Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5506 del 06/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 06/03/2017, (ud. 13/01/2017, dep.06/03/2017),  n. 5506

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24573-2015 proposto da:

N.D.G.F.R., N.D.G.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 36, presso lo

studio dell’avvocato CARLO MARTUCCELLI, che li rappresenta e difende

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

L.L.M.L., L.L.A.M., L.L.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 25, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMO ERRANTE, rappresentati e difesi

dall’avvocato ENRICO CADELO in virtù di procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

L.L.A., L.L.I., elettivamente domiciliati in

ROMA, V.S.TOMMASO D’AQUINO 104, presso lo studio dell’avvocato FABIO

FIDUCCIA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIACOMO MARINO giusta procura in calce al controricorso;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 337/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 04/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Letti le memorie depositate da entrambe le parti.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte d’Appello di Palermo con la sentenza n. 337 del 4/3/2015 ha rigettato l’appello proposto da N.G. e F.R. nei confronti della sentenza del Tribunale di Palermo con la quale era stata rigettata la loro domanda di reintegra della quota di riserva e conseguente divisione dei beni relitti, relativamente alla successione di L.L.A., proposta in rappresentazione della madre premorta L.L.R..

Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte d’Appello, dopo avere disatteso l’appello incidentale dei convenuti, con i quali si contestava l’interpretazione che era stata offerta dal Tribunale in merito alla clausola di chiusura del testamento olografo del 1 novembre 1994, quale intesa a devolvere i beni, non solo in favore dei figli ancora in vita, ma anche dei nipoti figli della figlia premorta, ha disatteso il motivo di appello principale con il quale si contestava l’illegittimità della mancata acquisizione del fascicolo di una procedura cautelare intentata ante causam da parte degli attori.

Ad avviso della Corte di merito la critica avverso la decisione del Tribunale che aveva ritenuto tardiva tale richiesta appariva del tutto generica, e non era in grado di confutare la correttezza della soluzione adottata.

Quanto alla mancata disposizione della CTU, rilevava la sentenza che le contestazioni concernenti il compimento di atti di disposizione che avrebbero compromesso la quota di riserva degli attori, erano del tutto prive di specificità, soprattutto in presenza di una clausola testamentaria che attribuiva anche agli attori, il diritto a concorrere sui beni dei quali non si era specificamente disposto per testamento.

Inoltre le operazioni pregiudizievoli erano indicate in maniera del tutto generica, con la conseguenza che la richiesta consulenza tecnica d’ufficio manifestava il suo carattere assolutamente esplorativo.

Infine, non rilevavano eventuali appropriazioni di beni mobili facenti parte dell’asse ereditario da parte dei coeredi, che in quanto integranti condotte illecite, avrebbero potuto solamente incidere sulla formazione dell’asse e sulla successiva divisione del patrimonio ereditario.

Avverso questa sentenza N.d.G.G. e N.D.G.F.R. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui hanno resistito, con controricorso, L.L.G., L.L.A.M., L.L.M.L..

L.L.I., L.L.A. hanno parimenti resistito con controricorso proponendo a loro volta ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, cui hanno replicato i ricorrenti principali con controricorso.

Preliminarmente devono essere disattese le deduzioni di parte ricorrente di cui alla memoria in atti con le quali si sostiene la pretesa incostituzionalità, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., dell’art. 380 bis c.p.c. a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 168 del 2016 convertito nella L. n. 197 del 2016, nella parte in cui non prevede più la celebrazione di un’udienza camerale con la partecipazione delle parti al fine di consentire una difesa orale, in luogo di quella a carattere solo documentale prevista dalla riforma.

Ritiene il Collegio di dovere fare proprie le ampie considerazioni svolte da questa stessa Corte nell’ordinanza n. 395 del 10 gennaio 2017, con la quale, anche con congrui richiami alla giurisprudenza della CEDU (sentenza 21 giugno 2016, Tato Marinho c. Portogallo), si è ribadito come la novella miri proprio ad assicurare l’attuazione dei principi posti dall’art. 111 Cost. in termini di ragionevole durata del processo ed effettività della tutela giurisdizionale.

In tal senso si è precisato che il valore della pubblicità delle udienze, ove lo stesso sia stato assicurato nelle istanze di merito, non è assoluto, e ben può trovare deroga in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (Corte cost., sent. n. 80 del 2011), quali ad esempio l’assenza di valenza nomofilattica, tipica delle cause per le quali si profila la definizione ai sensi del meccanismo processuale di cui all’art. 380 bis c.p.c., ovvero laddove per la struttura e funzione dell’ulteriore istanza, il rito sia volto, eminentemente, a risolvere questioni di diritto o comunque non “di fatto”, tramite una trattazione rapida dell’affare, non rivestente peculiare complessità.

Tali indicazioni si addicono quindi particolarmente al novellato rito di cui all’art. 380 bis c.p.c., posto che il giudizio di legittimità de quo, oltre a non postulare in sè profili di autonomo accertamento dei fatti, ha assunto, in ambito civile, a seguito della novella legislativa del 2012 recante la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 una ancor più spiccata accentuazione del sindacato sugli errores in indicando rispetto a quello sul vizio di “motivazione”, limitato nei confini indicati dall’interpretazione offerta da Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

La norma si occupa quindi di ricorsi che si presentino, all’evidenza (“a un sommario esame”: art. 376 c.p.c.), inammissibili, manifestamente infondati o manifestamente fondati (art. 375 c.p.c.), ossia di impugnazioni per le quali, risulta giustificata la decisione resa con ordinanza (ex art. 375 c.p.c., quale provvedimento per definizione succintamente motivato: art. 134 c.p.c.) all’esito di adunanza camerale non partecipata.

Quanto alla garanzia del contraddittorio, la stessa è, comunque, assicurata dalla trattazione scritta della causa, con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare ulteriormente le rispettive ragioni (che, del resto, devono essere già compiutamente argomentate con il ricorso per quanto riguarda, segnatamente, i motivi dell’impugnazione), non solo in funzione delle difese svolte dalla controparte, ma anche in rapporto alla proposta del relatore circa la sussistenza di ipotesi di trattazione camerale, ex art. 375 c.p.c., sicchè l’interlocuzione scritta attua un bilanciamento, non irragionevole tra le esigenze del diritto di difesa e quelle, del pari costituzionalmente rilevanti di speditezza e concentrazione, in funzione della ragionevole durata del processo.

Quanto infine alla previsione di una proposta di trattazione camerale da parte del relatore, in ragione della ravvisata esistenza di ipotesi di decisione del ricorso di cui all’art. 375 c.p.c. – in luogo della relazione (o cd. “opinamento”) depositata in cancelleria, secondo la fottnulazione del previgente art. 380-bis c.p.c. – si tratta a sua volta di una scelta riconducibile all’esercizio della discrezionalità del legislatore in ambito processuale e non è tale da vulnerare il diritto di difesa, attesa la non vincolatività per il Collegio e che, deve tendenzialmente restare confinata nell’alveo dell’oggetto della lite quale definito dai motivi di impugnazione.

Ad avviso del Collegio il ricorso si palesa come manifestamente infondato.

In relazione al primo motivo, si rileva che il giudice di appello ha ritenuto inammissibile il motivo di appello formulato in merito al mancato accoglimento della richiesta di acquisizione del fascicolo di un procedimento cautelare ante causam, avente ad oggetto la richiesta di sequestro giudiziario dei beni relitti, e conclusosi con una pronunzia di rigetto, in quanto gli appellanti si erano limitati a dolersi del rigetto, senza però confutare le ragioni giuridiche in base alle quali il Tribunale aveva motivato la sua decisione.

A fronte di tale ratio decidendi, i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la Corte d’Appello si sarebbe limitata a recepire la motivazione del giudice di primo grado. E’ evidente che il motivo come formulato non si confronta affatto con l’effettivo tenore della decisione impugnata, che è pervenuta alla declaratoria di inammissibilità in rito del motivo di appello per la violazione dell’art. 342 c.p.c., senza quindi nemmeno procedere alla disamina del merito delle doglianze di parte ricorrente. E’ quindi evidente che la censura, per poter essere ammissibile in questa sede, avrebbe dovuto a monte contestare la correttezza circa il giudizio di aspecificità del motivo di appello, non potendo invece procedere ad una diretta critica della sufficienza della motivazione quanto al merito della vicenda, avendo, come detto, la Corte d’Appello ritenuto di non poter compiere tale disamina per una ragione impediente di carattere processuale.

Quanto al secondo motivo di ricorso, con il quale, sebbene richiamando in rubrica la nuova formulazione del novellato art. 360 c.p.c., n. 5, ci si duole in sostanza di una pretesa contraddittorietà della motivazione, nel non avere dato spazio all’istruttoria finalizzata ad accertare eventuali atti di appropriazione compiuti da parte di alcuni dei coeredi, valga osservare che il rigetto del primo motivo, concernente la pretesa ad acquisire gli atti del procedimento cautelare, dal quale emergerebbe la prova di tali sottrazioni, rende l’affermazione del giudice di merito, circa la valenza degli atti de quibus, del tutto ipotetica, in quanto la parte non avrebbe la possibilità di dimostrarne il compimento.

In ogni caso è la stessa formulazione dei motivo a palesarsi come del tutto generica e priva del requisito della specificità, in quanto manca in maniera assoluta la prospettazione delle circostanze decisive, ed in particolare dei mezzi di prova che sarebbero stati illegittimamente non valutati dal giudice di merito, la cui omessa disamina dovrebbe determinare l’invalidità della sentenza impugnata.

Il ricorso principale deve quindi essere rigettato.

In conseguenza dell’infondatezza del ricorso principale, si determina poi l’assorbimento del ricorso incidentale in quanto espressamente condizionato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale, e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida per ognuno dei due gruppi di controricorrenti in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2017

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