Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5491 del 08/03/2011

Cassazione civile sez. VI, 08/03/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 08/03/2011), n.5491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA EMANUELE FILIBERTO 309, presso lo studio dell’avvocato

PIRRONE CARMELO, rappresentato e difeso dall’avvocato POLLICINO

CHIARA, giusta procura speciale alle liti in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ALESSANDRIA 119, presso lo studio dell’avvocato BRAGAGLIA

BRUNO, rappresentato e difeso dall’avvocato CARELLA FRANCO, giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE in persona del

Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato

e difeso dagli avvocati SGROI ANTONINO, CALIULO LUIGI, MARITATO

LELIO, giusta procura in calce al ricorso notificato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1171/2009 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del

29.9.09, depositata il 21/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO CURZIO;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. APICE

Umberto.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Letto il ricorso con il quale P.E. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Messina, pubblicata il 21 ottobre 2009.

Letta la relazione del cons. Curzio, con la quale sono state esposte le ragioni che a parere del relatore rendevano possibile definire il giudizio in camera di consiglio;

Premesso che, in sede di relazione, si e’ ritenuto che il giudizio potesse essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5, per le seguenti ragioni.

Il P. aveva convenuto in giudizio S.D., assumendo di aver lavorato alle dipendenze dello S. agente mandatario della Garzanti, quale addetto alle vendite, senza essere retribuito in conformita’ ai criteri di cui all’art. 36 Cost. Chiese la condanna del convenuto al pagamento di una serie di differenze retributive e indennita’ relative al rapporto di lavoro subordinato.

Lo S. si costitui’ contestando l’esistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata.

L’INPS chiamato in giudizio dedusse la sua disponibilita’ alla costituzione della posizione assicurativa.

Il Tribunale ritenne insussistente la prova della natura subordinata del rapporto.

La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado, concordando con la valutazione della prova fatta dal primo giudice, tanto di quella testimoniale che di quella basata sulla produzione documentale.

Il ricorso per cassazione si articola in due motivi. L’intimato si difende con controricorso. L’INPS non ha svolto attivita’ difensiva.

Con il primo motivo si denunzia un vizio di “omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, violazioni degli artt. 1322 e 1372 c.c., nonche’ degli artt. 115 e 116 c.p.c.”.

Il motivo e’ inammissibile: perche’ propone una censura contraddittoria (una motivazione non puo’ al tempo stesso essere inesistente ed essere insufficiente); non precisa il fatto specifico su cui verte il vizio (che, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 deve riguardare un “fatto controverso e decisivo per il giudizio”; si risolve in una diversa valutazione delle prove.

Il secondo motivo denunzia “insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia. Violazione dell’art. 2094 c.c. degli artt. 115 e 116 c.p.c.”.

E’ anch’esso inammissibile, perche’, oltre a non precisare il fatto controverso e decisivo, e’ tutto incentrato su di una diversa ricostruzione e valutazione delle prove, il che e’ inammissibile in sede di legittimita’”.

Tali valutazioni della relazione, sono condivise dal collegio e fondano il rigetto del ricorso, che risulta manifestamente infondato, anche alla luce delle ulteriori seguenti considerazioni.

Le censure del ricorso si concentrano sulla valutazione della prova testimoniale operata dalla sentenza. Valutazione che sarebbe erronea perche’ la Corte avrebbe “sopravvalutato delle testimonianze assolutamente inconducenti per alcuni versi ed inesatte per altri, svolte da persone che non potevano avere piena e diretta conoscenza dei fatti”, mentre “non avrebbe tenuto adeguatamente conto” delle deposizioni di altri testi.

I testi sopravvalutati sarebbero T., B., V., Pa. e Sc.. Ritenuti inattendibili, l’ultimo perche’ figlio del convenuto, gli altri perche’ collaboratori dello S. e perche’ avrebbero potuto osservare solo occasionalmente il lavoro del P..

I testi non considerati adeguatamente sarebbero E., V. e T..

La sentenza non si basa certo sulla deposizione del figlio dello S., che e’ una tra le tante acquisite.

Quanto ai testi T. e V., il fatto che fossero collaboratori dello S. non li rende inattendibili, mentre il fatto che abbiano ammesso che vedevano il P. una volta ogni tanto non esclude che potessero essere in grado di dare indicazioni sul tipo di attivita’ che questi svolgeva per lo S..

Ancora meno convincente, e sicuramente apodittica, e’ la censura in ordine alle testimonianze di Pa. e B. ritenute di “nessuna rilevanza” perche’ sono “conformi alle tesi del resistente”.

Il ricorrente sostiene invece che le testimonianze da cui desumere le sue ragioni sono quelle di E., B. e T. (cosi’ il ricorso a pag. 11).

Quella del B. e’ pero’ una testimonianza che poco prima era stata giudicata poco attendibile.

Quella di E. e’ la testimonianza di un cliente, che acquisto’ “alcuni libri”, il quale afferma che lo S. gli disse, alludendo al P., che sarebbe passato un suo “impiegato” ed aggiunge che il P. passava da lui sempre di mattina, “lasciando intendere, seppur indirettamente, l’esistenza di orari regolari e prefissati per appuntamenti ed incontri”.

Ora, se il primo elemento ha un suo rilevo, anche se non decisivo, il secondo non e’ certo idoneo a provare la soggezione al vincolo di un orario di lavoro.

Analoghe considerazioni valgono con riferimento ai brani riportati in ricorso estratti dalla testimonianza della T..

Il fatto che il ricorrente andasse dalla cliente la mattina, che “poteva capitare” portasse lui i libri (che altrimenti venivano consegnati dal corriere) e che alcune volte incassasse gli acconti, rilasciando ricevute timbrate dall’agenzia, non sono certo elementi idonei a provare la subordinazione.

Infine, anche le dichiarazioni della V., segretaria dello S., non spostano la va a favore delle tesi del ricorrente.

Nel ricorso vengono riportati alcuni brani di tali dichiarazioni (non il testo integrale).

Le affermazioni a sostegno della subordinazione sarebbero che “il P. aveva clienti che volevano pagare solo a lui”; che a fronte della consegna a mezzo posta, vi erano eccezioni in cui era il P. a consegnare i libri; che “la teste riconosce sia pur indirettamente la possibilita’ che il P. potesse recarsi dai clienti morosi, per dar loro modo di sanare la morosita’”.

Circostanze, quindi, tutt’altro che precise, ma comunque non determinanti, mentre e’ decisivo cio’ che non viene riportato testualmente, ma che il ricorso non puo’ non ammettere laddove afferma che la V. nella sua deposizione ha dato atto della liberta’ organizzativa e della liberta’ in ordine agli orari di cui godeva il P.. Circostanze, queste si’, dirimenti e decisive ai fini della qualificazione del rapporto.

Pertanto, non puo’ che concludersi nel senso della manifesta infondatezza del ricorso, con le relative conseguenze in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese in favore del controricorrente S., liquidandole in 30,00 Euro, nonche’ 1.500,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2011

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