Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5466 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/02/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 28/02/2020), n.5466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 02726/2018 R.G. proposto da

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da sè

medesimo;

– ricorrente –

contro

EDITRICE ABBIATENSE SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore

pro tempore, R.M., A.M., da considerarsi, in difetto

di elezione di domicilio in Roma, per legge domiciliati ivi, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato STEFANIA CHIESSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5467/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/12/2017;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 21/11/2019 dal Consigliere Dott. DE STEFANO Franco.

Fatto

RILEVATO

che:

B.G. ricorre, affidandosi a due motivi e con atto notificato a mezzo p.e.c. il 12/01/2018, per la cassazione della sentenza n. 5467 del 28/12/2017 della Corte di appello di Milano, che ha riformato solo quanto alla condanna inflittagli ai sensi dell’art. 96 c.p.c. l’ordinanza ex artt. 702 bis c.p.c. e s.s., con cui il Tribunale di Pavia aveva rigettato – sul riscontro della verità, continenza e pertinenza dello scritto oggetto di causa la sua domanda di condanna al risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa proposta contro A.M., R.M. e la srl Editrice Abbiatense (poi in liquidazione);

in particolare, l’attore aveva ritenuto diffamatorio un articolo apparso sul settimanale “Ordine e libertà” (di cui i convenuti erano, rispettivamente, direttore responsabile, giornalista autrice dell’articolo ed editrice) addì 08/04/2012 durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative del Comune di Abbiategrasso, intitolato “Post it tra richieste e polemiche” e che riferiva – tra l’altro – di un post it affisso il 18/03/2012, recante l’offensiva dicitura ” B. assessore alla sicurezza e R.T. comandante dei Carabinieri”, nella bacheca della lista civica “Vivere Abbiategrasso”, destinata a raccogliere e pubblicare osservazioni e critiche dei cittadini;

si costituiscono, con unitario ricorso, gli intimati;

è formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

il ricorrente deposita memoria ai sensi del medesimo art. 380-bis c.p.c., comma 2, u.p..

Diritto

CONSIDERATO

che:

l’improcedibilità del ricorso, perchè nativo digitale notificato a mezzo p.e.c. ma depositato in copia analogica priva di adeguata asseverazione autografa di conformità, non opera in applicazione dei principi espressi da Cass. Sez. U. 24/09/2018, n. 22438, visto che le controparti non hanno disconosciuto o contestato la conformità all’originale loro notificato;

ciò posto, il ricorrente articola due motivi e:

– col primo si duole di “violazione o falsa applicazione di una norma di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al disposto dell’art. 92 c.p.c.”: in particolare lamentando che, nonostante la parziale fondatezza dell’appello, resa evidente dall’accoglimento della sua doglianza sulla condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., non sia stata disposta la compensazione delle spese di lite;

– col secondo lamenta “omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti”, questo identificandolo nella circostanza che il messaggio offensivo era rimasto affisso per pochi minuti, senza essere materialmente letto o visto dalla giornalista, ben tre settimane prima della pubblicazione;

il Collegio condivide la valutazione del relatore di infondatezza del primo motivo, sia pure in base alle considerazioni che seguono;

è, da un lato, ben vero che neppure la richiamata – e in larga parte trascritta – Cass. 3438/16 deroga al principio generale per il quale anche in caso di eventuale parzialità della soccombenza, di norma riconducibile alla nozione della soccombenza reciproca, la compensazione resta una facoltà discrezionale del giudice del merito; infatti, sul punto è consolidata la giurisprudenza di questa Corte nel senso che, “in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi” (tra innumerevoli, v., da ultimo, Cass. ord. 17/10/2017, n. 24502);

e tuttavia, come rimarcato anche in memoria, ben può dirsi che il ricorrente non abbia sic et simpliciter invocato la compensazione, ma abbia fatto presente che doveva escludersi tecnicamente una sua soccombenza per essere stato almeno in parte accolto il suo appello, vista l’intervenuta riforma della sua condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c.;

d’altro lato, quand’anche così inquadrata, la sua doglianza non può trovare accoglimento;

invero, poichè le questioni su tale capo, da qualificarsi meramente accessorio, non incidono sulla determinazione della soccombenza nemmeno ai fini di temperarla o di qualificarla parziale o reciproca (in termini: Cass. ord. 12/04/2017, n. 9532), la complessiva motivazione della qui gravata sentenza in ordine alla conferma della statuizione delle spese di primo grado ed alla pronuncia di condanna alle spese in danno dell’appellante, benchè vittorioso almeno sul capo della condanna ex art. 96 c.p.c., deve essere letta ed interpretata in attenta combinazione delle proposizioni su cui essa si articola;

in primo luogo, nessuno si è formalmente doluto della scissione della condanna per gradi in luogo di una condanna unitaria in base alla considerazione dell’esito complessivo della lite (Cass. 14/12/2000, n. 15787; Cass. 29/09/2011, n. 19880; Cass. ord. 13/03/2013, n. 6369), riliquidazione invero doverosa in caso di riforma, anche solo parziale, della sentenza di primo grado (Cass. 23/03/2001, n. 4229);

ne consegue che tale articolazione motivazionale va letta quale valutazione di adeguatezza della complessiva condanna che risultava dalla combinazione del sia pure improprio mantenimento di quella di primo grado e dell’altrettanto impropria separata liquidazione di quelle di secondo;

presupposto di tale complessiva condanna come risultante dalla combinazione delle dette due proposizioni è appunto la complessiva – o sostanziale – soccombenza dello stesso appellante (ed odierno ricorrente): e questo è un presupposto chiaramente esplicitato nella gravata sentenza – stando al tenore letterale delle espressioni adoperate, che insistono sulla sostanziale soccombenza in primo e in secondo grado – e soprattutto agevolmente ed immediatamente riscontrabile come effettivamente sussistente, per l’evidenza del rigetto dell’appello avverso la reiezione della domanda principale e per il visto carattere accessorio della questione relativa al capo di condanna ex art. 96 c.p.c.;

in definitiva, così interpretata la sentenza di appello, essa si sottrae alle critiche mossele con il primo motivo, in quanto le spese di lite non sono state poste a carico di chi non potesse qualificarsi complessivamente o sostanzialmente soccombente in relazione all’esito appunto complessivo della controversia, in applicazione del seguente principio di diritto: “in tema di liquidazione delle spese di lite in esito ad appello con esito vittorioso non sul merito della pretesa, di cui è stato confermato il rigetto, ma solo sull’accessorio capo di condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., è legittima la liquidazione delle spese di lite, quand’anche impropriamente separata per i due gradi di giudizio, se intesa come riferita alla soccombenza complessiva o sostanziale dell’appellante, attesa la preponderanza di quella sulla pretesa principale”;

il secondo motivo è, invece, inammissibile: il ricorrente lamenta (v. pag. 28 del ricorso, quindicesima riga dalla fine) che la Corte abbia mancato di “tenere nel debito conto sia tale circostanza sia” i principi generali in tema di diritto di cronaca e critica, insistendo sul punto, sia pure con accenti in parte diversi, nella memoria (soprattutto penultima facciata, con reiterazione, tra l’altro, di una doglianza sulla valutazione di pertinenza o di assenza di interesse pubblico, integrante invece, con ogni evidenza, un apprezzamento di fatto): ma tanto integra con ogni evidenza una richiesta, oltretutto indistinta e quindi generica, di non consentita riconsiderazione delle valutazioni di merito della corte territoriale sulla sussistenza dei presupposti delle scriminanti ravvisate e sull’implicita irrilevanza, dinanzi alla riscontrata presenza di quelli, delle circostanze di fatto dedotte dall’attore (per tutte, Cass. 15/02/2006, n. 3284; Cass. 19/01/2010, n. 690; Cass. ord. 14/03/2018, n. 6133);

il ricorso va quindi – infondato il primo motivo ed inammissibile il secondo – rigettato;

la necessità di un’interpretazione complessiva di tutte le argomentazioni poste a base della condanna separata alle spese dei due gradi quale fondamento del rigetto del primo motivo integra un giusto motivo per la compensazione parziale delle spese del giudizio di legittimità e per la limitazione della condanna del ricorrente a rifonderle ai controricorrenti, tra loro in solido per la comunanza del loro interesse in causa, in ragione della sola metà;

poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012 art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti e tra loro in solido, della metà delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura intera in Euro 4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge dichiarar compensata l’altra ametà.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 febbraio 2020

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