Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5502 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. I, 08/03/2010, (ud. 10/11/2009, dep. 08/03/2010), n.5502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10678/2008 proposto da:

G.C.M. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

sul ricorso 10750/2008 proposto da:

I.A. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

02/11/2007, n. 1540/07 R.G.A.D. e 1542/07 R.G.A.D.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/11/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 2.11.2007 la Corte d’Appello di Napoli – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, proposta da G.C.M. ed I.A. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze in relazione al giudizio dalle medesimi promosso con ricorso depositato in data 27.5.1989 avanti al TAR della Campania al fine di ottenere l’annullamento della delibera che aveva modificato il meccanismo di attribuzione degli scatti di anzianità quali docenti di ruolo ed ancora pendente – determinava in anni quindici e mesi quattro il periodo eccedente la durata ragionevole e liquidava a titolo di danno non patrimoniale a favore di ciascuna, tenuto conto dell’ordinaria complessità del giudizio presupposto, la somma di Euro 12.333,00, pari ad Euro 800,00 per ogni anno di eccedenza oltre agli interessi dalla domanda.

Avverso detto decreto propongono ricorso per cassazione con separati atti G.C.M. ed I.A. che deducono tredici motivi di censura.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente i due ricorsi, quello della G. e quello della I., vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., riguardando lo stesso decreto.

Con il primo motivo di ricorso G.C.M. ed I. A. denunciano violazione dell’art. 6 par. 1 della C.E.D.U. e della L. n. 89 del 2001. Lamentano che la Corte d’Appello non abbia tenuto conto dei parametri europei sia per quanto riguarda la determinazione dell’indennizzo fissata in una somma oscillante fra Euro 1000,00 ed Euro 1.500,00 per ogni anno di ritardo che per quanto concerne la liquidazione delle spese. Deducono altresì che erroneamente non ha riconosciuto un “bonus” di Euro 2.000,00 pur in presenza di una causa di lavoro.

Con il secondo ed il terzo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della C.E.D.U. nonchè difetto di motivazione, ribadendo che la Corte d’Appello non si è attenuta alla giurisprudenza della Corte Europea per quanto riguarda i parametri minimi fissati nella misura di Euro 1.500,00 per ogni anno di durata del procedimento.

Con il quarto, il quinto ed il sesto motivo le ricorrenti, denunciando violazione della C.E.D.U., lamentano che la Corte d’Appello, senza alcuna motivazione, non abbia riconosciuto un “bonus” di Euro 2.000,00 nonostante il giudizio presupposto avesse riguardato materia di lavoro.

Con il settimo ed i successivi fino al tredicesimo motivo le ricorrenti deducono che la Corte d’Appello non si è adeguata alla giurisprudenza europea per quanto riguarda la liquidazione delle spese in violazione dell’art. 6 della C.E.D.U e dell’art. 1 del Protocollo Addizionale.

Il ricorso è fondato nei limiti che qui di seguito saranno precisati.

Quanto alla censura con cui sì contesta l’entità dell’indennizzo riguardante il danno non patrimoniale, si osserva che la Corte d’Appello, liquidando una somma complessiva di Euro 12.333,00 pari ad Euro 800,00 per ogni anno dì durata non ragionevole, si è adeguata solo in parte ai parametri fissati dalla Corte europea e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito come una tale valutazione non possa prescindere, in considerazione del rinvio operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, dall’interpretazione della Corte di Strasburgo e debba pertanto uniformarsi, per quanto possibile, alla liquidazione effettuata in casi simili dal giudice europeo, sia pure con possibilità di apportare, purchè in misura ragionevole, le deroghe suggerite dalla singola vicenda. Dalle decisioni adottate a carico dell’Italia (vedi in particolare la pronuncia sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Zullo) risulta infatti che la Corte europea ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 il parametro medio annuo per la quantificazione dell’indennizzo.

Orbene, nel caso in esame, l’importo di Euro 800,00 riconosciuto dalla Corte d’Appello per ogni anno di ritardo, se può considerarsi congruo in relazione ai primi tre anni di durata non ragionevole, deve ritenersi invece insufficiente per il restante non breve periodo di anni dodici e mesi quattro, non potendosi negare che lo stato d’ansia aumenti con l’ulteriore protrarsi del procedimento e che debba quindi riconoscersi al riguardo un importo maggiore.

Non può condividersi invece l’assunto secondo cui, una volta accertata una durata non ragionevole, dovrebbe tenersi conto dell’intero periodo di durata del procedimento, prevedendo espressamente la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, che, ai fini in esame, rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole dì durata del processo.

Al riguardo questa Corte ha già sottolineato che, anche se per la Corte europea l’indennizzo debba essere moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, secondo cui è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Si è sostenuto infatti che detta diversità di calcolo non tocca la complessa attitudine della L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e pertanto non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; vedi Cass. 8714/06).

Del pari non può trovare accoglimento la richiesta di riconoscimento di un “bonus” di Euro 2.000,00 in relazione alla natura previdenziale della controversia, non essendo previsto dalla legislazione nazionale e non potendo comunque considerarsi un effetto automatico, slegato dalla particolarità della fattispecie sulla quale nulla è stato però detto al di là di un generico richiamo al carattere assistenziale della controversia.

Vanno ritenute assorbite infine le successive censure riguardanti le spese del giudizio di merito in quanto il parziale accoglimento del presente ricorso comporta la necessità di una loro riliquidazione da parte di questa Corte.

L’impugnato decreto deve essere pertanto cassato in relazione alle censure accolte.

Ricorrendo le condizioni richieste dall’art. 384 c.p.c., comma 1, per una decisione nel merito, si determina l’indennizzo, in considerazione delle osservazioni sopra espresse, in Euro 14.730,00 per ciascuna delle ricorrenti, pari ad Euro 800,00 per ognuno dei primi tre anni di durata non ragionevole e ad Euro 1.000,00 per ciascuno degli ulteriori dodici anni e frazione.

Il parziale accoglimento del ricorso giustifica la compensazione per metà delle spese relative al giudizio di legittimità mentre si liquidano per intero quelle di merito, spese che si distraggono a favore del difensore dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi. Accoglie i ricorsi nei limiti di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento di Euro 14.733,00 oltre agli interessi dalla domanda a favore di ciascuna delle ricorrenti. Condanna inoltre il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento delle spese processuali che distrae a favore del difensore e che liquida per l’intero, quanto al giudizio di merito, in Euro 697,00 per diritti, in Euro 600,00 per onorario ed in Euro 50,00 per spese oltre accessori di legge e nella misura del 50% quanto al giudizio di legittimità, che liquida in Euro 450,00 per onorario ed in Euro 50,00 per spese oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

 

 

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