Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5496 del 26/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/02/2021, (ud. 15/01/2021, dep. 26/02/2021), n.5496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37049-2019 proposto da:

R.V. S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato

GIUSEPPINA TENGA per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, domicilia per legge;

– controricorrente –

nonchè

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA e

S.M.;

– intimati –

avverso l’ORDINANZA del TRIBUNALE DI ROMA depositata il 23/10 /2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/1/2021 dal Consigliere DONGIACOMO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La R.V. s.r.l., in qualità di cessionaria del credito della Ar. s.r.l., ha proposto opposizione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, avverso il decreto con il quale, in data 8/11/2017, il tribunale di Roma ha liquidato, nella misura di Euro 479,53, il compenso dalla stessa vantato quale custode giudiziario di tre colli di banconote false nel periodo compreso tra il 29/10/1991 e l’8/3/2012, deducendo che il tribunale, per un verso, aveva erroneamente applicato i parametri previsti dal protocollo emanato in data 17/7/2013 dal presidente del tribunale di Roma e il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, peraltro adottato in epoca successiva alla presentazione dell’istanza di liquidazione, e, per altro verso, non aveva liquidato alcun compenso per il periodo anteriore al 21/9/2012, non potendosi considerare il diritto al compenso come prescritto in quanto esigibile solo una volta cessata la custodia.

Il tribunale, con l’ordinanza in epigrafe, ha rigettato l’opposizione.

Il tribunale, in particolare, per quanto ancora rileva, dopo aver premesso che, a seguito del D.M. n. 265 del 2006, in caso di sequestro di beni diversi dai veicoli a motore e dei natanti, la determinazione dell’indennità spettante al custode deve essere effettuata, in forza di quanto previsto dal D.M. n. cit., art. 5, secondo gli usi locali ovvero, in difetto, a norma dell’art. 2233 c.c., comma 2, e, quindi, in base all’importa dell’opera svolta, ha ritenuto, innanzitutto, che la società opponente aveva censurato il decreto di liquidazione lì dove il tribunale non aveva applicato le tariffe elaborate dall’Agenzia del demanio in ragione del fatto che la relativa applicazione aveva determinato il formarsi di un uso locale in forza del quale l’indennità spettante al custode doveva essere de liquidata, ed, in secondo luogo, che la mancata produzione di tali tariffari non consentiva, “anche con riguardo al periodo antecedente al 21 settembre 2012”, di riscontrare la fondatezza dell’opposizione proposta ed, in particolare, di verificare se ed in quale misura l’indennità già liquidata dal tribunale si discostasse rispetto al compenso che sarebbe dovuto in forza dell’uso, la cui prova spetta a chi lo invoca, che si sarebbe formato in ragione dell’abituale applicazione del citato tariffario per la determinazione dei compensi spettanti ai custodi.

La R.V. s.r.l., con ricorso notificato il 26/11/2019, ha chiesto, per due motivi, la cassazione dell’ordinanza, dichiaratamente notificata in data 29/10/2019.

Il ministero della giustizia ha resistito con controricorso e depositato memoria.

La procura della Repubblica presso il tribunale di Roma e S.M. sono rimasti intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato l’ordinanza impugnata nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che la mancata produzione dei tariffari non consente di riscontrare la fondatezza dell’opposizione proposta verificando, in particolare, se ed in quale misura l’indennità liquidata dal tribunale si discosti rispetto al compenso che sarebbe dovuto in forza dell’uso, la cui prova spetta a chi lo invoca, che si sarebbe formato in ragione dell’abituale applicazione del citato tariffario per la determinazione dei compensi spettanti ai custodi, senza, tuttavia, considerare, per un verso, che, a norma del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, comma 5, il giudice ha il potere ed il dovere di decidere dopo aver disposto l’acquisizione degli atti, dei documenti e delle informazioni necessarie ai fini della decisione, e, per altro verso, che, mancando all’epoca dell’istanza di liquidazione la tabella prevista dal D.P.R. n. 115 del 2012, artt. 58 e 59, il compenso deve essere determinato in base alla tariffe prefettizie ridotte secondo equità, ove esistenti, ovvero secondo gli usi locali ed, in mancanza, ai sensi dell’art. 2233 c.c., comma 2, e quindi in base all’importanza dell’opera svolta.

1.2. Con il secondo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 571 del 1982, art. 12, nonchè del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 72, nonchè l’omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato l’ordinanza impugnata nella parte in cui il tribunale non ha motivato in ordine al secondo motivo di opposizione, con il quale la società opponente aveva dedotto l’illegittimità del decreto di liquidazione lì dove il tribunale aveva ritenuto che il diritto del custode al compenso per il periodo tra il 29/10/1991 ed il 21/9/2002 si fosse prescritto, senza, però, considerare che, in forza del D.Lgs. n. 571 del 1982, art. 12 e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 72, tale diritto sorge solo dopo che sia divenuto inoppugnabile il provvedimento che dispone la confisca ovvero sia stata disposta la restituzione delle cose sequestrate.

2. Intanto, il ricorso è ammissibile. Il D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 168, intitolato “decreto di pagamento… dell’indennità di custodia…”, prevede, da un lato, che “la liquidazione… dell’indennità di custodia è effettuata con decreto di pagamento, motivato, del magistrato che procede” (comma 1), e, dall’altro lato, che “il decreto è comunicato al beneficiario e alle parti, compreso il pubblico ministero, ed è titolo provvisoriamente esecutivo” (comma 2). Il D.Lgs. n. 115 cit., art. 170, aggiunge che “avverso il decreto di pagamento emesso a favore… del custode,… il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione” e che “l’opposizione è disciplinata dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 15”, le cui norme si applicano ai procedimenti che, come quello di specie, sono stati introdotti successivamente alla data (6/10/2011) della sua entrata in vigore. L’ordinanza che decide sull’opposizione proposta, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, contro il decreto di pagamento emesso a favore del custode, nella disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, è, infine, impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, trattandosi di provvedimento definitivo, non altrimenti impugnabile (art. 15, comma 6, cit.) e decisorio di questioni relative a diritti soggettivi (Cass. n. 28766 del 2017, in motiv.).

3.1. Il ricorso è, tuttavia, infondato.

3.2. Per ciò che riguarda il primo motivo, rileva la Corte che, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 276, “sino all’emanazione del regolamento previsto dall’art. 59, l’indennità è determinata sulla base delle tariffe esistenti presso la Prefettura, ridotte secondo equità, e, in via residuale, secondo gli usi locali”. Il suddetto regolamento è stato emesso con D.M. n. 265 del 2006 (che trova applicazione nei casi, come quello di specie, in cui, al momento della sua entrata in vigore, non sia stato ancora emesso dall’autorità giudiziaria il decreto di liquidazione della suddetta indennità: Cass. pen. 38470 del 2008): il quale, all’art. 5, dispone che “per la determinazione dell’indennità di custodia e conservazione relativa ad altre categorie di beni (diversi, cioè, dai veicoli a motore e natanti) si fa riferimento, in via residuale, agli usi locali, come previsto dal Testo Unico citato (di cui al D.P.R. n. 115 cit.), art. 58, comma 2”.

3.3. A seguito dell’emanazione del D.M. n. 265 del 2006, che ha approvato il regolamento recante le tabelle per la determinazione delle indennità spettanti al custode di beni sottoposti a sequestro, pertanto, non è più applicabile la disposizione transitoria di cui al D.P.R. n. 115 cit., art. 276, la quale – come visto – prevedeva che, sino all’emanazione del regolamento previsto dallo stesso decreto, art. 59, l’indennità era determinata sulla base delle tariffe esistenti presso la prefettura, ridotte secondo equità, e, in via residuale, secondo gli usì locali (Cass. n. 752 del 2016, in motiv.), dovendosi, piuttosto, applicare il principio per cui, in tema di liquidazione dell’indennità spettante al custode di beni sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento penale, a seguito dell’emanazione del D.M. n. 265 del 2006, di approvazione delle tariffe, la determinazione dell’indennità di custodia per i beni diversi da quelli ivi espressamente contemplati (e cioè i veicoli a motore e i natanti), va operata, ai sensi del predetto decreto, art. 5, sulla base degli usi locali (Cass. n. 11281 del 2012), come previsto dal D.P.R. n. 115 cit., art. 58, comma 2.

3.4. L’onere di fornire la prova di tali usi, tuttavia, spetta a chi ne invoca l’applicazione. Nella giurisprudenza di questa Corte, in effetti, è del tutto consolidato il principio, fondato sull’obbligo del giudice di conoscere la legge ma non anche gli usi, che questi ultimi, ove il giudice non ne sia a conoscenza, debbono essere provati a cura della parte che li allega (Cass. n. 11553 del 2019, in motiv., resa tra le stesse parti). Non presta il fianco a censure, quindi, l’ordinanza impugnata lì dove il tribunale ha rilevato che la società ricorrente non aveva dimostrato, pur avendone l’onere, l’esistenza di usi locali relativi alla determinazione dei compensi per i beni oggetto della custodia ed ha, in forza di tale rilievo, rigettato la domanda di pagamento che la stessa aveva proposto.

3.5. Nè può affermarsi, come pretende la ricorrente, che, nel giudizio relativo alle controversie previste, come quella in esame, dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, il giudice dell’opposizione, a norma del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, comma 5, ha il potere ed il dovere di decidere dopo aver disposto l’acquisizione degli atti, dei documenti e delle informazioni necessarie ai fini della decisione: ivi compresi, sembra di capire, gli usi locali (o meglio, i documenti che ne contengono la raccolta, cui lo stesso tribunale accenna con l’espresso riferimento alle tariffe elaborate dall’agenzia del demanio) che, a norma delle disposizioni citate, rilevano ai fini della determinazione dell’indennità di custodia azionata dalla società opponente. Il ricorso avverso il decreto di liquidazione del compenso, nel regime introdotto dal D.P.R. n. 115 cit., art. 170, è, in effetti, atto introduttivo di un procedimento contenzioso (Cass. n. 1470 del 2018) nel quale, però, il giudice ha il potere-dovere di verificare la correttezza della liquidazione in base ai criteri legali, a prescindere dalle prospettazioni dell’istante – con il solo obbligo di non superare la somma richiesta, in applicazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c. senza limitarsi ad una rigida applicazione del principio dell’onere della prova. In tale giudizio, invero, il giudice ha il potere ma anche il dovere di richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione, tanto sul quantum, tanto sull’an, essendo la locuzione “può” contenuta nel D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, comma 5, da intendersi non come espressione di mera discrezionalità, bensì come potere-dovere di decidere causa cognita, senza limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova (cfr. Cass. n. 2206 del 2020; Cass. n. 4194 del 2017; Cass. n. 19690 del 2015). La deroga a tale principio, tuttavia, deve ritenersi limitata all’acquisizione dei soli atti, documenti ed informazioni concernenti il procedimento presupposto, e cioè il giudizio nell’ambito del quale è stato conferito l’incarico ed è stata svolta l’opera che attribuisce il diritto al compenso che il magistrato deve, appunto, liquidare: non anche agli elementi di fatto che, al di fuori di tale procedimento, concorrono alla determinazione del compenso, come gli usi locali, che spetta all’istante provare in giudizio, con il deposito del relativo supporto documentale.

4. Il secondo motivo è, invece, inammissibile. La ricorrente, infatti, non si confronta realmente con la pronuncia che ha impugnato: il tribunale, in effetti, lungi dall’omettere la motivazione del rigetto del secondo motivo d’opposizione, ha, sul punto, espressamente affermato (ai fini in esame non imposta se a torto o a ragione) che la mancata produzione del tariffario impediva di riscontrare la fondatezza dell’opposizione proposta, e ciò “anche con riguardo al periodo antecedente al 21 settembre 2012”.

5. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

7. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al ministero della giustizia le spese di lite, che liquida in Euro. 400,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 15 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2021

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