Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5484 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/02/2020, (ud. 15/05/2019, dep. 28/02/2020), n.5484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAGDA Cristiano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso iscritto al n. 16133/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Sestrieres spa in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dagli avv. Pellicciari Claudio e Tomassini

Alessandro, con domicilio eletto in Roma, via Aterno n. 9, presso lo

studio del primo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte n. 43/05/11 del 6 aprile 2011, depositata il 27 maggio

2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio

2019 dal Consigliere Manzon Enrico.

Fatto

RILEVATO

Che:

Il 17 gennaio 2006 Sestrieres spa presentava all’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ufficio locale, denuncia di primo impianto di alcune officine di produzione di energia elettrica “in proprio”, peraltro dichiarando che le prime attivazioni di tali officine erano rispettivamente avvenute negli anni 1989, 1993, 1995, 1996, 1998;

– conseguentemente l’Ufficio effettuava nel febbraio 2008 un sopralluogo presso la società contribuente, all’esito del quale il 10 e 13 ottobre 2008 venivano emessi avvisi di pagamento per omessa denuncia preventiva di attivazione, omesso versamento del diritto di licenza, omesso versamento dell’imposta erariale di consumo e delle addizionali comunali e provinciali sull’energia elettrica;

– successivamente, il 17 dicembre 2008, venivano altresì emessi atti di contestazione per l’irrogazione delle correlative sanzioni amministrative;

– la società contribuente definiva in via agevolata le pretese/contestazioni relative agli anni 2003/2007 ed invece impugnava, con separati ricorsi, gli atti impositivi e sanzionatori per le annualità precedenti, affermando l’infondatezza delle relative pretese erariali in quanto estinte per maturata prescrizione.

La Commissione tributaria provinciale di Torino, con sentenza n. 134/05/2009 in data 11 novembre 2009, accoglieva il ricorso proposto contro gli atti impositivi.

Con sentenza n. 43/05/11 del 6 aprile 2011, depositata il 27 maggio 2011, la Commissione tributaria regionale del Piemonte respingeva l’appello avanzato dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ufficio locale, avverso la decisione.

La CTR osservava, in particolare, che doveva considerarsi corretta l’affermazione dei primi giudici di intervenuta prescrizione dei diritti erariali per il periodo precedente il 2003, retroagendo a quella annualità l’effetto interruttivo della scoperta, avvenuta nel febbraio 2008, dei fatti omissivi sui quali si fondava la pretesa dell’Agenzia. Il giudice tributario di appello ribadiva che tale conclusione era conseguente alla interpretazione della frase “(…) la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito” contenuta nel D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 15, comma 1, secondo periodo, (breviter TUA), per l’appunto riferita alla prescrizione di detti diritti erariali (e delle relative sanzioni) in caso di “comportamenti omissivi” – così qualificati e sussunti quelli in oggetto – dovendosi attribuire a tale proposizione normativa il significato di “è compiuta”: ciò, secondo la CTR piemontese, in stretta analogia con quanto disposto dall’art. 2962 c.c. in ordine al compimento del termine prescrizionale, ossia individuandosi il “compimento” della prescrizione con il “momento della scoperta” del fatto illecito;

rilevavano i giudici regionali che, altrimenti, la norma avrebbe dovuto indicare il “momento di partenza” e non di scadenza del termine prescrizionale, soggiungendo che, quanto al primo, bisognava far riferimento al tempo dell’insorgenza dell’obbligazione tributaria, coincidente, nella specie, con l’attivazione dell’officina di produzione dell’energia elettrica.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle dogane e dei monopoli deducendo due motivi.

Resiste con controricorso la società contribuente.

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’agenzia fiscale ricorrente deduce la violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 15, comma 1, secondo periodo (relativo ai crediti per le accise in generale), art. 57, comma 3, secondo periodo (relativo ai crediti per l’accisa sull’energia elettrica), art. 12 preleggi, poichè la CTR ha ritenuto che l’espressione “In caso di comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito” -contenuta in entrambe le disposizioni del TUA evocate- debba essere intesa nel senso che tale “scoperta” fissi il termine finale del periodo di maturazione della prescrizione e in particolare perchè ha attribuito alla voce verbale “opera dal” il significato di “è compiuta”, con ciò affermando la parziale infondatezza delle pretese creditorie di cui agli atti impositivi impugnati, con riferimento a quelle riguardanti obbligazioni di imposta antecedenti i 5 anni dalla “scoperta” degli illeciti omissivi (dichiarativi e di versamento di imposta) de quibus, avvenuta nel febbraio 2008: in tal modo il giudice di appello avrebbe violato i canoni ermeneutici generali fissati dalla pure evocata disposizione delle preleggi.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3- la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 15 e 57 TUA, art. 2935 c.c., poichè la CTR ha ritenuto che il momento determinativo dell’inizio della decorrenza della prescrizione nel caso di specie deve essere fissato al tempo dell’insorgenza dell’obbligazione tributaria, secondo le regole ordinarie, ossia dal momento della produzione dell’energia elettrica mediante un’officina ad uso proprio e non, come allegato dall’agenzia fiscale, dal momento della scoperta dell’omissione di denuncia della produzione medesima: secondo la ricorrente, infatti, la CTR avrebbe erroneamente affermato che la regola della decorrenza dalla scoperta dell’omissione è prevista dalla legge nei soli casi in cui sia stato commesso un illecito penale e non anche, come nel caso di specie, quando la scoperta derivi dal semplice fatto dell'”autodenuncia” della società contribuente.

Considerato che:

Questa Corte ritiene che si profili come rilevante e non manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale dell’art. 57 TUA, comma 3, secondo periodo.

Tale questione, non dedotta dalle parti, viene sollevata d’ufficio L. 11 marzo 1953, n. 87, ex art. 23, comma 3.

In punto “rilevanza” deve osservarsi quanto segue.

Oggetto specifico del presente procedimento sono gli atti impositivi, essendo quelli sanzionatori oggetto di altro processo, anch’esso pendente avanti a questa Corte (R.G. n. 16132/2012).

Risulta pacifico in fatto che Sestrieres spa ha attivato alcune officine di produzione di energia elettrica per l’uso proprio senza farne la preventiva denuncia all’Ufficio tecnico di finanza (UTIF) competente per territorio.

Altrettanto pacifico è che sulla società contribuente incombesse il relativo obbligo formale, come previsto dall’art. 53 TUA, commi 1-2, nella versione vigente ratione temporis, e che di conseguenza sulla stessa gravassero gli obblighi tributari sostanziali previsti dall’art. 52 TUA, comma 1, art. 53 TUA, comma 1, u.p., sempre nella versione vigente ratione temporis (rispettivamente, imposta di consumo con relative addizionali e diritto annuale di licenza).

L’unica questione dibattuta fra le parti è di mero diritto ed attiene alla decorrenza del termine di prescrizione del diritto dell’Agenzia alla riscossione delle imposte per cui è causa: il presente giudizio stante il disposto dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., che consente a questa Corte di decidere nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto – è perciò destinato ad essere definito nella presente sede di legittimità non solo in caso di rigetto del ricorso, ma anche in caso di suo accoglimento.

In ordine alla predetta questione viene in rilievo l’art. 57 TUA, comma 3, secondo il quale “Il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo. In caso di comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito”.

La disposizione è (rectius, era: v. infra) sostanzialmente omologa quanto al contenuto normativo ed identica nella seconda parte (che è quella la cui interpretazione è fondamentale in questo giudizio) all’art. 15 TUA, comma 1, nella versione applicabile ratione temporis, secondo il quale “Il credito dell’amministrazione finanziaria per l’accisa si prescrive in cinque anni. In caso di comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento di scoperta del fatto illecito”: risulta pertanto privo di rilevanza che il giudice tributario di appello abbia fatto ermeneusi ed applicazione di questa seconda disposizione, riguardante diverse imposte (accise sugli oli minerali, sugli alcolici ed altre), anzichè della prima, che, in quanto espressamente riferita alla decorrenza del termine di prescrizione di quella che -allora- era l'”imposta erariale di consumo” sull’energia elettrica, regola specificamente la fattispecie oggetto di causa.

Ciò premesso, questa Corte ritiene errata l’interpretazione data a detti enunciati del TUA dai giudici dei gradi di merito e quindi fondate le critiche alla sentenza impugnata mosse dall’agenzia fiscale ricorrente.

Infatti il D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 57, comma 3, in relazione alla prescrizione dei diritti erariali inerenti all’imposta sulla produzione dell’energia elettrica prevede una regola ed un’eccezione:

– la prima, espressamente, fissa il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale nella “data in cui è avvenuto il consumo”;

– la seconda, appunto in via di eccezione, sancisce che la prescrizione “opera dal momento della scoperta del fatto illecito” nel caso in cui esso consista in “comportamenti omissivi”.

Non è dubbio che il caso in esame riguardi l'”eccezione”, non la “regola”, posto che, come sopra si è rilevato in fatto, è pacifico che Sestrieres spa avesse omesso la denuncia di impianto delle sue officine elettriche (per uso proprio), effettuandola soltanto nel 2006, a distanza di molti anni, e che quindi -medio tempore-avesse altresì omesso qualsiasi adempimento formale (dichiarazione di consumo annuale) e sostanziale (pagamento del diritto di licenza e del tributo) previsti dall’art. 55 TUA, nella versione applicabile ratione temporis.

Ad avviso di questa Corte la prescrizione dei diritti così evasi e delle correlative sanzioni non poteva che ritenersi decorrente dalla scoperta di tali “comportamenti omissivi” atteso che il significato letterale della locuzione “opera dal momento”, contenuta nell’art. 57 TUA, comma 3, non può che essere inteso come equipollente della locuzione “decorre dalla data”, in termini lessicalmente variati, ma del tutto omologhi nel significato, rispetto a quelli utilizzati nella prima parte della medesima disposizione.

In questo senso milita la ratio -peraltro evidente- della previsione stessa, poichè essa è, semplicemente, un “presidio” normativo nei confronti degli “evasori totali” dell’imposta sul consumo dell’energia elettrica, ossia è diretta ad evitarne l’impunità conseguente alla mancata “scoperta” del loro comportamento omissivo.

Nè, d’altro canto, trova fondamento nella littera legis l’ulteriore argomento utilizzato dalla CTR piemontese, per la quale il secondo periodo dell’art. 57 TUA, comma 3, troverebbe applicazione soltanto nei casi di rilevanza penale dell’illecito omissivo.

Anzi, l’espressa previsione dell’illecito omissivo de quo da parte dell’art. 59 TUA, comma 1, lett. a), che nel suo incipit fa chiara “riserva di specialità” (“Indipendentemente dall’applicazione delle pene previste per i fatti costituenti reato ..”), induce a ritenere del tutto “autosufficiente” la disciplina della prescrizione dei diritti di licenza/di imposta in esame (e della specifica sanzione tributaria), quale appunto dettata dall’art. 53, comma 3, secondo periodo, dello stesso TU.

Ebbene, come appena rilevato, non potendosi aderire -per ragioni letterali e teleologiche – all’interpretazione conformemente adottata dai giudici dei gradi di merito, risulta inequivoco che nei casi come quello in esame la decorrenza della prescrizione non ha un “termine iniziale” determinato ovvero determinabile, sicchè il contribuente, pur infedele, rimane indefinitamente soggetto alla “condizione sospensiva legale” della “scoperta” della sua originaria omissione dichiarativa, essendo appunto solo questo “fatto naturalistico” idoneo a far decorrere il termine prescrizionale.

Va precisato a questo punto, sempre in tema di rilevanza della questione di legittimità costituzionale che si solleva, che, poichè nella specie il giudizio di primo grado è stato definito con sentenza della CTP dell’11 novembre del 2009, la notifica degli atti sanzionatori di cui si discute (la cui data non è evincibile dalla lettura della sentenza impugnata, che indica solo la data di loro emissione, nè da quella del ricorso o del controricorso) è certamente intervenuta entro il quinquennio dalla “scoperta”, anche qualora questa dovesse farsi risalire (come pare più corretto) al momento della denuncia della contribuente, avvenuta nel 2006, ovvero due anni prima dell’effettuazione del sopralluogo da parte dell’Agenzia.

Vi è infine da osservare, al fine dell’ammissibilità della questione medesima, che, stante la chiarezza del dato testuale, non appare percorribile una interpretazione alternativa -costituzionalmente orientata – della norma in esame.

Così come – necessariamente – interpretato, l’art. 57 TUA, comma 3, secondo periodo, viola, ad avviso del collegio, gli artt. 3 e 24 Cost., sotto i profili della disparità di trattamento, dell’intrinseca -manifesta- irragionevolezza e del mancato rispetto del principio della certezza dei rapporti giuridici.

Pur vero che una disposizione analoga, addirittura di portata generale, è rinvenibile nell’art. 2941 c.c., n. 8), (“La prescrizione rimane sospesa … tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finchè il dolo non sia stato scoperto”), ma (al di là del rilievo che la norma trova applicazione a condizione che sia accertato il dolo del debitore), di contro va rilevato che nella legislazione speciale tributaria sono rinvenibili disposizioni tutt’affatto diverse, che, per l’omogeneità della materia disciplinata, devono ritenersi più propriamente utilizzabili come paradigmi normativi equiordinati (tertia comparationis).

Si tratta:

– del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 2, che nella versione attualmente vigente dispone “Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla l’avviso di accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata”;

– del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 2, che detta una disposizione sostanzialmente identica;

– del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 1, che prevede che “L’imposta sugli atti soggetti a registrazione .. non presentati per la registrazione deve essere richiesta, a pena di decadenza, nel termine di cinque anni dal giorno in cui .. avrebbe dovuto essere richiesta la registrazione o.. si è verificato il fatto che legittima la registrazione d’ufficio”.

E’ dunque evidente che, nella disciplina delle principali imposte erariali, i soggetti passivi delle stesse che si siano sottratti agli obblighi di natura dichiarativa previsti dalla legge non sono esposti all’azione accertatrice (e sanzionatoria) dell’agenzia fiscale per un tempo indefinito (ovvero a partire dalla data, eventuale ed incerta, in cui sia stata scoperta la loro omissione) ma lo sono per un periodo di tempo ben determinato (in quanto decorrente da un giorno certo), superato il quale l’ente impositore non può più agire per il recupero dell’imposta evasa.

In tutte le fattispecie appena richiamate il dies a quo è stato dal legislatore – ragionevolmente – individuato nella data di scadenza dell’obbligo inadempiuto, e quindi della consumazione dell’illecito fiscale omissivo, con – altresì ragionevole- eventuale maggior durata del termine ordinario entro il quale l’amministrazione deve procedere alla riscossione, in considerazione della indiscutibile maggiore decettività/lesività della condotta dell'”evasore totale”.

Non si comprende, dunque, per quale motivo razionale discretivo i soggetti debitori dell’imposta di consumo sull’energia elettrica che siano inadempienti ad obblighi dichiarativi omologhi a quelli cui sono tenuti i soggetti passivi delle imposte dirette, dell’IVA e dell’imposta di registro, debbano, diversamente dai debitori di questi ultimi tributi, essere esposti ad una azione accertatrice/sanzionatoria temporalmente indefinita dell’Ente impositore.

Nè può obiettarsi che le disposizioni legislative indicate quale tertia comparationis disciplinino fattispecie di decadenza anzichè di prescrizione, posto che ciò che qui rileva è il dato strutturale che determina l’irragionevole disparità di trattamento, ossia la mancata fissazione di un termine certo nell’an e nel quando, da cui computare il periodo di tempo complessivo entro il quale l’Agenzia può incidere nella sfera patrimoniale dei soggetti che, in conseguenza di un comportamento omissivo, si siano sottratti al pagamento delle imposte sull’energia elettrica.

Ciò non senza aggiungere che alla riscontrata disparità di trattamento si potrebbe ovviare proprio attraverso la previsione di un termine di decadenza dell’ente impositore dall’azione accertatrice, decorrente, così come per le imposte dirette, VIVA e l’imposta di registro, dalla data di commissione dell’illecito.

Va in ogni caso osservato che, come costantemente sancito dal giudice delle leggi (per tutte, v. C. Cost., sentenza n. 280/2005), la soggezione del contribuente all’azione del fisco per un tempo indeterminato integra, di per sè, la violazione dell’art. 24 Cost.

Ulteriore argomento a sostegno della questione di legittimità prospettata può, infine, rinvenirsi nella recente novellazione legislativa del TUA.

Infatti, con il D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 4-ter, convertito dalla L. 1 dicembre 2016, n. 225, il D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 15, il testo, è stato completamente modificato.

Specificamente, in relazione alla disciplina generale della prescrizione dei diritti di accisa, il legislatore ha stabilito che “Il termine di prescrizione per il recupero del credito da parte dell’Agenzia è di cinque anni ovvero, limitatamente ai tabacchi lavorati di dieci anni” (art. 15 TUA, comma 3, attualmente vigente): nel nuovo testo normativo è dunque completamente scomparsa la previsione “eccezionale” del testo previgente riguardante il caso dei “comportamenti omissivi”, con la fissazione del termine iniziale della prescrizione a partire dalla data della loro scoperta.

Il testo dell’art. 57 TUA, che regola specificamente la prescrizione dell’accisa sull’energia elettrica, è invece rimasto immutato e ciò, appunto, alimenta ancor più i dubbi di incongruenza/irrazionalità sistematica, anche settoriale, e dunque di incostituzionalità, della norma.

Non si comprende infatti per quale ragione, oggi, quanto al decorso della prescrizione delle obbligazioni d’imposta (e relative sanzioni), vi sia un diverso e deteriore trattamento per l’imposta di consumo sull’energia elettrica rispetto agli analoghi tributi disciplinati dal TUA.

A ben vedere è quindi proprio nella recente novella legislativa dell’art. 15 TUA che si individua il tertium comparationis più stringente e logicamente fondato della questione di costituzionalità dell’immutato testo dell’art. 57, comma 3, stesso TU.

PQM

La Corte,

visti gli artt. 134 Cost. e L. n. 87 del 1953, art. 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 3 Cost., comma 1, ed all’art. 24 Cost., commi 1 e 2, la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 57, comma 3, secondo periodo, nella parte in cui non prevede una data certa di inizio della decorrenza del termine di prescrizione delle obbligazioni tributarie nel caso di comportamenti omissivi del soggetto contribuente;

dispone la sospensione del presente giudizio;

dispone che la Cancelleria notifichi la presente ordinanza alle parti del giudizio di cassazione, al Pubblico Ministero presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei ministri; che l’ordinanza stessa venga comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; dispone che gli atti, comprensivamente dei documenti relativi alle notificazioni e comunicazioni disposte, vengano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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