Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5460 del 03/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 03/03/2017, (ud. 13/01/2017, dep.03/03/2017),  n. 5460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22843-2015 proposto da:

G.M., G.T., elettivamente domiciliati in ROMA VIA A.

DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato PIETRO CAVASOLA,

rappresentati e difesi dall’avvocato CLAUDIO FRESCA giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CORNELIO NEPOTE

21, presso lo studio dell’avvocato MARCO CORDELLI, rappresentata e

difesa dagli avvocati FABRIZIO BOCCIA, LUIGI MONTESANTO in virtù di

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

GA.MI.;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO DI SALERNO, depositata il

17/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Letti gli atti depositati.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il ricorso presentato da G.M. e T. ha ad oggetto il provvedimento emesso in data 17 giugno 2015 dalla Corte d’Appello di Salerno, con il quale è stato rigettato il reclamo dalle medesime proposto avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Salerno in data 25 febbraio 2014 aveva rigettato l’istanza di revoca del decreto del 12/11/2013 che aveva disatteso l’istanza di ampliamento delle operazioni di inventario proposta dalle stesse ricorrenti in data 27 agosto 2013.

Assumono i ricorrenti che con tale istanza avevano chiesto ampliarsi le operazioni di inventario intraprese su iniziativa della controricorrente includendo anche i beni rinvenuti nella abitazione ove risiedeva la de cuius Z.R. alla data del decesso, nonchè quelli rinvenibili nei locali commerciali, sempre in uso alla defunta.

La Corte d’Appello, cui il reclamo era pervenuto a seguito di dichiarazione di incompetenza del Tribunale di Salerno, dopo avere riepilogato il contenuto delle previsioni in tema di procedimento per la redazione dell’inventario, ha reputato infondate le doglianze dei reclamanti, ritenendo che dalle previsioni di legge esaminate si ricava che l’iniziativa di individuare i beni da inventariare è rimessa alle persone che hanno richiesto l’inventario, come esplicitato dall’art. 775 c.p.c., comma 1, che prevede che la possibilità di contestare l’opportunità di inventariare qualche oggetto è attribuita solo in negativo, al fine cioè di escludere determinati beni, ma non anche al diverso fine di includere beni non presi in esame.

Lo stesso art. 192 disp. att. c.p.c. prevede che possano essere sentiti solo coloro che avevano la custodia dei beni mobili o abitavano la casa in cui erano posti, qualità che non rivestono i reclamanti.

Inoltre sebbene questi ultimi siano anche loro eredi della defunta, non avendo richiesto l’inventario, ben possono autonomamente provvedere alla redazione di un loro inventario, ovvero avviare tutte le opportune azioni al fine di far rientrare nell’asse ereditario quei beni che assumono essere usciti solo in apparenza, ovvero suscettibili di essere aggrediti con l’azione di riduzione.

Preliminarmente occorre dare atto della tardività delle memorie presentate da parte ricorrente in quanto sebbene spedite in data 5 gennaio 2017, risultano pervenute in Cancelleria solo in data 10/1/2017, non essendo peraltro, allo stato, ammessa la trasmissione tramite PEC dinanzi alla Suprema Corte.

I tre motivi di ricorso avanzati dai ricorrenti investono la pretesa erroneità del provvedimento impugnato, per non avere, in violazione degli ara. 485 (e 494) c.c. e 112 c.p.c., rilevato che la erede, che aveva accettato con beneficio di inventario, doveva ritenersi ormai decaduta da tale possibilità, per essere divenuta erede pura e semplice, atteso il decorso di oltre un trimestre dall’apertura della successione, essendo altresì rimasta nel possesso dei beni ereditari.

Si denunzia altresì la violazione e falsa applicazione degli artt. 490 e 588 c.c., nonchè dell’art. 775 c.p.c. e art. 192 disp. att. c.p.c., in quanto, non ampliando il novero dei beni da inventariare a quelli indicati dai ricorrenti, si avrebbe un inventario non idoneo a riprodurre fedelmente la consistenza dell’asse ereditario, lasciando all’iniziativa di uno solo degli eredi la determinazione dei beni da inserire nel documento in esame.

Si denunzia poi l’omesso esame di un fatto decisivo, per il giudizio rappresentato dall’avvenuta decadenza in capo a Caldo Dora della possibilità di poter accettare con beneficio di inventario.

Il ricorso è inammissibile.

Ed, infatti, costituisce opinione più volte affermata da questa Corte, quella secondo cui (cfr. Cass. n. 922/2010) il decreto che autorizza la formazione dell’inventario), ai sensi dell’art. 769 c.p.c., e quello che concede la proroga del termine per la redazione del medesimo sono provvedimenti emessi all’esito di un procedimento di cui è parte il solo istante e nel quale il giudice si limita ad accertare la riconducibilità del medesimo alle categorie di persone aventi diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell’art. 763 c.p.c.; ne consegue che tali provvedimenti, non contenendo alcuna decisione in merito alla capacità a succedere del soggetto richiedente, sono riconducibili alla giurisdizione volontaria, e quindi privi del carattere di decisorietà e inidonei a passare in giudicato, con la conseguenza che non sono impugnabili col ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (conf. Cass. n. 10446/2002).

L’affermazione riferita al decreto che autorizza l’inventario deve intendersi estesa anche al provvedimento che decida sul reclamo avverso i provvedimenti che investano eventuali modifiche dello stesso, come nel caso in esame, dovendosi anche per tali provvedimenti escludere il carattere della decisorietà e della idoneità al passaggio in giudicato.

In assenza di contestazioni che investano direttamente l’unica statuizione potenzialmente idonea ad assumere il carattere della decisorietà, e concernente la liquidazione delle spese processuali, le questioni dedotte con i motivi di ricorso, come peraltro correttamente rimarcato dall’ordinanza impugnata, non risultano in alcun modo oggetto di una decisione da parte dell’ordinanza de qua che ne precluda la riesaminabilità in via autonoma nella sede contenziosa, e senza che quanto attestato nell’inventario possa assumere efficacia preclusiva, essendo anzi proprio questa l’unica sede nella quale sarà possibile accertare l’eventuale decadenza della controricorrente dalla possibilità di accettare con beneficio di inventario, ovvero la decadenza dal beneficio stesso, per avere compiuto delle omissioni nella redazione dell’inventario.

Così come d’altronde è esclusivamente compito del giudice in sede contenziosa, come peraltro ne sono consapevoli gli stessi ricorrenti, che a tal fine hanno introdotto un’autonoma azione di riduzione, stabilire quali fossero effettivamente i beni destinati a comporre il relictum ed il donatum, ai fini della riunione fittizia, ed al fine di riscontrare la sussistenza della dedotta lesione dei diritti dei riservatari. Nella specie, il provvedimento emesso dalla Corte di Appello non ha i caratteri della decisorietà e quindi neppure della definitività, trattandosi in ogni caso di un provvedimento di giurisdizione volontaria o non contenziosa che ha ad oggetto la gestione di interessi, in cui la funzione del giudice è quella di garantire il controllo di legalità sul compimento di atti relativi al patrimonio caduto in successione, essendo del tutto estraneo a tale tutela l’accertamento di diritti o la risoluzione di conflitti fra pretese contrapposte.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Nulla per le spese per l’intimata che non ha svolto attività difensiva. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2017

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