Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5496 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. I, 08/03/2010, (ud. 10/11/2009, dep. 08/03/2010), n.5496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A.A. (C.F. (OMISSIS)), domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositate il

24/03/2007; n. 2212/06 R.G.A.D.;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

10/11/2009 dal Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 24.3.2007 la Corte d’Appello di Napoli – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 proposta da M.C., P.A.A. ed D. D.A.M. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione al giudizio dai medesimi promosso con ricorso depositato nel Dicembre 1997 avanti al TAR della Campania al fine di ottenere la riliquidazione del TFR dalla data di avviamento al lavoro e definito con sentenza del giorno 1.3.2005 – liquidava a titolo di danno non patrimoniale a favore di ciascuno la somma di Euro 4.250,00, pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, oltre agli interessi dalla domanda.

Avverso detto decreto propone ricorso per Cassazione il solo P.A.A. che deduce tredici motivi di censura.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto alcuna attivita’ difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso P.A.A. denuncia violazione dell’art. 6 par. 1 della C.E.D.U. e della L. n. 89 del 2001. Lamenta che la Corte d’Appello non abbia tenuto conto dei parametri Europei sia per quanto riguarda la determinazione dell’indennizzo fissata in una somma oscillante fra Euro 1000,00 ed Euro 1.500,00 per ogni anno di ritardo che per quanto concerne la liquidazione delle spese. Deduce inoltre che erroneamente non ha riconosciuto un “bonus” di Euro 2.000,00 pur in presenza di una causa di lavoro.

Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della C.E.D.U. nonche’ difetto di motivazione, ribadendo che la Corte d’Appello non si e’ attenuta alla giurisprudenza della Corte Europea per quanto riguarda i parametri minimi fissati nella misura di Euro 1.500,00 per ogni anno di durata del procedimento.

Con il quarto, il quinto ed il sesto motivo il ricorrente, denunciando violazione della C.E.D.U., lamenta che la Corte d’Appello, senza alcuna motivazione, non abbia riconosciuto un “bonus” di Euro 2.000,00 nonostante il giudizio presupposto avesse riguardato materia di lavoro.

Con il settimo ed i successivi fino al tredicesimo motivo il ricorrente deduce che la Corte d’Appello non si e’ adeguata alla giurisprudenza Europea per quanto riguarda la liquidazione delle spese in violazione dell’art. 6 della C.E.D.U e dell’art. 1 del Protocollo Addizionale.

Il ricorso e’ fondato nei limiti che saranno qui di seguito precisati.

Quanto alla censura con cui si contesta l’entita’ dell’indennizzo riguardante il danno non patrimoniale, si rileva che la Corte d’Appello, liquidando una somma complessiva di Euro 4.250,00 pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di durata non ragionevole complessivamente determinata in anni quattro e mesi tre a fronte del protrarsi in anni sette e mesi tre dell’intero procedimento, si e’ adeguata ai parametri fissati dalla Corte Europea nella misura di 1.000,00 – 1.500,00 per ogni anno di ritardo e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito come una tale valutazione non possa prescindere, in considerazione del rinvio operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 dall’interpretazione della Corte di Strasburgo e debba pertanto uniformarsi, per quanto possibile, alla liquidazione effettuata in casi simili dal giudice Europeo, sia pure con possibilita’ di apportare, purche’ in misura ragionevole, le deroghe suggerite dalla singola vicenda. Dalle decisioni adottate a carico dell’Italia (vedi in particolare la pronuncia sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Zullo) risulta infatti che la Corte Europea ha individuato nell’importo sopra indicato, vale a dire compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00, il parametro medio annuo per la quantificazione dell’indennizzo. Ne’ puo’ condividersi l’assunto secondo cui, una volta accertata una durata non ragionevole, dovrebbe tenersi conto dell’intero periodo di durata del procedimento, prevedendo espressamente la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3 che, ai fini in esame, rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo.

Al riguardo questa Corte ha gia’ sottolineato che, anche se per la Corte Europea l’indennizzo debba essere moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale e’, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, secondo cui e’ influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Si e’ sostenuto infatti che detta diversita’ di calcolo non tocca la complessa attitudine della L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e pertanto non autorizza dubbi sulla compatibilita’ di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione Europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6 par. 1 della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2 nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; vedi Cass. 8714/06).

Del pari non puo’ trovare accoglimento la richiesta di riconoscimento di un “bonus” di Euro 2.000,00 in relazione alla natura previdenziale della controversia, non essendo previsto dalla legislazione nazionale e non potendo comunque considerarsi un effetto automatico, slegato dalla particolarita’ della fattispecie sulla quale nulla e’ stato pero’ detto al di la’ di un generico richiamo al carattere assistenziale della controversia.

Vanno invece accolte le censure riguardanti la liquidazione delle spese del giudizio di merito riconosciute in misura inferiore al dovuto, spese che si distraggono a favore del difensore antistatario e che si liquidano per intero quanto al giudizio di merito e nella misura di un terzo quanto al giudizio di legittimita’, da calcolarsi in relazione alla differenza fra le spese liquidate in sede di merito e le stesse riconosciute in questa sede.

L’impugnato decreto deve essere pertanto cassato in relazione alle censure accolte.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte. Conferma la condanna della Presidenza del Consiglio al pagamento della somma di Euro 4.250,00 con gli interessi dalla domanda. Condanna la Presidenza del Consiglio al pagamento delle spese processuali che distrae a favore del difensore e che liquida per l’intero, quanto al giudizio di merito, in Euro 378,00 per diritti, in Euro 445,00 per onorario ed in Euro 50,00 per spese oltre accessori di legge e nella misura di un terzo quanto al giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 80,00 per onorario ed in Euro 30,00 per spese oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

 

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