Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5500 del 10/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5500 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: RUBINO LINA

SENTENZA
sul ricorso 29046-2007 proposto da:
FERRO NICOLA, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE REGINA MARGHERITA 1, presso lo studio
dell’avvocato DE STEFANO MAURIZIO, rappresentato e
difeso da se medesimo;
– ricorrente contro

MIN LAVORO POLITICHE SOCIALI 80237250586, in persona
del Ministro, legale rappresentante p.t.,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

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Data pubblicazione: 10/03/2014

rappresenta e difende per legge;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 2868/2006 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 15/09/2006 R.G.N.
3143/2002;

udienza del 17/01/2014 dal Consigliere Dott. LINA
RUBINO;
udito l’Avvocato NICOLA FERRO;
udito l’Avvocato ELEFANTE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’inammissibilita’ in subordine per il rigetto
del ricorso.

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. 29046 \ 2007

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2001 l’avv. Nicola Ferro convenne in giudizio il Ministero del Lavoro chiedendo
che lo stesso fosse condannato a risarcirgli i danni subiti per la perdita da parte sua di

della IMEC soc. coop. a r. 1. per prestazioni professionali rese, per non aver
adeguatamente svolto i compiti di vigilanza impostigli dalla legge ed adottato le misure
necessarie atte ad evitare che la cooperativa disperdesse tutto il proprio patrimonio.
2. Il Tribunale di Napoli nel 2002 rigettava la domanda, affermando che la responsabilità ex
art. 2043 c.c. della Pubblica Amministrazione nei confronti del privato fosse
configurabile solo a fronte della lesione di un diritto soggettivo pieno, situazione che non
riteneva configurabile nella specie.
3. L’avv. Ferro proponeva appello, e la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 2868 del
15.9.2006, respingeva l’appello in quanto, pur ritenendo ammissibile alla luce della
evoluzione giurisprudenziale e delle modifiche normative, il risarcimento del danno
aquiliano da lesione di interesse legittimo, rilevava che la lesione dell’interesse legittimo è
condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043
c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto della attività illegittima e colpevole
della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla. Muovendo
da questo principio, la Corte territoriale ha escluso l’esistenza di alcuna correlazione tra
l’attività di vigilanza e controllo esercitata dal Ministero sulla cooperativa IMEC,
nell’ambito dei compiti attribuitigli nell’interesse generale dalla legge n. 59 del 1992 e
dagli artt. 2542 ss. c.c. e la singola posizione creditoria del privato, trattandosi di un
potere di vigilanza e controllo previsto a tutela dell’interesse generale del rispetto dello
scopo mutualistico da parte delle cooperative, e non a tutela del singolo creditore, il
quale dispone di specifici e distinti strumenti a tutela del suo credito. La corte territoriale
affermava inoltre la mancanza di alcun nesso di causalità tra le ispezioni eseguite sulla
cooperativa , una straordinaria e due ordinarie, e il danno lamentato dal Ferro, essendo
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ogni possibilità di recuperare il credito di lire 400.000.000 che vantava nei confronti

le ispezioni finalizzate alla verifica della regolarità dell’attività svolta dalla cooperativa e al
rispetto dei principi mutualistici. La corte d’appello inoltre poneva in luce che, attesa la
finalità delle ispezioni, volte a tutela di un interesse generale e non dei singoli creditori,
pur comportando esse il compimento di verifiche in ordine alla consistenza economicofinanziaria della cooperativa, con possibilità di adottare i provvedimenti di cui agli artt.

prospettive di vita della cooperativa, e la sua possibilità di continuare a svolgere la
propria attività istituzionale superando situazioni di difficoltà contingenti, verifica in cui
non trova posto la necessità di tutelare la posizione dei singoli terzi creditori. La sentenza
impugnata aggiungeva che in ogni caso dall’esito delle ispezioni effettuate non emergeva
nulla che autorizzasse a ritenere l’opportunità di adottare provvedimenti di liquidazione
o di scioglimento della società.
4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avv. Ferro, proponendo
due motivi; il Ministero del Lavoro resiste con controricorso.
5. Il ricorrente ha presentato memoria difensiva

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2043,
2542, 2543 e 2544 c.c. nonché degli artt. 9 e 11 del d.lgs. C.P.S. 1577\1947, ex art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c. Sostiene infatti che, contrariamente a quanto affermato dalla corte
d’appello, il complesso sistema di controlli previsto a carico delle società cooperative
non corrisponde esclusivamente ad interessi di carattere generale, in quanto attraverso
strumenti di controllo penetranti quali le ispezioni, che vanno a verificare il
funzionamento contabile ed amministrativo della cooperativa, la sua consistenza
patrimoniale, il regolare svolgimento dell’attività, il Ministero opera anche a tutela della
posizione dei singoli creditori. Pertanto, ritiene che il Ministero debba essere obbligato a
risarcire i danni derivanti dal negligente esercizio della attività di vigilanza, e che si
traducono per il ricorrente nella perdita della possibilità di recupero del credito, essendo
stata disposta la liquidazione coatta della cooperativa con ben sei o sette anni di ritardo,
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2542 ss. c.c., tutto ciò avviene nell’ambito di una valutazione che ha di mira le

con vanificazione della possibilità di ricostruire il patrimonio sociale anche attraverso
l’esercizio delle azioni revocatorie. Sottopone pertanto alla Corte il seguente quesito di
diritto : ” Dica la Corte se sia risarcibile ex art. 2043 c. c. il danno ingiusto subito dal creditore sociale
e consistente nella totale perdita del credito, divenuto irrealizzabile per la sopravvenuta insolvenza della
cooperativa debitrice e per l’impossibilità della ricostruzione del patrimonio sociale attraverso azioni
revocatorie impraticabili a causa ritardo enorme della dichiarazione di insolvenza rispetto agli atti di

di ispezione straordinaria, sia in sede di istruttoria di una richiesta di intervento di cassa integrazione
aziendale straordinaria per crisi, omesso di assumere iniziative finakzzate alla effettiva conservazione del
patrimonio sociale, pur essendo stato posto per tempo in grado di rilevare che, nell’arco di pochi mesi, la
cooperativa aveva dissipato il proprio capitale, aveva omesso di riportare nelle comunicazioni sociali
consistenti debiti ulteriori, aveva cessato l’attività dismettendo l’opificio e chiedendo la cassa integrazione
straordinaria che nemmeno è poi stata concessa, avendo nel frattempo venduto a terzi le proprie
attrezzature”.
Con il secondo motivo di ricorso

il ricorrente lamenta la insufficiente o

contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso laddove la corte
territoriale ha negato che dai documenti in atti emergano elementi per far ritenere che
l’esito dell’ispezione ( da cui emerse l’idoneità dell’impianto contabile ed amministrativo
della IMEC rispetto alle dimensioni dell’azienda ) non fosse rappresentativo dello stato
della cooperativa dell’epoca ed indica una serie di risultanze istruttorie ( tra le quali
l’esistenza del suo stesso, cospicuo credito professionale verso la cooperativa, lo
squilibrio tra i costi del lavoro e gli esigui ricavati dell’attività) delle quale la corte
territoriale non avrebbe tenuto adeguato conto.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel costituirsi, ha in primo luogo dedotto
l’inammissibilità di entrambi i motivi di ricorso avversari, ed in subordine l’infondatezza.
I motivi di ricorso sono entrambi infondati.
Perchè possa essere configurabile una responsabilità ex art. 2043 c.c. della pubblica
amministrazione è necessario che sussistano concorrentemente un elemento oggettivo,
rappresentato dalla illegittimità provvedimentale o dall’illegittimità dell’azione
amministrativa, un elemento soggettivo, rappresentato dalla colpa o dal dolo
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disposizione dei beni sociali, avendo il Ministero del lavoro, sia in sede di ispezione ordinaria, sia in sede

dell’amministrazione, e il nesso di causalità tra l’illegittimità del comportamento attivo o
omissivo, colposo o doloso della p.a. e il danno subito dal privato.
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha negato, con motivazione logica ed esente da
vizi, che esistano con correntemente tutti i sopra indicati elementi, ed in particolare ha
escluso attraverso un giudizio di fatto che non può essere rinnovato in questa sede ma

causale tra l’attività svolta dal Ministero ed il danno subito dal Ferro, privato creditore
della cooperativa.
Infatti, l’attività che principalmente il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali era
tenuto a compiere, per il legittimo espletamento della sua funzione di vigilanza sulle
società cooperative, era quella di porre in essere periodiche ispezioni, finalizzate in via
primaria, a tutela dell’interesse generale, al controllo dell’effettiva sussistenza della
natura mutualistica dell’ente e del perseguimento dello scopo mutualistico.
La corte territoriale ha accertato che tali attività siano state espletate, e che non abbiano
dato luogo a rilievi tali da giustificare , nell’ambito delle finalità dirette dell’azione di
vigilanza, l’adozione di ulteriori e più penetranti iniziative di controllo e di sostituzione
da parte del Ministero. Dagli elementi di fatto desunti dalla sentenza impugnata — e
confermati del resto dal ricorso – emerge che la coop. IMEC s.c.a r.l. venne costituita
a settembre 1995 da un gruppo di lavoratori di una società produttrice di bombe a
mano, fallita, per proseguire tale tipo di attività, e fu assistita fin dalla sua costituzione
dall’avv. Ferro, che aveva seguito sia la società fallita che altre società svolgenti attività di
produzione di materiale esplosivo. Dopo l’inizio di attività della cooperativa, il Ministero
eseguì ben tre ispezioni, una ispezione straordinaria, iniziata il 26 giugno 1996 da
funzionari dell’Ufficio provinciale del lavoro, e due successive ispezioni ordinarie nel
1998 e nel 2000, da parte della Unione Nazionale Cooperative italiane, come
associazione di categoria à ciò designata. Come correttamente affermato nella sentenza
impugnata non vi fu quindi da parte del Ministero alcun ritardo nello svolgere il suo
compito di vigilanza.
Né il ricorrente ha fornito la prova che l’attività di vigilanza svolta sia stata carente o
lacunosa : essendo il controllo del Ministero finalizzato alla verifica, nell’interesse
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del quale può essere soltanto verificata la coerenza logica, che sussistesse un nesso

generale, dell’effettiva natura mutualistica dell’ente, e della sua possibilità di continuare
ad operare nel perseguimento dello scopo mutualistico, non vi è prova che l’attività
ispettiva , i cui esiti sono sinteticamente riportati nella sentenza impugnata, sia stata
svolta in modo poco diligente rispetto ai suoi fini : per la prima ispezione si diede atto
della idoneità dell’impianto contabile e amministrativo della IMEC rispetto alle sue
dimensioni, mentre nelle due ispezioni successive, del 1998 e 2000, intervenute quando

ma anche del fatto che fosse in attesa di ricevere contributi dal Ministero dell’industria, e
ciò a riscontro del fatto che i controlli eseguiti miravano primariamente alla verifica della
compatibilità dell’operato della società con le finalità mutualistiche
Inoltre, deve reputarsi corretta la valutazione della corte d’appello che, nella sentenza
impugnata, ha escluso ogni nesso causale tra l’attività svolta dal Ministero e il danno
subito dal Ferro. Infatti, come emerge dai dati riportati dallo stesso ricorrente nel
ricorso, la IMEC, che aveva avviato la sua attività in data 1.9.1995 con un capitale di lire
987.000.000, a dicembre 1996 lo aveva ridotto a sole lire 19.352.000, nel 1995 aveva
sostenuto spese per lire 483.324.444 e nel 2006 aveva sostenuto spese per lire
305.024.913. Per cui, nel momento in cui il Ministero effettua la prima ispezione
straordinaria ( né avrebbe potuto effettuarla prima, avendo la società iniziato ad operare
da meno di un anno), la stessa aveva già dissipato quasi tutto il capitale sociale.
Non sussiste quindi nesso causale tra la mancata adozione da parte del Ministero, a
seguito della prima ispezione, di un provvedimento più penetrante, invocato dal
ricorrente (esso avrebbe potuto esclusivamente emettere una diffida, alla cui mancata
ottemperanza avrebbero potuto far seguito provvedimenti più incisivi quali la decadenza
dai benefici di legge o lo scioglimento della stessa cooperativa, ai sensi dell’art. 11 del
d.lgs. CPS n.1577 del 1947), in quanto già in quel momento il patrimonio sociale era
quasi integralmente venuto meno, per ragioni non certo imputabili al Ministero ma alla
cattiva gestione della stessa cooperativa.
Un intervento più penetrante da parte del Ministero non sarebbe stato idoneo ad
arginare una perdita di capitale che si era già verificata prima del suo primo intervento
istituzionale per motivi ad esso di certo non addebitabili, considerato anche che
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già il capitale sociale si era disperso, gli ispettori diedero atto che la società fosse inattiva,

impartita la diffida essa avrebbe pur sempre dovuto contenere un termine per mettere in
regola l’attività, decorso il quale vi sarebbe stata una nuova verifica da parte del
Ministero.
Deve escludersi poi anche che sussista nesso causale tra un eventuale ritardo nella
messa in liquidazione della cooperativa e l’impossibilità di ricostituire la garanzia

impedito al ricorrente, che aveva ottenuto ben quattro decreti ingiuntivi, di agire
personalmente ed immediatamente in revocatoria contro eventuali atti di alienazione
compiuti dalla cooperativa ( che non sono neppure indicati, né nel giudizio di appello né
nel ricorso).
Il primo motivo di ricorso va pertanto rigettato.
Anche il secondo motivo è infondato, in quanto da un lato pecca di autosufficienza,
essendosi limitato a richiamare un documento (il verbale di ispezione) prodotto in primo
grado senza riprodurne le parti salienti e senza neppure riportarne il numero con il quale
era stato indicato nell’indice dei documenti e il giorno di deposito, contravvenendo al
principio per cui il ricorso deve contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di
legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti
controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata
( tra le altre, Cass. 11984 del 2011). Dall’altro la motivazione della sentenza, che richiama
non solo la ispezione del 1996 ma anche le due successive ispezioni del 1998 e del 2000
per ricostruire la situazione della cooperativa e per dar conto del fatto che essa fosse in
effetti inattiva, ma perché in attesa di finanziamenti da parte del Ministero dell’Industria,
pare come già detto completa e coerente, mentre la censura appare tesa ad ottenere,
inammissibilmente, da questa Corte una nuova valutazione in fatto degli esiti
dell’istruttoria.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

P.Q.M.

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patrimoniale dei suoi creditori a mezzo delle azioni revocatorie, in quanto nulla avrebbe

Rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese del presente giudizio che liquida in
complessivi euro 18.200,00, di cui euro 200,00 per spese.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione in data 17 gennaio 2014

Il Presiden

Il Consigliere estensore

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