Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5484 del 26/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/02/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 26/02/2021), n.5484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27592-2019 proposto da:

C.T., P.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA RICCIOTTI NICOLA, 9, presso lo studio dell’avvocato

CAIAZZA BRUNELLA, rappresentati e difesi dall’avvocato SETTEMBRE

ANTONIO;

– ricorrenti –

contro

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 62,

presso lo studio dell’avvocato OLIVA MAURIZIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato BASSO GIOVANNI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2761/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO

GIUSEPPE.

 

Fatto

RITENUTO

che la vicenda, per quel che ancora qui residua d’utilità, può riassumersi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Napoli, accogliendo la domanda riconvenzionale dei coniugi C.T. ed P.E., avanzata nei confronti dell’attrice M.M., aveva dichiarato l’acquisto per usucapione da parte dei convenuti, siccome riporta la sentenza d’appello, “della.zona di terreno cui insiste l’ampliamento dell’originario colpo di fabbrica nonchè della servitù di passaggio sul fondo M. esercitata attraverso la scala in legno e ferro”;

– la Corte d’appello di Napoli, sempre per quel che qui rileva, accolta in parte l’impugnazione della Ma., riformando sul punto la sentenza di primo grado, rigettò “la domanda di usucapione della serrith di passaggio sul fondo Mantella condannando C.T. e P.E., in solido tra loro, a rimuovere la scala in legno e ferro che insite sul fondo dell’appellante”;

– avverso la statuizione d’appello ricorrono, con tre motivi il Co. e la P. e resiste con controricorso la M., rappresentata dal proprio procuratore generale Ma.Lu..

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo, con il quale i ricorrenti prospettano violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116, c.p.c., nonchè nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, assumendo che la Corte di Napoli aveva errato nel valutare le prove, le quali dimostravano la preesistenza della scala, rispetto ai lavori edilizi dai medesimi effettuati (richiamano l’aerofotogrammetria del 1977, il verbale della Polizia municipale del Comune di Bacoli del 31/7/2000), prova che la Corte territoriale aveva travisato, inammissibile, valendo quanto segue:

a) deve rilevarsi lo scopo eccentrico della denunziata violazione degli arti. 115 e 116 c.p.c., diretto a contestare il vaglio probatorio, poichè, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299), stante che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Sez. 3, n. 23940, 12/10/2017, n. 645828);

b) questa Corte ha più volte chiarito che ove il ricorrente abbia lamentato un travisamento della prova, solo l’informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita e non valutata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito e fa escludere l’ipotesi contenuta nella censura; infatti, il travisamento della prova implica non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale (Cass. n. 3796/2020, Rv. 657055; conf., ex multis, Cass. nn. 1163/2020, 28174/2018, 10749/2015);

c) nel caso di specie la Corte napoletana, facendo legittimo esercizio del proprio potere di vaglio probatorio, ha affermato la mancanza di prova (che era, ovviamente, onere della parte instante per l’usucapione fornire) della preesistenza della scala di cui si discute, tenendo conto di una pluralità di convergenti emergenze probatorie (rilievi delle due consulenze tecniche d’ufficio, documentazione fotografica operata dalla Polizia municipale, contenuto della dichiarazione d’inizio attività presentata al Comune, stralci aerofotogrammetrici, verbale della Polizia municipale, inattendibilità della deposizione del geom. di.Me.Mo., il quale, incaricato dagli odierni ricorrente di curare la pratica edilizia, pur avendo affermato davanti al giudice la preesistenza di pietre “in tufo poste a mò di scala che erano dissestate” e che “lì dove vi erano le pietre è stata realizzata la scala”, non aveva riportato nelle piantine il predetto manufatto, nonchè l’inattendibilità, a cagione della discordanza delle versioni, della deposizione degli altri testi);

c) ha, quindi, reso motivazione coerente, perfettamente ripercorribile, non contraddetta da alcuna acquisizione decisiva non valutata;

– considerato che il secondo motivo, con il quale i ricorrenti allegano violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che la sentenza aveva privato del valore probatorio fino a querela di falso il verbale redatto dalla Polizia municipale, è manifestamente destituito di giuridico fondamento, dovendosi osservare che:

a) il rapporto di polizia fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria (Cass. n. 20025/2016, Rv. 642611; conf., ex multis, Cass. n. 22662/2008);

b) nel caso di specie, si trae dalla sentenza impugnata che nel verbale di sequestro la Polizia locale aveva constato la presenza “di una scala in ferro sul lato ovest del fabbricato lunga 11 metri e larga 1,30”, soggiungendosi che “la scala è stata realizzata previa demolizione di una scala preesistente di circa ml. 3”;

c) è del tutto evidente che, nel mentre avuto riguardo alla constatazione delle opere nuove effettuate il verbale assume valenza probatoria privilegiata (fino a querela di falso), sulla circostanza ipotizzata della preesistenza di una scala, peraltro di dimensioni ben minori, sullo stesso sito ove era stata messa in opera la nuova scala, l’affermazione risulta priva di forza persuasiva, poichè non trova riscontro in una constatazione oculare o documentale dei verbalizzanti, nè da specificati informatori o da accertamenti ulteriori;

considerato che il terzo motivo, con il quale i ricorrenti lamentano omessa o apparente motivazione, con conseguente nullità della sentenza, in relazione all’art. 30 c.p.c., n. 5, affermandosi che la Corte d’appello non s’era avveduta che la preesistenza della piccola scala in tufo nel medesimo sito della nuova risultava dai grafici allegati alle dichiarazioni d’inizio lavori e che l’omessa indicazione dell’opera concernente la scala era dipesa dallo scopo di non manifestare la violazione del vincolo archeologico, al quale l’aerea era assoggetta, è inammissibile, in quanto:

– l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (si rimanda alla sentenza delle S.U. n. 8053/2014); non residuano spazi per ulteriori ipotesi di censure che investano il percorso motivazionale, salvo, appunto, l’ipotesi, che qui non ricorre, del difetto assoluto di motivazione;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (cent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e ceni riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che i ricorrenti vanno condannati a rimborsare le spese in favore della controricorrente, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2021

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