Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5453 del 03/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 03/03/2017, (ud. 15/11/2016, dep.03/03/2017),  n. 5453

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29082/2011 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.A., c.f. (OMISSIS), B.S. C.F. (OMISSIS), IN

QUALITA’ DI EREDI DI S.V., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 52, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

LUCCHI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARGHERITA ALBANI, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, C.F. (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA,

alla VIA DEI PORTOGHESI, 12 (Atto di costituzione del 28/12/2011);

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 108/2011 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 08/03/2011 R.G.N. 588/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;

udito l’Avvocato SINDONA CIRO per delega Avvocato ALBANI MARGHERITA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza pubblicata in data 8 marzo 2011, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Ancona, ha dichiarato “che S.V. è cieca civile assoluta a decorrere dal 12/7/2006 e condanna(to) l’Inps a corrisponderle i relativi ratei della pensione non reversibile di cui alla L. n. 66 del 1962, art. 7 e successive modificazioni”.

2. Su ricorso ex art. 287 c.p.c., proposto nell’interesse della Serloni, il dispositivo della sentenza è stato corretto con provvedimento del 22/8/2011 della stessa Corte anconetana, mediante l’inserimento dopo le parole “successive modificazioni” della seguente frase: “e indennità di accompagnamento, istituita con la L. 28 marzo 1968, n. 406, art. 1”.

3. Contro la sentenza, anche nella parte corretta, l’Inps propone ricorso per cassazione sostenuto da due motivi, cui resiste con controricorso la S., mentre il Ministero dell’Economia e delle Finanze deposita procura speciale ai soli fini di partecipare alla discussione orale della causa. B.A. e B.S., costituitisi quali eredi della ricorrente nel frattempo deceduta, depositano memoria ex art 378 c.p.c..

4. Il collegio dispone, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Inps denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza, assumendo che l’omessa pronuncia sull’indennità di accompagnamento per ciechi assoluti non costituisce un errore emendabile ex art. 287 c.p.c., ma un vizio di omessa pronuncia, censurabile con i normali mezzi d’impugnazione.

2. Con il secondo motivo l’Inps censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 443 c.pc.., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè per violazione e falsa applicazione della L. 10 febbraio 1962, n. 66, artt. 7 e segg. e L. 28 agosto 1968, n. 406, art. 1. Il motivo è prospettato sulla base del rilievo della mancanza della domanda amministrativa diretta ad ottenere la pensione non reversibile per ciechi assoluti e l’indennità di accompagnamento ai sensi della L. n. 306 del 1968.

3. In via preliminare, va dato atto che il ricorso per cassazione è tempestivo e quindi ammissibile. La sentenza, pubblicata in data 8/3/2011, è stata notificata dalla odierna controricorrente all’Inps in data 22/9/2011 ed il ricorso per cassazione è stato avviato per la notifica, mediante consegna all’ufficiale giudiziario, in data 21/11/2011 (come risulta dal timbro cronologico apposto in calce al ricorso), e dunque nel termine di sessanta giorni previsto dall’art. 325 c.p.c..

La premessa da cui muove la controricorrente, secondo cui alla data della sua notifica (22/9/2011) la sentenza era già passata in giudicato per il decorso del termine semestrale previsto dall’art. 327 c.p.c., è errata, giacchè la norma citata, nel testo applicabile ratione temporis alla controversia in esame, prevede il termine annuale. La riduzione del termine per impugnare a sei mesi, introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17, si applica invero ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, ossia dopo il 4 luglio 2009 (L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1).

Poichè il presente giudizio è stato introdotto con atto depositato in data 12/4/2007, come risulta dallo stesso controricorso, la proposizione del ricorso per cassazione è da ritenersi tempestiva, non essendo ancora decorso l’anno.

Rimane così assorbita anche la questione posta dalla controricorrente e riguardante la pretesa inammissibilità dell’impugnazione avente ad oggetto la parte della sentenza corretta, la quale correttamente è stata impugnata dall’Inps insieme alla sentenza attraverso il ricorso per cassazione, essendo questo l’unico strumento per verificare se, mercè il surrettizio ricorso al procedimento di correzione, sia stato in realtà violato il giudicato ormai formatosi nel caso in cui la correzione sia stata utilizzata per incidere, inammissibilmente, su errori di giudizio (Cass. 14 marzo 2007, n. 5950; Cass. ord. 27 giugno 2013, n.16205). Peraltro, l’impugnazione della sentenza è stata proposta nel rispetto del termine ordinario previsto dall’art. 288 c.p.c., ossia nei sessanta giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza corretta, avvenuta come si è detto il 22/9/2011.

4. Per il principio della “ragione più liquida” – in forza del quale è consentito al giudice di sostituire il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, valorizzate dall’art. 111 Cost. – reputa il Collegio che la causa possa essere decisa sulla base della questione posta con il secondo motivo di ricorso, ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre (in tal senso fra le più recenti, Cass. 19 agosto 2016, n. 17214; Cass. 12 novembre 2015, n. 23160; Cass. Sez. Un. 8 maggio 2014, n. 9936; Cass. Sez. Un. ord. 18 novembre 2015, n. 23542).

5. L’eccezione di inammissibilità di questo motivo, sollevata dai controricorrenti al punto 1 di pag. 11 del controricorso, è essa stessa inammissibile per difetto di specificità, non avendo la parte chiarito le conseguenze che dall’affermazione dell’Inps contenuta nel verbale di udienza del 22/8/2011 (nel procedimento di correzione) intende trarne. Ove, peraltro, i controricorrenti abbiano voluto eccepire l’acquiescenza (parziale) dell’Istituto a far valere con il ricorso per cassazione questioni diverse dalla “non corrispondenza tra domanda e pronuncia anche in considerazione della rinuncia ad uno dei trattamenti”, l’esame degli atti (e in particolare dell’indicato verbale del 22/8/2011), consentito a questa Corte atteso che il giudice deve accertare anche d’ufficio quali siano i limiti oggettivi dell’impugnazione (v. Cass., 14 febbraio 2013, n. 3664), non consente di pervenire alla soluzione indicata, non emergendo alcuna volontà neppure implicita dell’Inps di rinunciare a far valere, in sede di impugnazione, oltre alla questione su cui ha espressamente manifestato la riserva di impugnazione, altri eventuali vizi della sentenza.

6. Il motivo è fondato. Nei procedimenti di previdenza e assistenza, la mancanza della preventiva presentazione della domanda amministrativa è sempre rilevabile d’ufficio, a prescindere dal comportamento processuale tenuto dall’ente previdenziale convenuto, atteso che la suddetta presentazione è configurabile come condizione di proponibilità della domanda giudiziaria e non quale elemento costitutivo della pretesa azionata in giudizio (cfr. ex multis, da ultimo, Cass., 20 gennaio 2015, n. 799; Cass. 30 gennaio 2014, n. 2063; Cass. 27 dicembre 2010, n. 26146; Cass. 24 giugno 2004, n. 11756). La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere necessaria tale domanda anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 533 del 1973 e nell’affermare che la sua mancanza, nelle controversie che richiedono il previo esperimento del procedimento amministrativo, determina l’improponibilità della domanda giudiziaria (Cass. 7 ottobre 2011, n. 20664; Cass. 12 marzo 2004, n. 5149), salvo l’effetto preclusivo di cui all’art. 324 c.p.c., non configurabile nel caso di specie.

7. Il motivo di doglianza si incentra, infatti, sul proprio sull’affermazione della Corte territoriale, secondo cui la proposizione della domanda amministrativa diretta ad ottenere le prestazioni di invalidità civile basta soddisfare la condizione di proponibilità della domanda in sede giudiziaria, qualunque sia il tipo di prestazione poi concretamente richiesta.

8. Si tratta di un’affermazione in contrasto con i principi ripetutamente affermati da questa Corte secondo cui la domanda amministrativa che costituisce condizione di proponibilità della domanda giudiziaria deve essere rivolta ad ottenere la stessa prestazione richiesta in giudizio, con la conseguenza che l’improponibilità non può essere evitata allorchè la domanda riguardi una prestazione diversa, ancorchè “compatibile” con la prestazione poi richiesta in sede giudiziaria (Cass. 26 febbraio 2015, n. 3919; Cass., ord. 20 gennaio 2011, n. 1271; Cass. 4 aprile 2005, n. 6941; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3679; Cass. 8 aprile 2000, n. 4463).

9. In conclusione, il motivo di ricorso in esame deve essere accolto. Poichè è incontroversa la mancanza di domanda amministrativa della S. avente ad oggetto la pensione non reversibile per ciechi assoluti e l’indennità di accompagnamento della L. 28 marzo 1968, n. 406, ex art. 1, la sentenza d’appello che ha riconosciuto le relative prestazioni deve essere cassata e, non essendo necessari accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con la dichiarazione della improponibilità della originaria domanda della ricorrente avente ad oggetto le dette prestazioni.

10. Valutato l’esito complessivo della lite e l’accoglimento solo parziale della domanda della ricorrente (limitatamente all’indennità di accompagnamento L. n. 18 del 1980, ex art. 1), si dispone la compensazione delle spese del presente giudizio e di quello di appello. Va invece mantenuta ferma la statuizione sulle spese della sentenza del tribunale.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara improponibile la domanda dell’originaria ricorrente relativa alla pensione non reversibile di cui alla L. n. 66 del 1962, art. 7 e successive modificazioni e all’indennità L. n. 406 del 1968, ex art. 1. Compensa tra le parti le spese del giudizio di appello e del presente giudizio, confermando la statuizione anche sulle spese della sentenza del tribunale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2017

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