Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 545 del 12/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 12/01/2011, (ud. 29/09/2010, dep. 12/01/2011), n.545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23615-2006 proposto da:

CASSA DI RISPARMIO DI RIETI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato CIABATTINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.F., F.N., M.M.

L., MI.EU., tutti elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato PANICI PIER LUIGI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALLEVA

PIERGIOVANNI, giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5125/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/08/2005 R.G.N. 10938/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato TOSI PAOLO;

udito l’Avvocato ALLEVA PIERGIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. La Cassa di Risparmio di Rieti spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Roma, che ha respinto l’appello contro la decisione con la quale i Tribunale di Rieti aveva accolto il ricorso di quattro dipendenti della banca.

2. La domanda dei lavoratori era di inserimento, nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto e dell’indennità di anzianità, dei contributi corrisposti dalla Cassa al Fondo integrativo pensioni (FIP) istituito dalla banca con lo scopo di garantire agli iscritti in possesso di determinati requisiti un trattamento pensionistico integrativo delle prestazioni erogate dal sistema previdenziale pubblico.

3. Il ricorso della Cassa consta di un unico motivo, articolato in quattro paragrafi.

4. I vizi della decisione denunziati sono così unitariamente rubricati: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa alcuni punti decisivi della controversia. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c. (vecchio e nuovo testo), art. 2121 c.c. (vecchio testo) e art. 2123 c.c., della L. n. 297 del 1982, art. 4, comma 5 e art. 12 e della L. n. 153 del 1969, art. 12 e D.Lgs. n. 124 del 1993.

5. Il primo paragrafo è dedicato a sostenere che la sentenza delle Sezioni unite n. 974 del 1997 e la sentenza n. 13358 del 2001 (quest’ultima riguardante la RAI) richiamate dalla Corte d’Appello non sono applicabili al contesto della controversia in esame.

6. Il secondo paragrafo è dedicato ad spiegare che quell’orientamento è stato comunque superato dalla sentenza n. 21473 del 2005 della Corte di cassazione la quale, collegandosi alla giurisprudenza costituzionale, ha affermato il carattere strettamente previdenziale dei versamenti effettuati dal datore di lavoro alla previdenza integrativa.

7. Il terzo paragrafo è dedicato ad argomentare perchè, anche prescindendo dalla natura previdenziale di tali contributi, “la estraneità dei contributi versati dalla Cassa al FIP rispetto alla retribuzione parametro del TFR discende necessariamente dalla comune struttura dei due istituti, in quanto entrambi deputati all’erogazione di somme alla cessazione del rapporto. Comune struttura esaltata dalle previsioni del D.Lgs. n. 124 del 1993, successivamente riprese ed ampliate dal D.Lgs. 252 del 2005.

8. Il quarto paragrafo concerne più censure: il non aver considerato che “la nozione di retribuzione delineata dall’art. 2120 c.c. presuppone che vi sia un effettivo passaggio di ricchezza dal datore di lavoro al lavoratore in vista del soddisfacimento di un interesse individuale”, e presuppone che vi sia un effettivo depauperamento del datore d lavoro. Caratteri che mancherebbero nella situazione in esame. Così come manca qualsiasi rapporto di corrispettività tra tali contributi e la prestazione lavorativa.

9. Al ricorso è allegato un documento costituito da un accordo sottoscritto il 12 febbraio 2005 dall’ABI e da cinque organizzazioni sindacali del settore credito.

La banca ha anche depositato una memoria.

10. I lavoratori si difendono con controricorso, sottolineando che il Tribunale di Rieti ha limitato prudenzialmente la computabilità dei versamenti ai fondi all’aprile 1993, data di entrata in vigore della riforma della previdenza complementare (D.Lgs. 124 del 1993). Sino a quella data i trattamenti integrativi hanno avuto connotazione aziendalistica, carattere di corrispettivo e quasi premiale per il servizio prestato, con evidente natura retributiva. Caratteri che si sono persi in seguito alle modifiche legislative, come ha sottolineato la Corte costituzionale.

11. Il ricorso non è fondato. Il motivo, sebbene articolato in paragrafi, è unico e deve pertanto essere esaminato unitariamente.

12. Come si è visto, la domanda è stata accolta con una precisa limitazione temporale, costituita dalla entrata in vigore della riforma della previdenza complementare.

13. I cambiamenti dei quadro normativo determinati da tale riforma non rilevano nella vicenda in esame e, di conseguenza, non rilevano le sentenze che hanno deciso su questioni che si sono sviluppate nel nuovo contesto normativo. In questa sede deve farsi riferimento ai precedenti di questa Corte relativi al preesistente quadro normativo.

14. Le coordinate delineate in tali precedenti sono le seguenti.

15. Le Sezioni unite, con la sentenza n. 974 del 1997, risolvendo un contrasto, affermarono la natura retributiva dei versamenti ai fondi di previdenza complementare. Precisarono che “i trattamenti pensionistici integrativi, erogati a seguito della costituzione di fondi speciali previsti dalla contrattazione collettiva, privi di autonoma soggettività, hanno natura di debiti di lavoro, anche se sono esigibili dopo la cessazione del rapporto di lavoro, essendo in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa a causa della interdipendenza con la durata del servizio e la misura della retribuzione ricevuta”. La natura del trattamento pensionistico, nella ricostruzione delle Sezioni unite, si riflette sulla natura dei versamenti al fondo, che hanno quindi natura retributiva e, di conseguenza, devono essere computati nella indennità di anzianità e nel TFR. 16. Cass., 2 novembre 2001, n. 13558, ha ribadito, sempre con riferimento al quadro normativo previgente, che, avendo i trattamenti pensionistici integrativi aziendali natura di retribuzione differita, analoga natura retributiva, ai fini del computo nelle indennità di fine rapporto, deve essere riconosciuta anche ai versamenti effettuati dal datore di lavoro, in osservanza di obbligo derivante da contratto collettivo, mediante accreditamenti sul conto previdenziale individuale del lavoratore ai fini della costituzione e dell’erogazione di un trattamento pensionistico integrativo.

17. I problemi, riproposti dalla ricorrente, relativi alla riconducibilità dei versamenti alla nozione di retribuzione desumibile dall’art. 2120 cod. civ., hanno quindi trovato puntuale soluzione in questi precedenti, mentre il fatto che la decisione del 2001 consideri un fondo a capitalizzazione individuale, laddove nel caso in esame la capitalizzazione è collettiva, non modifica i termini della questione, perchè non incide sulla natura del trattamento finale e sulla omogenea natura del versamento. Nè la ricostruzione su richiamata viene intaccata dai rilievi sulla comune struttura dei trattamenti di fine rapporto e della pensione integrativa, che non spostano i fondamenti del ragionamento delle Sezioni unite sulla natura de versamento e sulla sua conseguente rilevanza ai fini del TFR e della indennità di anzianità.

18. Quei fondamenti verranno invece meno con la riforma della previdenza integrativa, nel cui nuovo ambiente normativo, la Corte costituzionale, con le sentenze n. 421 del 1995 e n. 178 del 2000, affermerà la natura contributiva dei versamenti.

19. Di tutto ciò da atto, con compiuta ricostruzione, Cass., 7 novembre 2005, n. 21473, che, peraltro, ha giudicato sulla situazione determinatasi in seguito alla riforma e pertanto non può essere richiamata per fondare una diversa decisione in questa controversia.

20. Il ricorso pertanto deve essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore degli intimati, liquidandole, nel complesso, in 38,00 Euro, nonchè 5.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2011

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