Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5492 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. I, 08/03/2010, (ud. 09/11/2009, dep. 08/03/2010), n.5492

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA F. MICHELINI TOCCI 50, presso l’avvocato

VISCONTI CARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato CASTROGIOVANNI

FRANCESCO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ACIREALE;

– intimato –

sul ricorso n. 23048/2004 proposto da:

COMUNE DI ACIREALE (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 12 – sc. A

– int.4, presso l’avvocato DI LORENZO FRANCO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MANCIAGLI NUNZIO, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

V.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 798/2003 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 04/09/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

09/11/2009 dal Presidente Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale Comune di

Acireale, l’Avvocato NUNZIO MANCIAGLI che ha chiesto il rigetto del

ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

del ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi; per

l’assorbimento o, in subordine, per il rigetto del ricorso

principale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata in data 2.11.2000 il Tribunale di Catania accoglieva l’opposizione proposta dal Comune di Acireale avverso il decreto ingiuntivo del 12.11.1997 richiesto dall’ing. V. F. per ottenere il pagamento del corrispettivo dell’opera professionale da lui prestata in esecuzione del disciplinare d’incarico approvato con delibera della G.M. del 3.12.1986. Al riguardo dichiarava nulla detta delibera ed il successivo contratto per carenza di regolare f) previsione di spesa con imputazione al capitolo di bilancio.

Proponeva impugnazione il V. ed all’esito del giudizio, nel quale si costituiva il Comune che proponeva anche appello incidentale, la Corte d’Appello di Catania con sentenza del 25.7 – 4.9.2003 rigettava il gravame, compensando integralmente le spese del grado.

Relativamente alle questioni che sarebbero state sollevate in questa sede, rilevava in primo luogo la Corte d’Appello che prima dell’entrata in vigore della L. n. 144 del 1989 – non applicabile “ratione temporis” al caso in esame e che all’art. 23 prevede a pena di inefficacia per qualsiasi spesa del Comune l’impegno contabile nella delibera da registrare nel competente capitolo di bilancio – analogo obbligo era previsto dal R.D. n. 383 del 1934, art. 284 il cui contenuto e’ stato ricalcato D.L. del Presidente della Regione Sicilia n. 6 del 1955, art.189 richiamato dalla L.R. n. 16 del 1963 applicabili ai Comuni siciliani, ma che, mancando nella normativa regionale anche il richiamo all’art. 288 che prevede in caso di violazione la sanzione della nullita’ della delibera, alla pronuncia di nullita’ del contratto non poteva pervenirsi; ne’ sarebbe consentito far riferimento alla norma generale di cui all’art. 1418 c.c. in assenza di una norma che stabilisca espressamente, come avviene ora con la L. n. 144 del 1989, art. 23 sopra citata, che la nullita’ della delibera comporti la nullita’ o, quanto meno, l’inefficacia del contratto.

Richiamava pero’ la clausola contrattuale con cui il compenso era stato subordinato al finanziamento da parte della Regione dell’opera commissionata, osservando che al momento della conclusione del contratto non era ancora entrata in vigore la norma richiamata dal V. che ha previsto la nullita’ di tali clausole in quanto la L.R. n. 21 del 1985, art. 5, comma 7 che vieta tali pattuizioni, e’ stato introdotto solo con la L.R. n. 10 del 1993, art. 22 vale a dire dopo il 1987, anno di stipulazione del contratto.

Rilevava altresi’ che la clausola in esame non e’ contraria alla L. n. 340 del 1976 ed al principio di inderogabilita’ dei minimi tariffari professionali, essendo tale inderogabilita’ limitata ai rapporti fra privati e non e’ estensibile ai contratti pubblici in forza della norma di cui alla L. n. 404 del 1977, art. 6. Al riguardo precisava che la sua liceita’ deriva anche dagli artt. 81 e 82 del Trattato dell’Unione Europea, direttamente “applicabile ai paesi membri, che tutelano la liberta’ contrattuale contro comportamenti anticoncorrenziali dei professionisti impedendo l’imposizione di qualsiasi tariffa od il divieto di gratuita’ della prestazione.

Riteneva conseguentemente che, non avendo il V. fornito la prova dell’avveramento della condizione relativa al finanziamento dell’opera da parte della Regione, cui e’ collegato il diritto al compenso ed essendo anzi emerso che nel 1990 lo stesso Comune aveva presentato richiesta di finanziamento alla Regione senza alcun esito, la sentenza impugnata non poteva che essere confermata sia pure sotto tale diverso profilo.

Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione V. F. che deduce tre motivi di censura.

Resiste con controricorso, illustrato anche con memoria, il Comune di Acireale che propone anche ricorso incidentale affidato a tre motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente i due ricorsi, il principale e l’incidentale, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., riguardando la stessa sentenza.

Con il primo motivo di ricorso V.F. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1353 c.c. e dell’art. 1362 c.c. e segg. nonche’ difetto di motivazione. Lamenta che la Corte d’Appello, aderendo alle deduzioni difensive del Comune ed omettendo qualsiasi considerazione sulle obiezioni avanzate in quella sede, abbia sostenuto, contrariamente al vero e senza motivare il suo convincimento, che dalla convenzione risulti la clausola con cui la produzione degli effetti del negozio sarebbe stata condizionata all’avverarsi della clausola che subordinava gli effetti del negozio al finanziamento dell’opera.

La censura, cosi’ come prospettata, e’ assolutamente generica e non permette di valutarne la veridicita’.

A fronte dell’affermazione della Corte d’Appello, secondo cui “non v’e’ contestazione sul fatto che questo (il compenso n.d.e.) era subordinato al finanziamento da parte della Regione dell’opera commissionata”, il ricorrente si limita a negare l’esistenza di una tale clausola senza riportare il contenuto del disciplinare d’incarico o della delibera di conferimento, cui evidentemente la Corte d’Appello ha fatto riferimento, nonostante la censura richiami i criteri in ordine alla interpretazione dei contratti previsti dal codice civili e deduca altresi’ il difetto di motivazione.

In osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, non avrebbe egli potuto esimersi dal riportare fedelmente detto contenuto per consentire in questa sede, nei limiti del sindacato di legittimita’, una valutazione sulla correttezza dell’interpretazione dell’atto da parte della Corte d’Appello.

Ne’ d’altra parte ha indicato gli atti o, tanto meno, ha riportato il contenuto in cui tali obiezioni sarebbero state esposte nel giudizio avanti alla Corte d’Appello. Precisazioni queste tanto piu’ necessarie in presenza dell’affermazione perentoria contenuta nella sentenza impugnata e sopra riportata in ordine alla mancanza di contestazione al riguardo.

La censura deve pertanto dichiararsi inammissibile.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 340 del 1976, art. unico, della L. n. 404 del 1977, art. 6 e dell’art. 1354 c.c., comma 3 e art. 1419 c.c., comma 2 nonche’ difetto di motivazione. Deduce che, anche qualora dovesse per ipotesi ravvisarsi l’esistenza di detta clausola condizionante gli effetti del negozio, dovrebbe riconoscersi la sua radicale nullita’ ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 1354 c.c., comma 3 e all’art. 1419 c.c., comma 2 per insanabile contrasto con la norma imperativa introdotta dalla L. n. 340 del 1976, art. unico che sancisce l’inderogabilita’ dei minimi tariffari per ingegneri ed architetti. Sostiene inoltre che erroneamente la Corte d’Appello ha affermato che la clausola in questione non e’ contraria alla L. n. 340 del 1976, art. unico ed al principio dell’inderogabilita’ dei minimi tariffari sul rilievo che tale inderogabilita’ e’ limitata ai rapporti fra privati in forza della L. n. 404 del 1977, art. 6 cosi’ come altrettanto erroneamente ha sostenuto che l’onerosita’ del contratto costituisce solo un elemento naturale e non essenziale del contratto.

L’esposto motivo di ricorso trova puntuale risposta nella giurisprudenza di questa Corte la quale, nel comporre, aderendo al filone maggioritario, il contrasto insorto sul punto, ha senz’altro escluso anche sotto il particolare profilo in esame la nullita’ della clausola che subordina al finanziamento dell’opera il pagamento del compenso da parte di un ente pubblico al professionista per l’espletamento dell’incarico affidatogli (Sez. Un. 18450/05).

Dopo aver affermato in linea generale che la facolta’ riconosciuta alle parti di un rapporto contrattuale di condizionare, sia in senso sospensivo che risolutivo, l’efficacia del contratto ad un evento futuro ed incerto (artt. 1322 e 1353 c.c.) trova applicazione anche in presenza di una convenzione con cui un ente pubblico affidi ad un privato un incarico professionale, la richiamata sentenza si e’ posta il problema di verificare se detto principio possa trovare applicazione anche in relazione alla specifica clausola volta a condizionare il diritto al compenso alla concessione del finanziamento necessario per la realizzazione dell’opera, giungendo alla conclusione che solo la presenza di specifiche norme proibitive potrebbero limitare una tale autonomia. Ed al riguardo ha richiamato la normativa sull’inderogabilita’ dei minimi previsti dalla tariffa professionale per gli ingegneri e gli architetti cui ha fatto riferimento anche la sentenza impugnata e che e’ oggetto specifico del motivo di ricorso in esame, sottolineando che la L. 1 luglio 1977, n. 404, art. 6, comma 1 aveva previsto che doveva “intendersi applicabile esclusivamente ai rapporti intercorrenti fra privati” il principio dell’inderogabilita’ dei minimi della tariffa introdotta con la L. 5 maggio 1976, n. 340, art. unico e che solo successivamente, con il D.L. 2 marzo 1989, n. 65, art. 12, comma 1 convertito con modificazioni dalla L. 26 aprile 1989, n. 155, venne disposto che, in rapporti del genere fra professionisti e lo Stato od altri enti pubblici, la riduzione dei minimi della tariffa non poteva superare il 20%.

Ora, non solo nel caso in esame tale ultima normativa e’ successiva all’affidamento dell’incarico sottoscritto in data 9.5.1987 (vedi ricorso pag. 2) e come tale non applicabile ma, come hanno sottolineato le Sezioni Unite, manca in ogni caso un’espressa previsione di nullita’ del tutto spiegabile con il rilievo che l’inderogabilita’ dei minimi non e’ prevista a tutela di un interesse generale della collettivita’ ma di un interesse di categoria.

Infine, per completare il quadro con specifico A riferimento al caso trattato in quella sede del tutto analogo a quello in esame, Le Sezioni Unite hanno altresi’ sottolineato che, comunque, la clausola con cui il diritto al compenso venga condizionato al finanziamento dell’opera non puo’ considerarsi alla stregua di una rinuncia ma si inserisce nel complessivo assetto di interessi perseguito dalle parti.

Alla luce di tali principi e considerazioni, proponibili anche nel caso in esame, la censura non puo’ che essere rigettata.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1359 e 2697 c.c. nonche’ difetto di motivazione. Deduce che erroneamente la Corte d’Appello ha ritenuto che incombesse a lui e non gia’ al Comune l’onere di provare che era stato fatto tutto il possibile per ottenere il finanziamento dell’opera, senza considerare che non poteva essergli imposto la prova di un fatto negativo costituito dall’inerzia del Comune nel richiedere il finanziamento e senza quindi trarre le dovute conseguenze in base all’art. 1359 c.c..

Anche tale censura e’ infondata.

La clausola in questione, che subordina il pagamento al finanziamento da parte della Regione, integra certamente una condizione potestativa mista, dipendendo il suo avveramento in parte da un terzo, vale a dire dalla Regione che doveva erogare il finanziamento, ed in parte dall’iniziativa del Comune contraente.

Orbene, relativamente a quella parte dipendente dall’iniziativa del Comune, trova certamente applicazione il richiamato art. 1359 c.c. (come del resto anche l’art. 1358 c.c.) in base al quale “la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa”. Trattasi in altri termini di una “fictio” di avveramento a tutela di possibili comportamenti dolosi o colposi posti in essere dal soggetto controinteressato.

Ma, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, incombe al creditore, che tale mancato avveramento lamenta, l’onere di provarne la imputabilita’ al debitore a titolo di dolo o di colpa;

correttamente pertanto la Corte d’Appello sul punto ha concluso in tal senso.

In ogni caso la sentenza impugnata, attraverso un’indagine di fatto non sindacabile in sede di legittimita’, ha accertato che il Comune aveva presentato alla Regione la richiesta di finanziamento, escludendo in tal modo una sua inerzia e comunque la presenza di un suo comportamento riconducibile alla previsione di cui all’art. 1359 c.c..

Il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento dei primi due motivi del ricorso incidentale del Comune il quale, anche se non proposto in via condizionata, contiene ulteriori motivi di carattere giuridico a sostegno della tesi della infondatezza delle rivendicazioni di controparte, gia’ accertata con il rigetto del ricorso principale.

Quanto al terzo motivo, riguardante la compensazione delle spese disposta dalla Corte d’Appello senza l’indicazione dei giusti motivi, si osserva che tale compensazione, operata con riferimento alle “questioni dedotte in giudizio”, trova la sua giustificazione evidentemente nello stato della giurisprudenza dell’epoca, ancora non consolidata sui principi sopra richiamati.

Per le stesse ragioni anche le spese del presente giudizio di legittimita’ possono essere compensate per l’intero, essendo stato il ricorso proposto in epoca precedente alla piu’ volte richiamata sentenza delle Sezioni Unite.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale. Dichiara assorbito il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale. Rigetta il terzo. Compensa le spese del presente giudizio di legittimita’.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

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