Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5464 del 26/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/02/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 26/02/2021), n.5464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34930-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.N., T.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA TOMMASO CAMPANELLA 23, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO

COPPOLA, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ALFONSO CELOTTO, MICHELE ALDINIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 177/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della BASILICATA, depositata il 12/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

i due ex soci della cessata Solutions s.r.l. proponevano ricorso avverso tre avvisi di accertamento relativi a varie imposte per l’anno 2011 relativi a debiti fiscali di tale società;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente;

la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate affermando che a seguito dell’estinzione della società i creditori possono far valere le proprie pretese nei confronti dei soci esclusivamente nei limiti delle somme che quest’ultimi hanno ricevuto in base al bilancio finale di liquidazione che i contribuenti hanno provveduto a depositare indicando analiticamente tutte le operazioni attive e passive senza che l’Ufficio abbia effettuato alcun accertamento volto a provarne l’eventuale inattendibilità e di conseguenza sarebbe stato onere dell’ufficio provare la percezione, da parte dei soci, di somme a titolo di riparto di utili extra-bilancio, circostanza che invece non è avvenuta;

l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato a quattro motivi di impugnazione mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, in quanto non spettava all’Ufficio provare la presenza di un riparto ma, al contrario, spettava ai soci, una volta accertata la fondatezza della pretesa a carico della società, opporre l’importo da loro percepito quale limite delle domande esperibili nei loro confronti;

con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione degli artt. 2282,2697 e 2709 c.c., nonchè del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, in quanto il bilancio di liquidazione è un atto dell’imprenditore insuscettibile di costituire prova in suo favore, cosicchè non è onere dell’Ufficio provarne l’inattendibilità;

con il terzo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla contestata ripresa a tassazione dei versamenti bancari dell’ex socio T.G. fin dall’inizio contestati perchè ritenuti non documentati e per la CTP invece giustificati con statuizione fatta oggetto di puntuale appello;

con il quarto motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in quanto la sentenza della CTR sarebbe immotivata quanto all’affermazione in cui avrebbe negato l’esistenza della presunzione di riparto degli utili extracontabili;

ritenuto di dover affrontare preliminarmente il quarto motivo di impugnazione dal momento che è logicamente preliminare rispetto agli altri in quanto coinvolge la radicale nullità della sentenza perchè sospettata di essere priva a monte di una motivazione riconoscibile come tale;

ritenuto che tale quarto motivo è infondato in quanto, secondo questa Corte: il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. SU n. 8053 del 2014);

in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22598 del 2018);

ritenuto che tale motivo è infondato perchè per un verso la CTR ha fornito una motivazione sufficientemente chiara nel senso che ha valutato, di fronte al deposito dei bilanci da parte dei soci, come necessaria prima di tutto la dimostrazione da parte dell’Agenzia che la società abbia conseguito degli utili (contabilizzati o meno che siano), venendo, in assenza di tale preliminare dimostrazione a perdere senso l’eventuale sussistenza di una presunzione della percezione da parte dei soci degli utili extracontabili e per un altro verso la ratio dell’art. 111 Cost., comma 6, (secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati), così come tradotta nel diritto vivente, è nel senso che deve sussistere un minimo di motivazione sufficiente a giustificare il provvedimento giurisdizionale nel suo insieme, non anche per singole affermazioni non costituenti di per sè autonome e decisive rationes decidendi della sentenza;

ritenuto di poter affrontare congiuntamente il primo ed il secondo motivo, in quanto vertono entrambi sulla capacità del deposito del bilancio da parte dei soci per un verso di determinare o meno una inversione dell’onere della prova della attendibilità dello stesso e per un altro di poter configurare o meno la sussistenza di una presunzione di percezione da parte dei soci degli utili extrabilancio;

considerato che, secondo questa Corte:

in tema di rettifica dei redditi d’impresa, il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l’attendibilità e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicchè l’amministrazione finanziaria può “prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c. (Cass. n. 33604 del 2019; n. 22184 del 2020);

in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico extracontabile e quello con metodo induttivo sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicchè l’amministrazione finanziaria può “prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c., con l’ulteriore conseguenza che l’eventuale errore qualificatorio del giudice di merito, sul tipo di accertamento, non rileva “ex se” come violazione di legge, ma refluisce in un errore sull’attività processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, o in un errore sulla selezione e valutazione del materiale probatorio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 6861 del 2019);

in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (Cass. n. 1947 del 2019);

in tema imposte sui redditi di capitale, per escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, conseguiti e non dichiarati da una società a ristretta base partecipativa, non è sufficiente che il socio si limiti ad allegare genericamente la mancanza di prova di un valido e definitivo accertamento nei confronti della società, ma deve contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, di tali utili, ove non sia in grado di dimostrare la mancata distribuzione degli stessi, stante l’autonomia dei giudizi nei confronti della società e del socio e il rapporto di pregiudizialità dell’accertamento nei confronti del primo rispetto a quello verso il secondo (nella specie, si trattata di una società a ristretta base partecipativa, ritenuta mera “cartiera”, sicchè, in considerazione dell’inesistenza delle operazioni effettuate, erano stati disconosciuti i costi contabilizzati, con conseguente attribuzione di un maggior reddito societario e applicazione della presunzione di redistribuzione degli utili ai soci). (Cass. n. 33976 del 2019);

dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (Cass. SU n. 6070 del 2013; n. 23269 del 2016; Cass. nn. 13386 e 33554 del 2019);

ritenuto che i suddetti motivi sono entrambi fondati in quanto la sentenza della Commissione Tributaria Regionale non nega ma anzi afferma esplicitamente che a seguito dell’estinzione della società i creditori possono far valere le proprie pretese nei confronti dei soci, sia pure nei limiti delle somme che quest’ultimi hanno ricevuto in base al bilancio finale di liquidazione e tuttavia tale sentenza è gravemente lacunosa in fatto prima che in diritto, non avendo chiarito per un verso quanto alla riferibilità o meno del conseguimento di utili (extracontabili o contabilizzati) in capo alla società estinta e per un altro verso in merito alla attendibilità o alla parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili, circostanze da cui discende la possibilità o meno per l’Ufficio di potersi giovare di presunzioni a suo favore;

considerato, quanto al terzo motivo, che, secondo questa Corte:

in tema di accertamenti bancari, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass. n. 13122 del 2020; Cass. n. 10480 del 2018);

ritenuto fondato tale motivo di impugnazione in quanto, di fronte ad una puntuale doglianza dell’Ufficio – con una corretta trascrizione e allegazione degli atti rilevanti relativi alle fasi di merito del procedimento in modo così da rispettare il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – circa l’omessa pronuncia sulla ripresa a tassazione dei versamenti bancari dell’ex socio T.G. (ed in particolare di fronte alla corretta obiezione, avanzata con l’atto di appello, che non sia corretta la motivazione della Commissione Tributaria Provinciale in quanto non è sufficiente produrre le ricevute e la documentazione fiscale attestante la tracciabilità delle operazioni, occorrendo anche, per vincere la presunzione a favore del Fisco, che il contribuente, attraverso una prova analitica con riguardo ad ogni singolo versamento bancario, dimostri che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili) la Commissione Tributaria Regionale ha completamente omesso una qualsiasi motivazione, seppur implicita sul punto;

ritenuto dunque che, infondato il quarto motivo di impugnazione e fondati il primo, secondo e terzo, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va conseguentemente accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte respinge il quarto motivo di impugnazione, accoglie il primo, secondo e terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2021

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