Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5446 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. III, 05/03/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 05/03/2010), n.5446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 29437/2008 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI

CHIARELLI 6, presso lo studio dell’avvocato ANNA RICCIARDI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CICALA Gennaro, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ENEL DISTRIBUZIONE S.P.A., società con unico socio soggetta a

direzione e coordinamento di ENEL S.P.A., in persona del Presidente

del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo

studio dell’avvocato BRIGUGLIO Antonio, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GUERRA PIETRO, giusta procura speciale alle

liti per atto Notaio Nicola Atlante di Roma, del 18/12/08, Rep. N.

30028, che viene allegata agli atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 211/2008 del TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA

VETERE – SEZIONE DISTACCATA DI MARCIANISE, emessa il 07/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO SEGRETO;

è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori: “Il relatore, Cons. Dott. Antonio Segreto, letti gli atti depositati, osserva:

1. Il giudice di pace di Marcianise ha condannato la s.p.a. Enel Distribuzione al risarcimento dei danni patiti da C. P. a seguito del black out elettrico verificatosi nella notte tra il (OMISSIS), per il deperimento di generi alimentari presenti nel frigorifero di parte attrice.

Gravata tale pronunzia dalla soccombente Enel Distribuzione s.p.a., il tribunale di S. Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Marcianise, con sentenza n. 211 del 7.7.2008, in totale riforma della decisione del primo giudice ha rigettato la domanda, avendo ritenuto che la parte attrice non ha offerto alcuna prova in ordine ai danni subiti.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia la parte attrice ha proposto ricorso per cassazione.

Resiste, con controricorso, l’Enel Distribuzione s.p.a..

2.1. Con il primo motivo di ricorso la parte ricorrente censura la sentenza impugnata, denunziando: ex art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2214 e 2711 c.c., e art. 115 c.p.c., ed ha formulato il quesito di diritto con cui si chiede di accertare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2214 e 2711 c.c., stante la circostanza che il giudice del gravame non ha ritenuto le ricevute inerenti l’utenza di parte attrice, come scritture contabili, in violazione dell’art. 115 c.p.c..

2.2. Con il secondo motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1218 c.c., come richiamato dall’art. 1570 c.c., ed ha formulato il quesito di diritto con cui si chiede di accertare la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., come richiamato dall’art. 1570 c.c., per aver il giudice di merito escluso la responsabilità per inadempimento dell’Enel.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1565 c.c., inerente il mancato risarcimento del danno dovuto ad inadempimento contrattuale ed ha formulato il quesito di diritto con cui si chiede di accertare la violazione e falsa applicazione dell’art. 1565 c.c., per aver il giudice di merito escluso la sussistenza dell’inadempimento dell’Enel, provvedendo, quindi alla liquidazione dei danni ai sensi dell’art. 1226 c.c..

3. I suddetti tre motivi sono inammissibili per l’assoluta inconferenza sia dei motivi stessi che dei relativi quesiti di diritto.

La mancanza di conferenza del quesito rispetto al deciso comporta che la risposta allo stesso sia positiva per il richiedente, ma che essa sia priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto il deciso attiene a diversa questione. Sotto questo profilo il ricorrente non ha interesse a proporre quel quesito dal quale non può trarre alcuna conseguenza concreta utile ai fini della causa, il caso di quesito di diritto inconferente va assimilato, quindi, all’ipotesi di mancanza del quesito, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., con conseguente inammissibilità del motivo, applicando lo stesso principio già affermato da questa Corte in tema di motivi non attinenti al decisum.

La consolidata giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, statuito che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (ex multis, Cass. Sez. Unite, 21/06/2007, n.14385; Cass. Sez. Unite, 28/09/2007, n.20360; Cass. 07/11/2005, n. 21490; Cass. 24/02/2004, n. 3612; Cass. 23/05/2001, n. 7046).

Nella fattispecie la sentenza impugnata non ha disconosciuto che la parte attrice fosse titolare di un’utenza di fornitura elettrica da parte della convenuta, nè ha rigettato la domanda perchè ha escluso una responsabilità contrattuale dell’Enel distribuzione, ma per la diversa ragione che non è stato provato l’an del danno, ritenendo correttamente che tale prova gravasse sulla parte attrice.

Correttamente, inoltre, il giudice di appello ha ritenuto di non avvalersi delle presunzioni, su cui si era basato il primo giudice, tenuto conto che esse integravano forme di praesumptio de praesumpto e quindi una non ammessa correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice (Cass. 18/01/2008, n. 1023), mentre è incensurabile il preteso mancato esercizio del potere discrezionale riservato al giudice di merito di avvalersi del notorio (a prescindere dal punto se potesse concepirsi un notorio con riferimento allo specifico danno patrimoniale lamentato da parte attrice) (Cass. 21/02/2007, n. 4051; Cass. 18/05/2006, n. 11739).

Inoltre il giudice di appello, avendo escluso che l’an del danno fosse stato provato, correttamente ha ritenuto che non potesse farsi ricorso alla liquidazione equitativa, che costituisce appunto un sistema liquidatori¸ del quantum, rimesso al prudente apprezzamento del giudice, una volta, tuttavia, che la parte cui compete abbia provato l’an del danno (Cass. 09/08/2007, n. 17492).

4. Con il quarto motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., per il mancato risarcimento del danno non patrimoniale. Il motivo si conclude con il quesito con cui si chiede di accertare la violazione dell’art. 2043 c.c. per i danni non patrimoniali subiti a seguito dell’avaria degli alimenti contenuti nel frigorifero.

5. Il motivo è inammissibile.

Anzitutto il quesito è inadeguato rispetto ai requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c. non indicando la parte ricorrente l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia la corretta regola regula iuris da applicare. (Cass. Sez. Unite, 05/02/2008, n. 2658).

Inoltre la parte attrice ha proposto con la domanda un’azione di responsabilità contrattuale, mentre con il presente motivo la parte ricorrente si duole per il mancato riconoscimento di una responsabilità extracontrattuale, introducendo, quindi, in questo grado di legittimità un’inammissibile domanda nuova.

Infine i pretesi danni attinenti all’avaria dei cibi contenuti nel frigorifero, costituiscono astrattamente danni patrimoniali e non danni non patrimoniali, come ritenuto dalla ricorrente e la domanda risarcitoria sul punto è stata rigettata sul rilievo fattuale (a prescindere dalla natura della responsabilità) che tali danni non erano stati provati.

6. Con il quinto motivo di ricorso (erroneamente indicato come sesto), la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 93 c.p.c., per essere stata condannata alle spese processuali, pur essendo un’utente consumatrice. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: accertare la violazione e falsa applicazione dell’art. 93 c.p.c. in ordine al principio della soccombenza che regola l’intera materia.

7. Il motivo è inammissibile oltre che manifestamente infondato.

Il quesito, infatti, si risolve in una mera richiesta di accertamento di violazione dell’art. 93 c.p.c. che attiene alla distrazione delle spese in favore del difensore. Inoltre il giudice di appello ha appunto regolato le spese, applicando l’invocato principio della soccombenza”.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che il Collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella relazione;

che il ricorso deve, perciò, essere dichiarato inammissibile; che le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalla resistente e liquidate in complessivi Euro 400,00, di cui Euro 100,00 per spese , oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

 

 

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