Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5464 del 03/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 03/03/2017, (ud. 30/11/2016, dep.03/03/2017),  n. 5464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26493-2015 proposto da:

B.G., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

che lo rappresenta e difende;

– resistente –

Avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositato il

31/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Don. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso depositato il 17 luglio 2014 presso la Corte d’appello di Catanzaro i ricorrenti chiedevano la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’equa riparazione per l’ulteriore frazione di irragionevole durata di un giudizio in materia di lavoro svoltosi davanti al TAR Basilicata, promosso nel 1998 e conclusosi il 6 giugno 2003. I ricorrenti premettevano di essere già stati indennizzati, in seguito a domanda avanzata nelle more della definizione del giudizio presupposto, della durata dello stesso fino al dicembre 2009 quanto a T.F. e fino al dicembre 2009 per tutti i restanti.

2. Con decreto dell’11 agosto 2010 il consigliere delegato della Corte d’Appello di Catanzaro accoglieva la sola domanda del T. per il periodo di tre anni e rigettava le altre domande, osservando come, sulla base della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, comma 1, l’ulteriore frazione decorrente dal 18 dicembre 2012, già compensata, fino al 6 giugno 2013, non superasse il semestre. Proponevano opposizione i ricorrenti, e la Corte d’Appello di Catanzaro, con decreto del 31 marzo 2015, dichiarava infondate le loro doglianze.

Per la cassazione di questo decreto i ricorrenti hanno proposto ricorso sulla base di quattro motivi, mentre l’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha presentato controricorso.

3. Il primo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, commi 1 e 2. Si sostiene l’errore della Corte di Catanzaro nell’aver escluso la rilevanza ai fini dell’equa riparazione dell’ulteriore durata del giudizio svoltosi davanti al TAR Basilicata rispetto a quella già compensata col precedente decreto del 18 dicembre 2012, limitandosi la L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, comma 1, a disciplinare la misura dell’indennizzo.

Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. Si sostiene che la Corte di Catanzaro sarebbe incorsa in ultrapetizione giacchè, adita con opposizione che allegava unicamente la circostanza del mancato superamento del semestre, ha affermato che l’indennizzo liquidato nel dicembre 2012 avesse “avuto riguardo alla durata irragionevole del procedimento presupposto complessivamente considerata”.

Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c. con riferimento alla stessa circostanza di cui al secondo motivo, essendo acquisito al processo un dato di rilevanza dell’ulteriore durata del processo presupposto rispetto a quella indennizzata in precedenza.

Il quarto motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi, con riferimento alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies e art. 2-bis, comma 3, avendo fatto il decreto impugnato applicazione retroattiva della novella del 2012, nonchè escluso l’indennizzo in ipotesi non prevista dall’art. 2, comma 2-quinquies citato.

4. I quattro motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

In via pregiudiziale, la denuncia di violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., formulata in particolare col secondo motivo di ricorso, non tiene conto che l’opposizione al collegio L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter non è un mezzo d’impugnazione sulla legittimità del decreto monocratico, limitato dai motivi di censura, bensì è lo strumento processuale che attua il contraddittorio sulla fondatezza della domanda indennitaria, senza limitazione di temi (Cass. Sez. 6 2, Sentenza n. 20463 del 12/10/2015).

Peraltro, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2-bis, comma 1, (introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 13 del 2012, e poi modificato dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208), stabilisce che il giudice liquida a titolo di equa riparazione, di regola, una somma di denaro non inferiore a Euro 400 e non superiore a Euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo.

Questa Corte ha già affermato che lo stesso art. 2-bis, nonchè la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 bis, nella parte in cui afferma che si considera rispettato il termine ragionevole se il processo non eccede la durata di tre ani in primo grado di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità, hanno recepito le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte E.D.U. e della Corte di cassazione, e perciò non si pongono in contrasto con l’art. 6, par. 1, della CEDU (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22772 del 27/10/2014).

L’art. 2-bis, comma 1, in particolare, nel postulare la non indennizzabilità a titolo di equa riparazione della frazione di anno non superiore a sei mesi, che pur abbia travalicato il termine ragionevole di durata del processo, ha così recepito il principio “de minimis non curar praetor” elaborato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, principio che induce a ritenere non significativa la violazione che non raggiunga una soglia minima di gravità, in maniera da stabilire un criterio oggettivo per l’apprezzamento giudiziale della relativa violazione e delle sue conseguenze (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 633 del 14/01/2014; Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 14777 del 12/06/2013). Adeguandosi a tale corretta interpretazione, la Corte d’Appello di Catanzaro ha perciò negato l’indennizzo per l’ulteriore durata inferiore a sei mesi del giudizio presupposto davanti al TAR Basilicata.

La denuncia di errata applicazione retroattiva dell’art 2-bis, comma 1, da parte della Corte d’Appello di Catanzaro, non considera, da una parte, che le disposizioni in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, si applicano comunque ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (e sono perciò certamente operanti nel presente giudizio); nè che, essenzialmente, la previsione normativa della soglia minima di gravità semestrale del ritardo non ha fatto altro che uniformarsi alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte E.D.U. e della Corte di cassazione.

La ipotizzata violazione dell’art. 115 c.p.c. non ha poi alcuna parvenza di sostenibilità, giacchè l’inosservanza di tale norma può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016). Tampoco, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può prestarsi quale succedaneo della deduzione in sede di legittimità del vizio di motivazione insufficiente in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie, vizio non più contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012.

5. Il ricorso va quindi rigettato. L’intimato Ministero non ha sostenuto spese da regolare.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte suprema di cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2017

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