Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5471 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/02/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 28/02/2020), n.5471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31499/2018 R.G. proposto da:

VALLORTIGARA SERVIZI AMBIENTALI SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato ANDREA GRAZIANI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FEDERICO VIERO;

– ricorrente –

contro

SEMP SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 92, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO COCOZZA, rappresentata e difesa

dall’avvocato YURI LISSANDRIN;

– controricorrente –

contro

LADURNER BONIFICHE SRL;

– intimata –

avverso l’ordinanza n. 21408/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 30/08/2018;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio non partecipata

del 21/11/2019 dal Consigliere Dott. Franco DE STEFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

la Vallortigara Servizi Ambientali spa ricorre, affidandosi ad un ricorso articolato su di un motivo per la fase rescindente (e riproponendo quelli per la fase rescissoria) e notificato a partire dal 30/10/2018 (fino al di 08/11/2018), per la revocazione dell’ordinanza n. 21408 del 30/08/2018 di questa Corte suprema di cassazione, con cui è stato rigettato il suo ricorso contro la sentenza n. 4/17 della sezione distaccata di Bolzano della Corte d’appello di Trento, di rigetto del suo appello contro l’accoglimento della domanda di Ladurner Bonifiche srl proposta nei suoi confronti per il dedotto inadempimento di obbligazioni assunte nell’ambito di un contratto stipulato per conto della S.E.M.P. srl per lo smaltimento di rifiuti speciali (e trasporto all’estero) da questa prodotti, con rigetto della domanda di essa odierna ricorrente di manleva nei confronti della propria mandante S.E.M.P. srl;

in particolare, la qui gravata ordinanza ha respinto l’unico motivo di ricorso per la reputata correttezza dell’argomentazione della corte territoriale in ordine all’azionamento, quale causa petendi, delle sole norme del codice civile e non anche della clausola contrattuale sul diritto della mandataria di trattenere le eventuali spese fisse sopportate nell’ipotesi di recesso;

la ricorrente adduce quale errore di fatto l’individuazione, prima ad opera della corte territoriale e poi di questa Corte, di tale mancato azionamento quale ragione dell’infondatezza della pretesa di manleva; la controricorrente contesta la configurabilità di un errore revocatorio e, così, l’ammissibilità del dispiegato ricorso;

è formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

la ricorrente deposita memoria ai sensi del medesimo art. 380-bis, comma 2, u.p..

Diritto

CONSIDERATO

che:

la ricorrente prospetta quale errore revocatorio, rilevante ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, l’individuazione del mancato azionamento di una specifica clausola contrattuale quale ragione giustificatrice dell’infondatezza della pretesa di essa mandataria di essere tenuta indenne dalla mandante; ricostruisce al riguardo, con amplissimi richiami agli atti di causa dei gradi di merito (anche nella memoria), quale fatto generatore della responsabilità e della manleva l’illegittimo recesso dal contratto del 12/12/2007; ed argomenta per la fondatezza della domanda di manleva proprio in base alle norme codicistiche (di cui all’art. 1705 c.c., e ss.) e non su alcuna delle clausole contrattuali; e prospetta quale errore di fatto l’avere posto a base della decisione il recesso dal contratto del 12/03/2008, invece mai avvenuto;

alla disamina del ricorso va premesso che (fra moltissime, v. Cass. Sez. U. 16/11/2016, n. 23306, ove ulteriori ampi richiami):

– l’errore revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente rilevabile, che attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento esterno al processo, al quale un soggetto dell’ordinamento intende ricollegare effetti giuridici a sè favorevoli, all’esito della sua sussunzione entro una fattispecie generale ed astratta determinata: l’errore deve, allora, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o – meno che mai – di indagini o procedimenti ermeneutici;

– così, l’errore revocatorio non può articolarsi nella deduzione di un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali (integrando tale inesatto apprezzamento, semmai, il detto vizio logico deducibile secondo il previgente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5);

– del resto, una valutazione implica di per sè sola una decisione e quindi una ponderazione o scelta tra più possibilità od alternative, tanto escludendo la configurabilità dell’errore revocatorio: l’errore di percezione deve invece riguardare un fatto, vale a dire un evento esterno al processo e che deve essere rappresentato e ricostruito all’interno di questo come elemento di una fattispecie da sussumere nel successivo giudizio di diritto; sicchè l’errore che cade sugli atti e i documenti della causa non è rilevante in se stesso, ma solo nella misura in cui si risolve in un errore di percezione di un fatto;

– ora, l’art. 395 c.p.c., n. 4, si premura di dare la definizione di errore “di fatto”: questo ricorre quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare il contrasto rilevante è quindi quello tra la rappresentazione di un fatto (o di un complesso di fatti) univocamente emergente dagli atti e dai documenti e la supposizione del medesimo fatto (o complesso di fatti) posta a base della decisione del giudice; e, per di più, deve trattarsi di un contrasto in termini di esclusione reciproca e non di semplice diversità tra l’una e l’altra;

– ciò che rileva è quindi una radicale e insanabile contrapposizione fra due divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, costituite l’una da quella risultante dalla sentenza del giudice e l’altra da quella che si ricava univocamente dagli atti e dai documenti di causa; pertanto, deve trattarsi di una mera svista di carattere materiale o meramente percettivo, riferita a fatti univocamente ed incontestabilmente percepibili nella loro ontologica esistenza e quindi insuscettibili di diverso apprezzamento: e mai può allora rilevare, a questi fini, un errore che implichi un benchè minimo margine di apprezzamento o di valutazione o di giudizio per la sussunzione del fatto;

– la rappresentazione del fatto (o del complesso di fatti) materiale è – in altri termini – qualificabile come univoca quando è evidente, quando cioè non implica giudizio, sia pure elementare, inteso ad eliminare potenziali o effettive divergenze; mentre la supposizione deve comportare valutazione di causalità tra fatto presupposto e suo diretto accertamento da parte del giudice;

– inoltre, il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non deve avere costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi: sicchè non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice;

ciò posto, è evidente che il motivo di pretesa revocazione non può ricondursi alla nozione di errore di fatto come sopra ricostruita:

– in primo luogo, perchè la questione – e non, si badi, un singolo aspetto di essa, come parrebbe adombrare in memoria la ricorrente – è stata a lungo dibattuta tra le parti ed anzi era la ragione principale della controversia tra di loro, così non essendo rispettata la condizione di ammissibilità prevista dall’art. 395 c.p.c., n. 4, che esclude l’errore revocatorio appunto nel caso in cui il fatto su cui l’errore sarebbe caduto abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare (in tal senso, anche di recente, cfr. Cass. ord. 13/11/2019, n. 29360);

– in secondo luogo e in via dirimente, perchè la condivisione di un giudizio sulla ricostruzione della causa petendi in base al contenuto degli atti di causa è a sua volta un giudizio e non già il rilievo errato di circostanze obiettive ed univoche (ciò che esclude, per quanto ricordato, la configurabilità di un errore revocatorio);

nemmeno potendo somministrare la memoria argomenti ulteriori ed utili, il ricorso va dichiarato inammissibile, non configurandosi l’errore revocatorio e quindi risultando inammissibile il motivo relativo alla fase rescindente: con evidente preclusione della fase rescissoria ed assorbimento dei motivi ad essa relativi;

a tanto consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente;

poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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