Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5449 del 08/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/03/2011, (ud. 11/02/2011, dep. 08/03/2011), n.5449

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Mantegazza n. 24, presso il Cav. Luigi Gardin, rappresentato e difeso

dall’Avv. FERRANTE Massimo del foro di Lecce come da procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – I.N.P.S., in persona

del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato

in Roma, Via della Frezza 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avv.ti SGROI Antonino,

Antonietta Coretti, Lelio Maritato e Luigi Caliulo per procura in

atti;

– costituito con procura –

e contro

C.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Appia

Pignatelli n. 292, presso lo studio dell’Avv. Vincenzo Codardo,

rappresentato e difeso dall’Avv. MAIORANO Leonardo del foro di Lecce

come da procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 2241/07 della Corte di Appello di

Lecce del 25.10,2007/16.11.2007 nella causa R.G. n. 1034/2006.

Udita la relazione in pubblica udienza svolta dal Cons. Dott.

Alessandro De Renzis in data 11 febbraio 2011;

udito l’Avv. Leonardo Maiorano per il controricorrente;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. FUCCI

Costantino, che ha concluso per l’inammissibilità e, in subordine,

per rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 217/2005 il Tribunale di Lecce accoglieva parzialmente l’opposizione a decreto ingiuntivo n. 558/2000 e lo revocava, con condanna dell’opponente P.G. al pagamento a favore dell’opposto C.M. della somma di Euro 1621,50 a titolo di ratei ferie e 13^ mensilità degli anni 1999 e 2000, oltre accessori.

Con la stessa sentenza il Tribunale accoglieva le domande formulate d al C. con il ricorso n. 5992/1998 e per l’effetto: a) condannava il P. al pagamento a favore del ricorrente della somma di Euro 117.588,33 per differenze di lavoro ordinario e straordinario (detratto l’importo di Euro 7.156,54), di Euro 5.630,01 per differenze 13^ mensilità, di Euro 2.963,16 per indennità ferie non godute per il periodo di lavoro 1.01.1983/26.10.1998; b) condannava il P. al risarcimento del maggiore danno da svalutazione; c) dichiarava illegittimo il licenziamento, intimato il 24.10.1998, con effetto dal 3.02.2000, condannando il convenuto a riassumere il ricorrente ovvero versargli un’indennità pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre alla svalutazione monetaria; c) condannava l’INPS a corrispondere al ricorrente l’indennità di malattia per il periodo indicato in ricorso, oltre accessori, d) dichiarava improponibile la domanda formulata della L. n. 1338 del 1962, ex art. 13; e) rigettava la domanda di risarcimento dei danni derivati dall’omesso versamento contributivo per il periodo 1.01.1983/24.07.1988.

Tale decisione, appellata dal P., è stata confermata dalla Corte di Appello di Lecce con sentenza n. 2241 del 2007.

Il P. ricorre per cassazione sulla base di sei motivi.

Resiste con controricorso il C., mentre l’INPS si è limitato a costituirsi depositando procura.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare va disattesa l’eccezione di intempestività del ricorso per cassazione formulata dal controricorrente, in quanto la sentenza impugnata risulta pubblicata in data 16 novembre 2007 e il ricorso risulta consegnato – per la notifica – all’ufficiale giudiziario il 17 novembre 2008; con rispetto quindi del termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c., nella formulazione precedente alle modifiche introdotte con L. n. 69 del 2009.

2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta difetto di motivazione sulla questione attinente l’idoneità dell’impugnazione stragiudiziale del lavoratore ai sensi dell’art. 2113 cod. civ..

Con il secondo motivo il ricorrente, nel dedurre violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., ribadisce l’erroneità dell’impugnata sentenza per avere ritenuto che l’impugnazione della sola firma apposta sulla transazione intervenuta tra il datore di lavoro e il lavoratore comporti l’inefficacia della stessa transazione.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro intima connessione, sono infondati.

Invero i rilievi, già sollevati in sede di appello, sono stati esaminati dalla Corte leccese, che, anche con riferimento a precedenti giurisprudenziali, ha condiviso con adeguata e coerente motivazione, la statuizione del primo giudice circa la non necessità del ricorso giudiziario da parte del lavoratore per invalidare un negozio di transazione.

2. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia illogica e contraddittoria motivazione in ordine alla mancata ammissione della richiesta di interrogatorio formale formulata dal C..

Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 228 e 230 c.p.c., in relazione agli artt. 428 e 183 c.p.c., in ordine alla mancata ammissione dell’anzidetto interrogatorio formale, a fronte di assunzione di interrogatorio libero.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente riguardando lo stesso thema decidendum, non colgono nel segno e vano disattesi, in quanto la mancata ammissione dell’interrogatorio formale attiene al potere riservato al giudice di merito di apprezzamento dei mezzi istruttori e nel caso di specie il giudice di appello ha ritenuto che il primo giudice avesse correttamente esercitato tale potere con il considerare non rilevante e superfluo tale mezzo istruttorio, una volta disposta l’ammissione dell’interrogatorio libero e delle prove per testi.

3. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 250 c.p.c. e dell’art. 104 disp. att. c.p.c., sostenendo l’erroneità della decadenza della prova diretta e contraria con riferimento a testi non citabili per la medesima udienza in ragione dell’assunzione degli stessi testi frazionata in più udienze, come disposta dal giudice.

Il motivo è infondato, avendo la Corte argomentato che la decadenza dalla prova testimoniale era stata pronunciata per la mancata intimazione ai testi, in violazione delle richiamate norme di rito.

4. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione circa l’eccepita mancanza di prova del diritto alla retribuzione nell’ammontare, stabilito in sentenza, per il periodo antecedente alla formale assunzione del lavoratore.

Anche questa doglianza non ha pregio e non merita di essere condivisa, avendo il giudice di appello valutato le risultanze istruttorie, in particolare le deposizioni dei testi escussi, e ritenuto provati i fatti dedotti con accoglimento delle domande.

La parte ricorrente da parte sua ha opposto un diverso apprezzamento, non ammissibile in sede di legittimità.

5. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano a favore del C. come da dispositivo. Nessuna statuizione per le spese nei confronti dell’INPS, non avendo svolto in concreto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida a favore di C.M. in Euro 26,00 oltre Euro 2000,00 per onorari ed oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali. Nulla per le spese nei confronti dell’INPS. Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2011

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