Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5445 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/02/2020, (ud. 17/10/2019, dep. 28/02/2020), n.5445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28300-2017 proposto da:

M.E. in proprio e nella qualità di erede di

C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DARDANELLI 13, presso

lo studio dell’avvocato SALVATORE TANGARI, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA già INA ASSITALIA SPA, in persona dei

Procuratori pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRISTOFORO COLOMBO 440, presso lo studio dell’avvocato FRANCO

TASSONI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

G.S.D., B.C.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4944/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

Fatto

RILEVATO

che:

M.E., in proprio e quale erede del figlio C.F., convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma B.M.C., G.D. ed INA Assitalia SpA, rispettivamente conducente, proprietario ed Istituto assicuratore del veicolo Fiat Iveco, per sentir dichiarare i primi due responsabili dell’incidente occorso il 92-2004, in esito al quale C.F. aveva perso la vita, e, per l’effetto, condannare tutti in solido al risarcimento dei danni.

Con sentenza 5699/2013 l’adito Tribunale, nella contumacia di B.M.C. e G.D., accolse la domanda e condannò i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 229.445,00, detratto l’acconto già percepito, oltre lucro cessante ed interessi.

Con sentenza 4944/2017 la Corte d’Appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame principale proposto da INA Assitalia, ha rideterminato in Euro 290.000,00 (tenendo conto degli assegni versati) il danno non patrimoniale, oltre lucro cessante; in particolare la Corte territoriale ha ritenuto erronea la maggiorazione di risarcimento di oltre 1/3, riconosciuta invece dal Tribunale, atteso che siffatta maggiorazione era prevista solo in caso di assenza di altri familiari conviventi; nel caso di specie, invece, in base alla dichiarazione del teste V.N. (che aveva dato atto della presenza in casa del secondo marito della M. e della fidanzata del figlio deceduto) ed alla produzione in giudizio del certificato del secondo matrimonio dell’attrice, poteva ritenersi accertata la presenza di altre persone che coabitavano con la M. al tempo del sinistro.

Avverso detta sentenza M.E., in proprio e nella sua qualità, propone ricorso per Cassazione, affidato ad unico articolato motivo, illustrato anche da successiva memoria.

Generali Italia SpA (già INA Assitalia SpA) resiste con controricorso, anch’esso illustrato da successiva memoria.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo la ricorrente denunziando – ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nullità della sentenza, manifesta illogicità della manifestazione per “contradditorietà processuale” della motivazione, si duole che la Corte territoriale, nel ritenere accertata la presenza (al momento del decesso del figlio) di presenza di altre persone che coabitavano con la M., abbia, in primo luogo, “travisato il contenuto degli elementi probatori acquisiti al processo” (sulla base dei quali era invece emersa la prova dell’assenza, al momento del decesso del figlio, di altri familiari conviventi) ed abbia inoltre erroneamente interpretato il concetto ed il significato di “familiare convivente”.

Il ricorso è improcedibile per omesso deposito della copia autentica della sentenza impugnata con la relata di notifica.

Parte ricorrente ha depositato solo copia autentica della sentenza.

Come precisato da Cass. sez. unite 9005/2009, invero, “la previsione di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui alla stessa norma, comma 1, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 c.p.c., comma 2, applicabile estensivamente, purchè entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione”.

Nel caso di specie il ricorrente, che ha espressamente dichiarato che la sentenza impugnata, depositata il 6-9-2017, gli è stata notificata via pec in data 28-9-2017 (v. intestazione ricorso per cassazione e relativo controricorso), non ha prodotto in atti la copia autentica della sentenza impugnata con la relata di notifica. –

Tale copia non risulta prodotta nemmeno dalla parte resistente, sicchè non risulta applicabile Cass, Sez. Un. n. 10648/17.

Nè all’ipotesi in esame può applicarsi il principio secondo cui “pur in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima (adempimento prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2” (Cass. 17066/2013; conf. 30765/2017); c.d. prova di resistenza.

Nel caso in esame, invero, il ricorso per cassazione è stato notificato in data 23/11-2017, e quindi oltre il termine di 60 gg dalla data di pubblicazione della sentenza (6-9-2017), sicchè era necessario dimostrare (cosa non avvenuta nell’ipotesi in questione) che la notifica del ricorso fosse avvenuta entro i 60 gg dalla notifica del provvedimento impugnato.

In ogni modo, l’unico motivo proposto è comunque inammissibile in quanto non in linea con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito Oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.; conf. Cass. S.U. 8053 e 8054 del 2014; v. anche Cass. 21152/2014 e Cass. 17761/2016, che ha precisato che per “fatto” deve intendersi non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (conf. Cass. 29883/2017); nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato) omesso, ma si è limitato (inammissibilmente, per quanto detto) a contestare la valutazione, operata dalla Corte, della deposizione del teste V.N. e del certificato di matrimonio prodotto in giudizio.

Il motivo è, inoltre, inammissibile anche ove si limita a sostenere l’erronea interpretazione del concetto e del significato di “familiare convivente” senza tuttavia indicare alcuna violazione di legge; in ogni modo, la censura è anche infondata, atteso che la presenza di ulteriore familiare convivente va intesa con riferimento a chi richiede il risarcimento (il cui danno può essere attenuato appunto per la presenza di altro familiare convivente), e quindi all’attrice M.E. (rispetto alla quale il secondo marito è certamente da ritenersi suo familiare).

Le considerazioni svolte in memoria dalla parte ricorrente non sono idonee a superare i rilievi di cui sopra.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato improcedibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato improcedibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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