Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5480 del 18/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 18/02/2022, (ud. 10/01/2022, dep. 18/02/2022), n.5480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. est. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7534/14 R.G., proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A., in persona del curatore p.t., Antonio

Magno, giusta autorizzazione del giudice delegato del 24 febbraio

2012, rappresentato e difeso, in virtù di procura in margine al

ricorso, dall’avv.to Semeraro Angela Rita e dall’avv.to Fumarola

Stefano, con i quali è elettivamente domiciliato in Roma, Via della

Scrofa n. 64, presso lo studio dell’avv.to Pecorilla Giuseppe;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– resistente –

avverso sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia,

sezione distaccata di Taranto, n. 39/29/2013, depositata il

08/02/2013, non notificata.

Udita la relazione svolta dal Consigliere d’Angiolella Rosita nella

camera di consiglio del 10 gennaio 2022.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con avviso di accertamento n. 47/1, per l’anno 1986, l’Agenzia delle entrate accertava, in capo alla società fallita, (OMISSIS) s.p.a., esercente l’attività vinicola, maggiori imposte ai fini Irpeg e Ilor rideterminando, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d), il reddito dichiarato in lire 22.941.000, a fronte di una perdita dichiarata dalla società di lire 183.040.000, avendo riscontrato costi non documentati e non inerenti.

2. Il Fallimento proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Taranto, deducendo l’illegittimità e l’erroneità dell’avviso in quanto basato su di una serie di presunzioni e prove logiche infondate.

4. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso della società, annullando l’avviso di accertamento.

5. L’Agenzia delle entrate proponeva appello avverso tale sentenza che, con la sentenza indicata in epigrafe, veniva accolto dalla Commissione tributaria regionale.

6. Il Fallimento ha proposto ricorso per Cassazione avverso tale sentenza, deducendo sei motivi, ed ha presentato memoria ex art. 380 bis-1 c.p.c..

7. L’Amministrazione finanziaria ha depositato atto di costituzione ai soli fini della sua partecipazione all’udienza pubblica.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di ricorso il Fallimento (OMISSIS) s.p.a., denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata e del procedimento, per violazione dell’art. 324 c.p.c., D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36, 49, 50 e 5, là dove la CTR non ha rilevato la formazione del giudicato interno per omessa impugnazione, in sede di appello, da parte dell’Agenzia delle entrate, delle rationes decidendi della sentenza di primo grado riguardanti: a) il capo della sentenza della Commissione tributaria provinciale ove viene censurato “l’improprio utilizzo” da parte dell’Ufficio del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. c) del essendo il contribuente in regime di contabilità ordinaria 8 v. ricorso pagg. 18-20); b) il capo della sentenza dove la CTP afferma la mancanza di motivazione dell’atto di accertamento e, quindi, della consequenziale rettifica (v. pagg. 21-23 del ricorso). A dire del ricorrente, non avendo l’Agenzia delle entrate proposto autonoma impugnazione avverso tali statuizioni, la CTR è incorsa in un error in procedendo a non aver rilevato l’inammissibilità del gravame per il formarsi del giudicato interno.

1.2. Col secondo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di legge (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 21,D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74, 2, comma 6-bis, D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito dalla L. 26 giugno 1990, n. 165) nella parte in cui i secondi giudici hanno affermato che “nella fattispecie l’accertamento de quo è scaturito da un p.v.c. della Guardia di finanza che ha riscontrato carenza di documentazione contabile, non rispondenza delle scritture e inattendibilità dell’intero impianto contabile e lo stesso curatore ha affermato espressamente di non aver rinvenuto tra i documenti della fallita società le scritture previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 21 “, senza tener conto di una serie di fatti non contestati, quali: “a) i costi derivanti dai compensi a terzi, da annotare nei conti individuali ex art. 21, sono stati correttamente imputati nel conto profitti e perdite descritti nel libro giornale; b) detti costi sono stati effettivamente sostenuti” (vedi ricorso pagina 25, paragrafo 2.2).

1.3. Con il terzo mezzo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sulle contestazioni sollevate dal contribuente sulle singole riprese a tassazione relative alle spese di rappresentanza omaggi ed elargizioni e sulle ragioni giuridiche che ne avrebbero determinato il rigetto.

1.4. Con il quarto mezzo, deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio riguardante le ragioni della indeducibilità dei costi per pubblicità, trasferte ed omaggi.

1.5. Gli ultimi due motivi di ricorso riguardano le sanzioni, denunciandosi, con il quinto mezzo, la violazione di legge (D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 2, D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 12, 25 e art. 46 comma 4, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, comma 2) per mancata applicazione della normativa sanzionatoria più favorevole e, con il sesto, la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3 e D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 36, là dove ha ritenuto applicabile la sanzione, per la ripresa a tassazione, nonostante tale tributo non fosse più esistente per intervenuta abrogazione.

2. Va premesso che l’apparato motivazionale della decisione impugnata, nel merito, si basa sul presupposto dell’inattendibilità della documentazione contabile della società fallita e sulle dichiarazioni rese all’uopo dal curatore in sede di risposta al questionario circa la carenza, tra i documenti della fallita società, delle scritture previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 21 del (“Nella fattispecie l’accertamento de quo è scaturito da una risposta ad un questionario dal quale l’Ufficio ha riscontrato carenza di documentazione contabile, non rispondenza delle scritture ed inattendibilità dell’intero impianto contabile e lo stesso curatore ha affermato di non aver rinvenuto tra i documenti della fallita società le scritture previste del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 21”). Su tale presupposto la CTR ha, in primo luogo, affermato l’erroneità della sentenza del primo giudice per non aver tenuto conto che, in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, i documenti, i libri, i registri non esibiti e non trasmessi in risposta agli inviti dell’Ufficio, non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa; ha, poi, negato “valore probante” alle “asserzioni” di parte contribuente sulle singole riprese a tassazione di cui all’accertamento, tra cui anche quelle relative alle spese di rappresentanza, omaggi, pubblicità e trasferte, in quanto non documentate. Ha supportato la decisione richiamando tre pronunciamenti di questa Corte (Cass. 22/01/2013, n. 1439, Cass. 14/11/2012, n. 19871, Cass. 03/02/2012, n. 1555) sulla legittimità dell’accertamento induttivo in caso di documentazione contabile inattendibile.

2. Il primo mezzo è infondato.

2.1. L’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle entrate per formazione del giudicato interno è del tutto insussistente. Che l’Agenzia delle entrate abbia impugnato la decisione di primo grado nel complesso della sua ratio decidendi, lo si deduce già solo a voler considerare i passi dell’atto di appello riportati alle pagine 7 e seguenti del ricorso del Fallimento dai quali si evince, in primo luogo, la precipua impugnazione della statuizione dei primi giudici sull'” improprio utilizzo” del metodo di accertamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c) (v. atto di appello riportato alle pagine 8 e 9 del ricorso: “L’eventuale errore commesso dall’amministrazione nel citare la norma di legge – D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c) del piuttosto che lo stesso D.P.R., art. 39, comma 2, – non inficia l’avviso di rettifica in base al principio di quel famoso brocardo latino iura novit curia in virtù del quale compete al giudice il potere dovere dell’esatta qualificazione giuridica (…) nel censurare l’utilizzo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 comma 1, lett. c) del piuttosto che l’accertamento induttivo, i giudici hanno considerato esplicitamente come riscontrato e provata la non rispondenza delle scritture l’inattendibilità dell’intero impianto contabile circostanza questa che non può che avvalorare l’operato dell’ufficio”); in secondo luogo, la specifica denuncia del vizio motivazionale della sentenza di prime cure sulla nullità dell’avviso di rettifica per inesistenza del p.v.c., deducendosi, per ogni singola ripresa a tassazione, la legittimità del metodo induttivo in relazione alla carenza documentale della contabilità della società che giustificasse il contrario (v. atto di appello riportato alle pagine 8, 9, 10 del ricorso).

2.2. E’ evidente, dunque, che l’atto di appello dell’Agenzia delle entrate, contiene senz’altro l’esposizione delle ragioni di dissenso rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 22), senza che possa configurarsi il vizio di nullità insanabile – rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità – che determinerebbe l’inammissibilità dell’impugnazione ed il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

3. Il secondo motivo di ricorso, che riguarda la sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, lett. d), è infondato.

3.1. E’ principio pacifico che il comportamento del contribuente che ometta di rispondere ai questionari previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 4, e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, impedendo in tal modo, o comunque ostacolando, la verifica dei redditi prodotti da parte dell’Ufficio, vale di per sé solo ad ingenerare un sospetto sull’attendibilità di dette scritture, rendendo “grave” la presunzione di attività non dichiarate e, conseguentemente, legittimo l’accertamento induttivo emesso su quella base dall’Ufficio D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), (cfr., ex plurimis, Sez. 5, 28/09/2005, n. 19014; Sez. 5, 24/07/2013, n. 17968).

3.2. E’ altrettanto pacifico che l’esistenza dei presupposti per l’applicazione del metodo induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), non esclude che l’Amministrazione finanziaria possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento e per determinate operazioni, del metodo analitico citato D.P.R., ex art. 39, comma 1, oppure contemporaneamente di entrambe le metodologie; rientra, infatti, nel potere dell’Amministrazione finanziaria, nell’ambito della previsione di legge, la scelta del corrispondente metodo da utilizzare, di cui il contribuente può dolersi solo se gliene derivi un pregiudizio sostanziale (v. Sez. 5, 10/06/2009, n. 13350; Sez. 5, 03/02/2017, n. 2872; Sez. 5, 22/02/2019, n. 5273).

3.3. Quanto alla qualificazione del tipo di accertamento, è stato condivisibilmente precisato che “il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico extracontabile e quello con metodo induttivo sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicché l’amministrazione finanziaria può “prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c., con l’ulteriore conseguenza che l’eventuale errore qualificatorio del giudice di merito, sul tipo di accertamento, non rileva “ex se” come violazione di legge, ma refluisce in un errore sull’attività processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 o in un errore sulla selezione e valutazione del materiale probatorio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″ (v. Sez. 5, 08/03/2019, n. 6861).

3.4. A fronte dell’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati contenuti nelle scritture contabili, è stato chiarito che l’utilizzo ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, delle presunzioni semplici, aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c., comporta che l’onere della prova si sposta sul contribuente (v. Sez. 5, 02/11/2021, n. 30985) la cui valutazione, in quanto attinente ad un errore sulla selezione e valutazione del materiale probatorio, può essere eventualmente dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma non – come nella specie avvenuto – come violazione di legge.

3.5. Alla luce di tali principi, la sentenza impugnata non risulta inficiata dagli errori di diritto denunciati, in quanto ha ritenuto legittimo l’accertamento induttivo sulla base della totale inattendibilità della documentazione contabile anche a seguito della mancata esibizione di documenti e libri contabili richiesti al curatore.

4. Il terzo motivo di gravame risulta inammissibile non solo in quanto il ricorrente è venuto meno al suo onere di allegazione specifica, di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3) e 4), in base al quale avrebbe dovuto localizzare le difese dei gradi di merito ove le asserite specifiche eccezioni sarebbero state proposte, ma soprattutto perché dal tenore della decisione adottata – di accoglimento dell’appello dell’Ufficio e rigetto del ricorso originario del contribuente sul presupposto della generale inattendibilità della documentazione contabile della società fallita e sulle dichiarazioni rese dal curatore in sede di risposta al questionario della carenza delle scritture previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 21 – è evidente la statuizione implicita di rigetto delle eccezioni formulate dalla società fallita (cfr., ex plurimis, Sez. 5, 06/12/2017, n. 29191), nonché l’esplicita pronuncia sulla legittimità dei rilievi riguardanti le spese di “rappresentanza e omaggi, pubblicità propaganda e sviluppo” in quanto spese non documentate.

5. Il quarto mezzo è inammissibile. Il giudice di secondo grado non ha affatto omesso ma ha compiuto, in base al suo libero convincimento, l’esame dei fatti riguardanti le spese non ammesse in deduzione (rappresentanza, viaggi, trasferte), con conseguente inammissibilità delle censure qui proposte in quanto implicanti “una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (così, Sez. 6-3, 04/04/2017, n. 8758).

6. Il quinto mezzo deve essere accolto.

6.1. Questa Corte ha più volte affermato il principio di diritto secondo cui, ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, che ha esteso il principio del favor rei anche al settore tributario, sancendone l’applicazione retroattiva, le più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute debbono essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di legittimità, all’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo prima della sua entrata in vigore (in data 1 aprile 1998), in quanto, ai sensi del citato D.Lgs., art. 25, la portata retroattiva del principio è limitata ai soli procedimenti non ancora esauriti, ossia nei quali, alla predetta data, il provvedimento di contestazione o irrogazione della sanzione non era ancora divenuto definitivo ovvero, in relazione all’avvenuta impugnazione in via amministrativa o giurisdizionale del provvedimento sanzionatorio, non era intervenuta una pronuncia definitiva (v. Sez. 5, 31/03/2008, n. 8243; Sez. 5, 24/07/2013, n. 17970; Sez. 5, 30/06/2021, n. 18367; v., altresì, Sez. U. 10/06/2021, n. 16296, sul trattamento sanzionatorio sopravvenuto più favorevole nei confronti di avvocati sottoposti a procedimento disciplinare).

6.2. Nella specie, dunque, ha errato la CTR a non considerare pur in presenza di un procedimento in corso alla data di entrata in vigore della riforma riguardante il trattamento sanzionatorio più favorevole – il favor derivante dal cumulo giuridico e di cui al citato D.Lgs., art. 12.

7. Il sesto mezzo è infondato, considerato che l’abrogazione delle norme istitutive dell’imposta locale sui redditi e la sostituzione di questa con altre imposte, non ha fatto venir meno l’obbligo del contribuente di provvedere al pagamento dell’Ilor per gli anni in cui quella normativa è stata in vigore, né l’obbligo di presentare in relazione a quei periodi d’imposta dichiarazioni veritiere, con la conseguenza che l’illecito costituito dalla infedele dichiarazione per tali anni non è stato abrogato, continuando ad applicarsi ad esso le relative sanzioni. Sul punto è stato affermato (v.

Sez. 5, 27/11/2006, n. 25053) che “può parlarsi di abolitio criminis in relazione agli illeciti connessi all’accertamento ed alla riscossione di un’imposta, soltanto quando questa venga radicalmente meno, di guisa che essa non possa essere più pretesa e riscossa neppure in riferimento alle annualità pregresse (come a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’obbligazione ILOR per i lavoratori autonomi); quando, invece, la legge istitutiva di un’imposta venga abrogata a far tempo da una data stabilita dal legislatore, ma l’imposta continui ad essere dovuta per i fatti verificatisi anteriormente, in relazione ad essi l’obbligo di corrispondere l’imposta rimane in vigore, sicché non sono abrogate le norme sanzionatorie che tale obbligazione tributaria assistono”. In proposito è stato soggiunto che “non si configura un’ipotesi di abolitio, ma successoria, quando, in esito alla comparazione tra gli elementi strutturali delle fattispecie normative, persiste un’area di coincidenza, tale per cui, al di là delle modifiche intervenute, vi è una sostanziale continuità strutturale delle diverse previsioni che si sono succedute nel tempo, tra loro in rapporto di identità o, quanto meno, di continenza per essere gli elementi costitutivi previsti dalla nuova normativa già tutti compresi in quella precedente” (v. Sez. 5, 12/07/2021, n. 19738).

8. Conclusivamente il ricorso va accolto limitatamente al quinto motivo, rigettandosi nel resto. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR della Puglia, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, affinché, ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, applichi le più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute alla commissione dell’illecito tributario. Il giudice di rinvio è tenuto a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso limitatamente al quinto motivo, rigettandosi nel resto. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR della Puglia, sezione distaccata di Taranto, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

 

 

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