Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5459 del 03/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/03/2017, (ud. 13/01/2017, dep.03/03/2017),  n. 5459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22494-2015 proposto da:

B.R., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in Roma presso la

Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avv. ERNESTO ROGNONI giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

e contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 699/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 22/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

B.R. evocava in giudizio dinanzi al Tribunale di Genova C.W.G., affinchè previo accertamento dell’inadempimento del convenuto delle obbligazioni scaturenti dalla scrittura privata del (OMISSIS), fosse condannato al risarcimento dei danni patrimoniali e non scaturenti dalla condotta inadempiente.

Evidenziava che con detta scrittura il convenuto, nella qualità di Presidente dell’associazione “(OMISSIS)” e di direttore responsabile della rivista “(OMISSIS)” si era impegnato a concedergli una pagina sulla rivista dedicata all’associazione con la possibilità di redigere un articolo su ogni numero della rivista dedicato ai problemi della città di Genova, prevedendosi altresì che, in caso di candidatura elettorale del B., si obbligava a redigere o a far redigere un articolo in suo favore sulla medesima rivista sui cinque numeri antecedenti la data delle elezioni.

Il Tribunale, prima, e la Corte d’Appello di Genova, poi, hanno disatteso le richieste dell’attore osservando che la scrittura invocata, in assenza di una contrapposta obbligazione in capo al B., aveva carattere di liberalità sicchè ai sensi dell’art. 789 c.c., per configurarsi la responsabilità del donante, era necessario che sussistessero gli estremi del dolo o della colpa grave, che nella fattispecie erano assenti.

La sentenza in questa sede impugnata rilevava poi che solo in grado di appello l’attore aveva inteso contestare la qualificazione dalla scrittura quale atto liberale, adducendo che gli obblighi assunti dal convenuto trovassero la loro giustificazione nell’impegno del B. a far ottenere al C. la carica di Presidente dell’associazione e di direttore della rivista, occorrendo quindi confermare l’inesistenza del sinallagma contrattuale.

Quanto alla mancata ammissione delle prove orali, oggetto del secondo motivo di appello, la Corte ligure osservava che le stesse non risultavano idonee a dare contezza dell’esistenza del dolo o della colpa grave per la condotta del convenuto, mancando in particolare la dimostrazione che gli articoli consegnati alla redazione della rivista fossero effettivamente pubblicabili, e che, quanto alla mancata pubblicazione di articoli a favore del B., mancava la prova che la candidatura dello stesso fosse stata formalizzata con tempi tali da consentire la pubblicazione degli articoli.

B.R. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di tre motivi, mentre l’intimato, non ha svolto difese.

Con il primo motivo si deduce l’omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio oggetto) di discussione tra le parti, nonchè la violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c..

Si reitera in sostanza la deduzione già posta a fondamento del primo motivo di appello, secondo cui la domanda originaria già conteneva la prospettazione del fatto che la scrittura oggetto di causa aveva natura di contratto a prestazioni corrispettive, trovando gli obblighi assunti dal C. la loro contropartita nell’impegno dell’attore a far assumere al convenuto la carica di presidente della menzionata associazione e di direttore della rivista.

Il motivo si palesa manifestamente infondato, posto che proprio dalla lettura delle conclusioni dell’atto di citazione, così come riportate in ricorso, nelle quali si faceva menzione del solo inadempimento degli obblighi assunti dal convenuto con la scrittura de qua, emerge la carenza di qualsivoglia prospettazione circa la sussistenza di un legame con un corrispettivo obbligo del B. di far sì che il convenuto potesse ricoprire le suddette cariche, non apparendo) a tal fine sufficiente la dizione “…. proprio in vista della prossima nomina….”, riportata al punto 6) delle conclusioni, che non denota altresì che tale nomina dovesse essere procurata dal B..

D’altronde lo stesso tenore letterale della scrittura invocata non consente di poter in alcun modo individuare il nesso di corrispettività invocato per giustificare la valutazione più rigorosa circa l’inadempimento del C. agli obblighi assunti.

Tali considerazioni che danno contezza dell’infondatezza della denunzia concernente la pretesa violazione delle regole, processuali in punto di corretta valutazione e disamina della domanda originaria, consentono altresì di evidenziare l’infondatezza del secondo motivo di ricorso con il quale si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 769, 789, 1217, 1218, 1322 e 1453 c.c.

Infatti, una volta ribadita, la correttezza della conclusione dei giudici di merito circa l’assenza di corrispettività tra gli obblighi di cui si denunzia l’inadempimento ed una dedotta obbligazione assunta dal ricorrente, si palesa corretta la soluzione di attribuire alla scrittura in esame la qualificazione in termini di atto di liberalità, mancando una sua diversa giustificazione che non possa essere ricondotta allo spirito di liberalità.

Quanto al terzo motivo di ricorso con il quale si denunzia la violazione e falsa applicazione degli arti. 115 e 184 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per non avere la Corte distrettuale ammesso i mezzi di prova finalizzati a dimostrare la gravità dell’inadempimento dell’intimato, deve ricordarsi che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo ronus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).

Infine poichè la valutazione delle prove, il giudizio sull’attendibilità dei testi e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto, ivi incluse quelle che concernono la mancata ammissione dei mezzi istruttori articolati, la deduzione del vizio risulta oggi sottoposta al regime più restrittivo di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 la cui violazione, oltre a non essere specificamente dedotta dal ricorrente, appare altresì inconfigurabile, atteso che il giudice di appello ha argomentatamente esplicato le ragioni per le quali reputava le prove inammissibili, il che esclude che vi sia stata l’omessa disamina di un fatto decisivo.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nulla per le spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2017

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