Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5483 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. I, 08/03/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 08/03/2010), n.5483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17590/2008 proposto da:

M.G. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di

erede di P.S., elettivamente domiciliata in Roma, Via

Andrea Doria 48, presso l’avvocato ABBATE Ferdinando Emilio, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

09/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/10/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato RODA RANIERI, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 26.2.2007 la Corte d’Appello di Roma – pronunciando sulle domande di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, proposte da M.G., quale erede di P. S., nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione al giudizio promosso con ricorso depositato nel mese di Aprile del 1993 avanti al TAR del Lazio, al fine di ottenere l’adeguamento triennale ex L. n. 27 del 1981, dell’indennità giudiziaria percepita ai sensi della L. n. 221 del 1988 e deciso all’udienza del 10.12.2003 dopo che gli atti, rimessi alla Corte Costituzionale nel dicembre 1994, erano stati restituiti nel febbraio 1996 con riassunzione avvenuta il (OMISSIS) – riteneva che la durata del procedimento, protrattosi per oltre dieci anni e sospeso per dar luogo al giudizio di legittimità costituzionale, fosse ragionevole nella misura di anni quattro e determinava in anni cinque e mesi sei la durata non ragionevole, liquidando a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale la somma di Euro 5.500,00 e riconoscendo alla ricorrente su tale somma la quota ereditaria con gli interessi dalla data del decreto.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione M. G. che deduce tre motivi di censura illustrati anche con memoria.

La Presidenza del Consiglio non ha svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo M.G. denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè difetto di motivazione. Lamenta che la Corte d’Appello abbia, immotivatamente ed in contrasto con la giurisprudenza europea, determinato in anni quattro la durata ragionevole del procedimento presupposto e ritenuto irragionevoli anni cinque e mesi sei, senza peraltro considerarne la natura, trattandosi di controversia di lavoro.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia difetto di motivazione, lamentando che la Corte d’Appello, dopo aver determinato in anni quattro la durata ragionevole, ha rilevato che il procedimento presupposto, essendo stato introdotto nell’aprile del 1993, avrebbe dovuto essere definito nell’aprile 1997, per poi inaspettatamente concludere per una durata non ragionevole di anni cinque e mesi sei.

Entrambe le censure, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione, sono fondate nei limiti che saranno qui di seguito esposti.

La Corte europea, nel fissare i parametri relativi alla durata ragionevole del procedimento di primo grado, ha indicato, ma solo in linea di massima, in anni tre quella del giudizio di primo grado, ammettendo la possibilità di una durata maggiore o minore in relazione alla particolarità del singolo giudizio.

Ora, nel caso in esame, determinando in anni quattro la durata ragionevole del procedimento, la Corte d’Appello non si è dìscostata da tale giurisprudenza in considerazione del giudizio incidentale di legittimità costituzionale che si è reso necessario, con conseguente sospensione del giudizio presupposto svoltosi, peraltro, per un periodo ancora maggiore.

Ma, dopo una tale condivisibile conclusione, ha inaspettatamente determinato in anni cinque e mesi sei, senza tener conto che, essendosi il procedimento protratto per complessivi anni dieci e mesi otto (aprile 1993-dicembre 2003) come risulta dalla stessa sentenza, la durata non ragionevole avrebbe dovuto essere determinata di conseguenza in anni sei e mesi otto (anni 10 e mesi 8 – anni 4).

Non può invece farsi riferimento ad una durata ragionevole più breve in ragione della natura del giudizio presupposto riguardante la materia del lavoro, non prevedendo la L. n. 89 del 2001, per quanto riguarda l’entità dell’indennizzo, un diverso trattamento per determinate categorie di cause, ma potendosi discostare dai parametri europei, che fissano l’indennizzo in un importo oscillante fra Euro 1.000,00/1.500,00 per ogni anno di ritardo, solo in presenza di particolari circostanze che nella specie non sono state nemmeno dedotte.

Entro tali limiti la censura va pertanto accolta.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ancora violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè dell’art. 1173 c.c.. Lamenta che la Corte d’Appello abbia liquidato gli interessi con decorrenza dalla data del decreto anzichè, come avrebbe dovuto, dalla domanda.

La censura è fondata.

Gli interessi sulla somma riconosciuta all’esito del giudizio non possono che decorrere dalla domanda la quale costituisce anche un atto di messa in mora ai sensi dell’art. 1295 c.c.. Conseguentemente anche sotto tale profilo il decreto deve essere cassato.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 90 e 91 c.p.c., nonchè del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5. Sostiene che la Corte d’Appello, nel liquidare le spese in complessivi Euro 750,00, si sia tenuta al di sotto dei minimi tariffari.

La censura deve ritenersi assorbita in quanto, a seguito della disposta cassazione del decreto impugnato, questa Corte deve provvedere ad una nuova liquidazione delle spese del giudizio di merito, spese che si distraggono a favore del difensore e che si liquidano come in dispositivo unitamente a quelle relative al presente giudizio di legittimità che si compensano per la metà in considerazione dell’accoglimento solo parziale del ricorso.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e ricorrendo quindi le condizioni per una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, si determina l’indennizzo in Euro 6.650,00 e si condanna l’Amministrazione al pagamento a favore della ricorrente della relativa quota ereditaria, con gli interessi dalla domanda.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione al pagamento a favore della ricorrente della quota ereditaria sulla somma di Euro 6.650,00 con gli interessi dalla domanda. Condanna inoltre la stessa Amministrazione al pagamento delle spese processuali che distrae a favore del difensore e che liquida, quanto al giudizio di merito, in Euro 600,00 per diritti, in Euro 600,00 per onorario ed in Euro 100,00 per esborsi oltre accessori e, quanto al giudizio di legittimità, in Euro 1.200,00 per onorario ed in Euro 100,00 per spese oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

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