L. n. 2359 del 1865, ex art. 46.

Lo stesso giudice ha quindi conseguentemente stabilito che il tribunale, avendola qualificata di natura risarcitoria nonostante il precedente giudicato che ciò non avrebbe consentito, sarebbe andato “ultra petita”, cioè oltre la domanda indennitaria originariamente formulata.

Tuttavia secondo la Corte di appello la mancata impugnazione in via incidentale da parte degli originari attori della qualificazione della domanda come risarcitoria, anzichè indennitaria, non avrebbe precluso il relativo esame in sede di gravame, e ciò in considerazione dell’avvenuta riproposizione di quest’ultima domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c., “come in effetti nella specie hanno in sostanza fatto il C. e la P.”.

La correttezza di tale statuizione è stata per vero contestata dal Consorzio, che a sostegno del proprio assunto ha richiamato il principio già affermato da questa Corte, secondo il quale il conseguimento di un risultato analogo a quello richiesto non esclude di per sè la soccombenza rispetto alla domanda virtualmente rigettata, con connesso obbligo, quindi, di impugnativa della decisione sfavorevole.

Rileva peraltro il Collegio in proposito che detto principio nel caso in esame non può trovare concreta applicazione in ragione del fatto che nella specie il giudice del merito non ha ravvisato analogia di risultati fra il chiesto ed il pronunciato, ma una sostanziale identità del bene riconosciuto con quello richiesto, identità da cui conseguentemente necessariamente discende la mancanza di interesse all’impugnazione.

Ed infatti con la domanda originaria gli attori avevano chiesto il ristoro del pregiudizio economico riconducibile alla realizzazione dell’opera pubblica, ristoro che era stato per l’appunto riconosciuto, sia pure a seguito di diversa (e fra l’altro non sollecitata) qualificazione della domanda da parte del giudicante.

Pertanto la valutazione del giudice del merito, secondo la quale il nuovo esame della domanda degli attori nel giudizio di secondo grado non poteva considerarsi precluso dalla mancata interposizione di impugnazione sul punto, essendo viceversa sufficiente a tal fine la semplice riproposizione della iniziale richiesta, risulta logicamente motivata e non sindacabile in questa sede di legittimità.

Analogamente infondato è poi il ricorso principale.

In proposito infatti si osserva, per quanto riguarda il primo ed il terzo motivo di impugnazione che vanno esaminati congiuntamente perchè fra loro connessi, che anche quando l’indennità di esproprio deve essere determinata sulla base di una normativa speciale, quale quella stabilita dalla L. n. 219 del 1981, art. 80 (che per la determinazione dell’indennità rinvia alla L. 15 gennaio 1885, n. 2392, artt. 12 e 13, nel cui ambito resta compresa anche l’indennità di cui alla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46, per il richiamo operato dal D.Lgs. 27 febbraio 1919, n. 219, art. 18), sia l’indennità di asservimento di un immobile (art. 46, prima ipotesi), sia l’indennizzo spettante per il danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto (art. 46 seconda ipotesi) devono essere commisurati non al valore venale del fondo, ma all’indennità di esproprio liquidabile in base alla normativa speciale (C. 03/9341, C. 02/18328).

Per la quantificazione di tale ultimo valore è stata poi espletata consulenza tecnica, in relazione al cui contenuto i ricorrenti non hanno espresso specifiche censure, sicchè la doglianza concernente l’errata quantificazione dell’indennizzo è priva di pregio.

In ordine al secondo motivo è sufficiente rilevare che la censura avente ad oggetto la violazione della prescrizione relativa all’obbligo dell’avviso dell’avvio del procedimento amministrativo ex L. n. 241 del 1990, risulta nuova, è generica non essendo stata indicata la data di inizio del procedimento, ed è inconsistente, perchè il procedimento amministrativo in oggetto è iniziato prima dell’entrata in vigore della legge.

E’ infine inammissibile il quarto motivo, poichè sostanzialmente privo di censura.

Riprendendo quindi l’esame del ricorso incidentale si osserva, per il terzo motivo, che è insussistente l’affermata preclusione da giudicato, atteso che: a) l’accertamento sollecitato dagli attori circa l’esistenza del loro diritto all’indennizzo L. n. 2359 del 1865, ex art. 43, presupponeva l’accertamento in punto di fatto in ordine alla preesistenza del fabbricato alla data del deposito del progetto esecutivo dell’opera pubblica e alla sua conformità alle prescrizioni urbanistico-edilizie vigenti; b) il secondo presupposto, secondo le stesse prospettazioni degli attori, era pacificamente insussistente, ma sarebbe stato superato per effetto dell’intervenuto condono; c) la questione concernente l’irregolarità della costruzione era dunque incontestata, ma tuttavia il relativo esame non risultava definitivamente esaurito, dovendosi ancora valutare la permanenza della detta irregolarità alla luce dell’esito dell’istanza di condono successivamente proposta, e rappresentando il giudizio in ordine alla regolarità della costruzione un presupposto indispensabile ai fini della delibazione della domanda di riconoscimento dell’indennità.

Quanto poi agli altri profili di censura denunciati con il medesimo motivo, se ne rileva l’infondatezza poichè: a) l’immobile per il quale il C. in data 29.3.1986 aveva presentato domanda per sanarne l’abusiva realizzazione sarebbe stato ultimato nel 1982 ed identificabile, secondo la Corte di appello, “con quello che egli e la P. assumono essersi deprezzato a causa della costruzione della bretella di collegamento tra l’asse di supporto e l’asse mediano”, sicchè la doglianza relativa alla pretesa non coincidenza dei due immobili – dedotta sotto l’aspetto di una diversa interpretazione in punto di fatto della documentazione esaminata -, oltre ad essere nuova, risulta priva di pregio; b) la questione relativa alla pretesa erroneità dei criteri di ripartizione dell’onere della prova indicati dalla Corte di appello risulta superata dalla circostanza che la stessa Corte ha ritenuto che fosse stata raggiunta la prova dell’intervenuta sanatoria, e ciò in ragione della corretta interpretazione degli elementi acquisiti in punto di fatto, consistenti nell’accertata data di ultimazione dell’edificio asseritamente danneggiato (nel 1982) e nell’avvenuta presentazione della domanda (29 marzo 1986) prima dell’ordinanza individuante le aree interessate alla costruzione della strada (9 aprile 1986).

Nè rileva in senso contrario la circostanza relativa al mancato integrale pagamento dell’oblazione oggetto di autoliquidazione atteso che, come rilevato dalla Corte territoriale, per effetto del meccanismo del silenzio-accoglimento previsto dalla L. 18 febbraio 1985, n. 47, art. 35, l’abusiva realizzazione del fabbricato resta sanata, con effetto retroattivo, a seguito del decorso di ventiquattro mesi dalla presentazione dell’istanza di sanatoria.

Sono infine infondati anche gli ultimi tre motivi di impugnazione, relativi alla quantificazione del dovuto (il settimo in realtà non contiene alcuna censura, limitandosi a sollecitare un diverso regime della ripartizione delle spese processuali, per effetto dell’auspicato differente esito del giudizio). Sul quarto motivo va invero rilevato che è insussistente il preteso vizio di ultrapetizione, poichè la domanda di C. e P. aveva ad oggetto la liquidazione dell’indennizzo conseguente al pregiudizio arrecato al fabbricato di loro proprietà dalla realizzazione della via di scorrimento.

Pertanto l’articolazione di singole voci di cui detto pregiudizio si compone deve essere interpretata come rappresentazione di fatti accessori e non costitutivi della domanda di riconoscimento dell’indennizzo, sicchè non incide sulla relativa qualificazione, che va considerata nel suo complesso e indipendentemente, quindi, da ogni specificazione della parte.

Sul riconoscimento della rivalutazione ed il computo degli interessi (rispettivamente quinto e sesto motivo) è sufficiente rilevare che, trattandosi di fatto indennitario, la determinazione del dovuto va effettata con. riferimento alla data in cui viene operata la quantificazione al fine di esprimere in termini monetari attuali il pregiudizio patrimoniale riscontrato, e indipendentemente dunque da una specifica domanda in tal senso, mentre per quanto concerne gli interessi, questi sono dovuti dal giorno della mora (per il colpevole ritardo nell’adempimento), e quindi nella specie dalla proposizione della domanda giudiziale.

Conclusivamente, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, circostanza che induce alla compensazione delle spese processuali del presente giudizio, attesa la soccombenza reciproca delle parti.

PQM

Riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

 

 

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