Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 546 del 10/01/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 546 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DI PALMA SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso 18967-2010 proposto da:
STROSCIO

MARIA

STRMRA54D49D471G)

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA S. BOTTICELLI l, presso lo
studio dell’avvocato MALAGESI FEDERICA, rappresentata
e difesa dall’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO giusta
procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –

2012
6007

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in
carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 10/01/2013

STATO, che lo rappresenta e difende, ape legis;
– controricorrente

avverso il decreto nel procedimento n. 391/07 V.G.
della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA del 30/12/09,
depositata 1’11/01/2010;

udienza del 25/09/2012 dal Consigliere Relatore Dott.
SALVATORE DI PALMA;
è presente il P.G. in persona del Dott. LUCIO CAPASSO
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.g. n. 18967/10 — U. P. 25 settembre 2012

Equa riparazione

Ritenuto che Maria Stroscio, con ricorso del 9 luglio 2010, ha impugnato per cassazione —
deducendo due motivi di censura —, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte
d’Appello di Reggio Calabria depositato in data 11 gennaio 2010, con il quale la Corte d’appello,
pronunciando sul ricorso della Stroseio vòlto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non
patrimoniali ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 —, in contraddittorio
con il Ministro della giustizia — il quale ha concluso per l’inammissibilità o per l’infondatezza del
ricorso —, ha rigettato la domanda;
che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;
che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale — richiesto per
l’irragionevole durata del processo presupposto nella misura di € 16.000,00 — proposta con ricorso
del 13 dicembre 2007, era fondata sui seguenti fatti: a) la Stroscio, asseritamente titolare del diritto
all’assunzione a tempo determinato presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Messina e
creditrice di differenze retributive, aveva adito il Tribunale di Messina ai sensi dell’art. 700 cod.
proc. civ., con ricorso del 22 ottobre 1999; b) il Tribunale adito aveva deciso tale ricorso, anche in
sede di reclamo, con provvedimento conclusivo del 4 maggio 2000; c) la causa di merito, promossa
con ricorso del 7 marzo 2001, era stata decisa dallo stesso Tribunale con sentenza del 2 febbraio
2004; d) la Corte d’Appello di Messina, adita dalla Stroscio in sede di impugnazione, aveva deciso
l’appello con sentenza del 25 novembre 2005; e) la Corte di cassazione, adita con ricorso del 20
aprile del 2006, aveva definito il ricorso con sentenza del 3 luglio 2009;
che la Corte d’Appello di Reggio Calabria, con il suddetto decreto impugnato — dopo aver
determinato in sei anni, nove mesi e 6 giorni la durata complessiva del processo presupposto,
escludendo dal computo sia la fase cautelare sia la fase del tentativo obbligatorio di conciliazione
sia sei mesi per rinvii richiesti dalla parte, ed in sei anni e sei mesi il periodo di tempo necessario
per la definizione secondo ragionevolezza dello stesso processo presupposto —, ha determinato il
periodo eccedente la ragionevole durata in tre mesi e sei giorni, negando il diritto all’indennizzo in
considerazione «della esiguità del ritardo maturato fino al momento del deposito del ricorso
introduttivo»;
che il Collegio, all’esito della odierna Camera di consiglio, ha deliberato di adottare la motivazione
semplificata.

Considerato che, con i motivi di censura, il ricorrente critica il decreto impugnato, anche sotto
il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus: a) hanno considerato, ai fini
dell’equa riparazione, il solo periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto,
anziché l’intera durata di esso; b) hanno erroneamente negato l’indennizzo; c) hanno
illegittimamente negato la sussistenza di un danno patrimoniale;
che la censura sub a) non è fondata;
che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per
violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, è manifestamente infondata la questione

Sentenza

che, invece, la censure sub b) è inammissibile, perché la ricorrente non censura specificamente
né le premesse (esclusione dal computo complessivo di durata della fase cautelare e della fase della
conciliazione obbligatoria, dei rinvii sollecitati dalla parte), né le conclusioni della non
indennizzabilità del residuo periodo di irragionevole durata individuato in soli tre mesi e nove
giorni;
che la censura sub e) è parimenti inammissibile, perché — contrariamente a quanto dedotto dalla
ricorrente — i Giudici a quibus affermano che, «Nella specie, la ricorrente lamenta soltanto
l’esistenza di un danno non patrimoniale» (pag. 16), né la stessa ricorrente, nel riprodurre un brano
asseritamente appartenente al decreto impugnato, indica la pagina da cui tale brano è stato tratto;
che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel
dispositivo;
che, a tal fine rileva la disciplina del D.m. (Giustizia) 20 luglio 2012, n. 140, giacché il suo art.
41 prevede che «Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive
alla sua entrata in vigore» (cioè al 23 agosto 2012 e cioè il giorno successivo alla pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale, come stabilito dall’art. 42 dello stesso decreto), armonizzandosi con la norma, di
2

di costituzionalità dell’art. 2, comma 3, lettera a), della legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in
cui stabilisce che, al fine dell’equa riparazione, rileva soltanto il danno riferibile al periodo
eccedente il termine di ragionevole durata, non essendo ravvisabile alcuna violazione dell’art. 117,
primo comma, Cost., in riferimento alla compatibilità con gli impegni internazionali assunti
dall’Italia mediante la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, sia perché, qualora sia sostanzialmente osservato il parametro fissato
dalla Corte EDU ai fini della liquidazione dell’indennizzo, la modalità di calcolo imposta dalla
norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine della legislazione interna ad assicurare
l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto in argomento, non comportando una riduzione
dell’indennizzo in misura superiore a quella ritenuta ammissibile dal giudice europeo, sia perché,
diversamente opinando, poiché le norme CEDU integrano il parametro costituzionale, ma
rimangono pur sempre ad un livello sub-costituzionale, dovrebbe valutarsi la conformità del criterio
di computo desunto dalle norme convenzionali, che attribuisce rilievo all’intera durata del processo,
rispetto al novellato art. 111, secondo comma, Cost., in base al quale il processo ha un tempo di
svolgimento o di durata ragionevole, potendo profilarsi, quindi, un contrasto dell’interpretazione
delle norme CEDU con altri diritti costituzionalmente tutelati, sia perché la stessa giurisprudenza
della Corte EDU non perviene a conclusioni diverse, laddove — nei precedenti Martinetti e
Cavazzuti c. Italia del 20 aprile 2010, Delle Cave e Corrado c. Italia del 5 giugno 2007 e Simaldone
c. Italia del 31 marzo 2009 — ha osservato che il solo indennizzo, come previsto dalla legge italiana
n. 89 del 2001, del pregiudizio connesso alla durata eccedente il ritardo non ragionevole, si correla
ad un margine di apprezzamento di cui dispone ciascuno Stato aderente alla CEDU, che può
istituire una tutela per via giudiziaria coerente con il proprio ordinamento giuridico e le sue
tradizioni, in conformità al livello di vita del Paese, conseguendone che il citato metodo di calcolo
previsto dalla legge italiana, pur non corrispondendo in modo esatto ai parametri enunciati dalla
Corte EDU, non è in sé decisivo, purché i giudici italiani concedano un indennizzo per somme che
non siano irragionevoli rispetto a quelle disposte dalla CEDU per casi simili (cfr., ex plurimis,
l’ordinanza n. 478 del 2011 e la sentenza n. 10415 del 2009);


che, in definitiva, venuto meno il sistema tariffario per la liquidazione dei compensi da parte di
un organo giurisdizionale (in particolare, per gli avvocati, quello da ultimo contemplato dal D.m. 8
aprile 2004, n. 127), occorre a tal riguardo fare riferimento ai criteri ed ai parametri indicati dal d.m.
n. 140 del 2012, che è divenuto operativo per tutte le liquidazioni che devono essere effettuate a
seguito della sua entrata in vigore, così da configurarsi come jus superveniens da applicare nella
presente controversia;
che, ciò premesso, tenuto conto della tabella A — Avvocati, richiamata dall’art. 11 del citato
D.m., del valore della controversia (pari ad € 16.000,00) e, quindi, dello scaglione di riferimento
fino a curo 25.000,00 per i giudizi dinanzi alla Corte di cassazione, nonché applicata (in ragione
della minima complessità della controversia, alla stregua della ponderazione richiesta dall’art. 4
dello stesso d.m.) la diminuzione massima indicata all’interno di detto scaglione per ciascuna fase e
ridotto il compenso così risultante del 50% ai sensi dell’art. 9 del medesimo d.m. n. 140 del 2012,
trattandosi di causa avente ad oggetto l’indennizzo da irragionevole durata del processo, la
ricorrente deve essere condannata al pagamento, a titolo di spese processuali, la somma di curo
180,00 per la fase di studio, euro 112,50 per la fase introduttiva, ed euro 213,25 per la fase decisoria
e così complessivamente la somma di euro 505,75.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in complessivi C 505,75, oltre alle
spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 25 settembre 2012
Il co \ sigliere relatore ed estensore

rango legislativo, di cui all’art. 9, comma 3, del di. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, secondo la quale le «tariffe
vigenti alla data di entrata in vigore del presente continuano ad applicarsi, limitatamente alla
liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al
comma 2», cioè, segnatamente, del decreto del Ministero della giustizia che, nel caso di
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, stabilisce i parametri per la determinazione del
compenso del professionista, ciò in quanto lo stesso art. 9 del citato di. n. 1 del 2012 ha abrogato
tutte «le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico» (comma 1), nonché «le
disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alla tariffe
di cui al comma 1» (comma 5);

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