Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5465 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/02/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 28/02/2020), n.5465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 02520/2018 R..G. proposto da:

S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE

3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO PAOLO LUISO;

– ricorrente –

contro

V.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIA 88, presso

lo studio dell’avvocato STEFANO VINTI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARIA TERESA GRASSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2301/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 26/10/2017;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 21/11/2019 dal Consigliere Dott. DE STEFANO Franco.

Fatto

RILEVATO

che:

S.G. ricorre, affidandosi ad un motivo, con atto notificato a mezzo p.e.c. il 09/01/2018, per la cassazione della sentenza n. 2301 del 26/10/2017 della Corte di appello di Firenze, che, in parziale accoglimento dell’appello di V.L. ed in riforma della sentenza del Tribunale di Lucca n. 2558/16, ha rigettato la di lei domanda di risoluzione di un contratto di affitto di azienda per inadempimento di quegli, ma condannandola al pagamento delle spese di lite dell’appellante pure per il primo grado (liquidate in Euro 630), in cui quegli era restato contumace;

con controricorso l’intimato resiste al ricorso, eccependone in via preliminare l’inammissibilità per la violazione dei principi di tassatività, specificità ed autosufficienza;

è formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

il controricorrente deposita memoria ai sensi del medesimo art. 380-bis c.p.c., comma 2, u.p..

Diritto

CONSIDERATO

che:

va respinta la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso: benchè effettivamente ridotta ad un resoconto schematico – e quasi telegrafico – e priva della trascrizione della quasi totalità degli atti del processo, l’esposizione dei fatti rilevanti per la decisione che in quell’atto comunque si rinviene ben può qualificarsi del tutto idonea ad individuare l’oggetto della peculiarissima doglianza qui agitata, la quale, di semplicità del tutto singolare, si risolve nella contestazúone della legittimità di una condanna alle spese in appello per i due gradi di merito in favore di chi in primo grado era restato contumace;

a riprova di tanto può rilevarsi che l’ampia e complessa vicenda processuale, la cui ricostruzione è stata comunque offerta dalla controparte, non rileva ai fini dell’individuazione nè della sola questione sottoposta a questa Corte, nè – comunque – degli effettivi elementi indispensabili per deciderla;

infatti, i principi generali in tema di requisiti di contenuto-forma del ricorso vanno applicati – alla stregua del principio di effettività dell’accesso al giudice, anche e soprattutto di legittimità, come elaborato pure da questa Corte in applicazione della giurisprudenza costituzionale e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (v. per tutti Corte EDU 15/06/2016, Trevisanato c/ Italia, ric. n. 32610/07, come rielaborata, tra le più recenti, da Cass. ord. 06/10/2017, n. 23452; v. pure Cass. 28/06/2018, n. 17036) – in coerenza con la loro funzione di consentire alla Corte di legittimità di acquisire in modo ordinato e completo da quell’atto e solo da quello ogni elemento utile per la decisione: e, pertanto, in congruenza con l’ulteriore principio di necessaria chiarezza e sinteticità degli atti processuali, l’una e l’altra tra loro indissolubili – indispensabili presidi dell’effettività del diritto di difesa (Cass. 20/10/2016, n. 21297);

l’unitario motivo, di “violazione dell’art. 91 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la corte di appello liquidato le spese di primo grado a favore della parte in quella sede contumace”, è manifestamente fondato, alla stregua dei principi generali dell’ordinamento, come di recente ribaditi da Cass. 26/06/2018, n. 16786 (che riprende peraltro Cass. 09/11/1982, n. 5897, preceduta a sua volta da Cass. 20/06/1977, n. 2598, nonchè – in generale quanto alla illegittimità della condanna alle spese in favore del contumace – da Cass. 14/10/1969, n. 3323), per i quali “la statuizione con la quale il giudice liquidi, in favore della parte vittoriosa in appello, le spese processuali del primo grado di giudizio, nel quale la stessa era rimasta contumace, va cassata senza rinvio, in applicazione dell’art. 382 c.p.c., comma 3, in quanto, pur essendo espressione di un potere officioso del giudice, la condanna alle spese in favore della parte vittoriosa che non si sia difesa e non abbia, quindi, sopportato il corrispondente carico non può essere disposta ed è assimilabile ad una pronuncia resa in mancanza del suddetto potere”;

non giova al resistente la circostanza che la contumacia in primo grado sia o possa essere stata involontaria: tanto non toglie che, volontariamente o meno, egli non abbia espletato attività difensiva di alcun tipo in primo grado, per la quale quindi non può essere remunerato; mentre l’adduzione di circostanze di fatto per la prima volta in memoria non solo è inammissibile, ma è pure irrilevante, quelle involgendo doglianze non articolate ritualmente in ordine ad attività anche stragiudiziali ma relative al giudizio di primo grado (anche quelle ulteriori parendo, del resto, riferite a quello di appello): in ordine al quale considerazione dirimente resta e persiste quella che egli non vi ha preso parte e non può quindi vedersi liquidata alcuna spesa ad esso relativa, perchè non ne ha sostenuto per definizione;

il ricorso va quindi accolto e la gravata sentenza va cassata senza rinvio sul punto, in conformità all’appena richiamato più recente precedente di questa Corte, con condanna poi del soccombente controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controparte, attesa la non emendabile soccombenza in questa sede;

infine, per essere stato il ricorso accolto, va dato atto della non sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito;

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa senza rinvio la gravata sentenza limitatamente alla statuizione di condanna di S.G. alle spese del primo grado di giudizio in favore di V.L..

Condanna il controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 febbraio 2020

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