Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5461 del 03/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 03/03/2017, (ud. 13/01/2017, dep.03/03/2017),  n. 5461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24112-2015 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in Roma presso la

Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLO PONTRELLI giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., M.C., M.L.,

elettivamente domiciliati in Roma presso la Cancelleria della

Suprema Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato

PAOLO IANES giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

Nonchè

M.A.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 189/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 12/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Letti gli atti depositati.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La controversia ha ad oggetto la divisone dell’asse ereditario di Ma.Gi., al quale sono succeduti i figli L., C., G., A. ed in rappresentazione della figlia premorta, M.L., C.G..

Nel corso del giudizio la convenuta A. ha ceduto la propria quota ereditaria in favore dei fratelli, sicchè si è provveduto a redigere un progetto di divisione, concernente i soli immobili (essendosi estinto il giudizio relativamente alla domanda di rendiconto e di divisione dei beni mobili) che prevedeva la formazione di una quota pari ad 1/5 in favore del C., avendo gli altri condividenti chiesto di rimanere in comunione tra loro.

La sentenza del Tribunale con la quale è stato approvato il progetto di divisione, è stata appellata dal C. il quale ha lamentato la mancata inclusione nella sua quota, e relativamente ai beni ubicati in (OMISSIS), di un’ulteriore porzione di terreno, deducendo che ciò avrebbe arrecato un pregiudizio significativo al valore della sua quota.

Nella resistenza degli appellati, previa richiesta di chiarimenti al CTU, la Corte d’Appello di Trento ha rigettato l’appello.

Avverso questa sentenza C.G. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui hanno resistito, con controricorso, M.G., L. e C., mentre M.A. non ha svolto difese in questa fase.

Le memorie di parte ricorrente risultano tardivamente depositate in data 10 gennaio 2017 e delle stesse quindi non è possibile tenere conto. Deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di specificità della procura, atteso che la sua collocazione a margine del ricorso con il riferimento al giudizio in cassazione non induce a dubitare della sua riferibilità al presente giudizio.

Preliminarmente deve osservarsi che la sentenza impugnata risulta emessa all’esito di un giudizio di appello instaurato in data successiva al 12 settembre 2012, sicchè allo stesso risulta applicabile la previsione di cui al’art. 348 ter c.p.c., u.c. che prevede che non possa essere dedotto in cassazione il motivo di ricorso di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 ancorchè nella previsione novellata dalla L. n. 134 del 2012, di conversione del D.L. n. 83 del 2012, nel caso in cui la sentenza di appello abbia confermato la decisione di primo grado.

Inoltre, trattandosi di sentenza comunque emessa in epoca successiva al 12 settembre 2012, non appare più deducibile come motivo di ricorso in cassazione il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, essendo la censura limitata solo alla prospettazione dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Nel caso in esame la Corte d’Appello ha ritenuto di condividere la valutazione formulata dal Tribunale di merito alla formazione del progetto di divisione dei beni relitti, ritenendo infondate le richieste del C. di includere nella quota assegnatagli anche due ulteriori porzioni di terreno.

La sentenza, a fronte delle lamentele dell’appellante, secondo cui il Tribunale non aveva tenuto conto delle osservazioni del proprio consulente di parte, ha offerto ampia ed esaustiva risposta alle varie sollecitazioni della parte (anche alla luce dei chiarimenti offerti dal CTU), replicando analiticamente alle seguenti deduzioni:

a) Perdita di valore del compendio attribuitogli per effetto della mancata disponibilità della porzione assegnata ad altri condividenti (pagg. 10 e ss.);

b) Inidoneità del lotto a godere di ambiti verdi diversi da boschi e scarpate (pagg. 11 e ss.);

c) Irrazionalità dell’opposizione da parte degli altri comunisti, alla richiesta avanzata (pag. 12 e ss.)

d) Presenza di vincoli di natura urbanistica (pagg. 13 e ss.);

e) Difficoltà di creare nuovi accessi al fondo ricevuto (pagg. 15 e ss.);

f) Erronea valutazione dell’edificio inserito nella quota ricevuta (pag. 17).

Una volta poste tali premesse, e rilevato che con il primo motivo di ricorso si denunzia, da un lato la nullità della sentenza per difetto di motivazione, e dall’altro l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al mancato accoglimento della richiesta di attribuzione di un’ulteriore superficie dei beni in (OMISSIS), e rilevato che con la formulazione del motivo si mira in sostanza a contestare la valutazione in fatto operata dal giudice di merito circa la concreta attuazione del progetto di divisione, non denunziandosi errori di diritto, ma esclusivamente la non condivisibilità di apprezzamenti di natura discrezionale e di opportunità (censure che anche con la vecchia formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non avrebbero consentito alla Corte di sovrapporre la propria valutazione a quella insindacabile del giudice di merito), il motivo è chiaramente inammissibile nella parte in cui continua a lamentare il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione.

Del pari si palesa manifestamente infondato nella parte in cui denunzia la violazione dell’art. 132 c.p.c., occorrendo a tal fine richiamare quanto autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite della Corte, che, nell’interpretare la novellata previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno chiarito che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorietà delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio è deducibile quale violazione della legge processuale ex art. 132 c.p.c.).

L’ampia ed articolata motivazione fornita dal giudice di appello esclude quindi anche che possa configurarsi la dedotta sussistenza dell’error in iudicando.

Quanto, invece, al secondo motivo di ricorso, ad onta del richiamo in rubrica anche alla violazione dell’art. 116 c.p.c., lo stesso si risolve parimenti in una contestazione circa la correttezza in fatto delle valutazioni del giudice di merito, sicchè, trattandosi di un’ipotesi di cd. doppia conforme, il motivo formulato con il richiamo alla nuova previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 è manifestamente inammissibile.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nei confronti dei controricorrenti.

Nulla a disporre per le spese nei confronti dell’intimata che non ha svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2017

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