Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5443 del 18/02/2022
Cassazione civile sez. VI, 18/02/2022, (ud. 27/01/2022, dep. 18/02/2022), n.5443
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2457-2021 proposto da:
G.C., G.P.M., S.G.,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FILIBERTO 125, presso lo
studio dell’avvocato GAETANO ANTONIO GRAZIA, rappresentati e difesi
dall’avvocato GIUSEPPE IANNELLO;
– ricorrenti –
contro
L.R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO
STOPPANI 10, presso lo studio dell’avvocato DARIO BUFFONI, che lo
rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 20544/2020 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
depositata il 29/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
27/01/2022 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.
Fatto
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
S.G., G.C. e G.P.M. hanno proposto ricorso per la revocazione dell’ordinanza 29/09/2020, n. 20544/2020 della Corte di cassazione.
Antonio L.R. resiste con controricorso.
Su proposta del relatore, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 4, e art. 380-bis c.p.c., commi 1 e 2, che ravvisava l’inammissibilità del ricorso, il presidente fissava con decreto l’adunanza della Corte perché la controversia venisse trattata in camera di consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
L’ordinanza 29/09/2020, n. 20544/2020 accolse il primo motivo del ricorso per cassazione di L.R.A. contro la sentenza n. 34/2015 della Corte d’appello di Caltanissetta, dichiarando assorbiti i restanti sette motivi, e, decidendo nel merito, rigettò la domanda di costituzione di servitù di passaggio proposta da G.G. e S.G., così motivando:
“La circostanza che la soluzione in concreto adottata dai giudici di merito per la costituzione della servitù coattiva di passaggio in favore dei controricorrenti, implichi l’attraversamento, in vista del raggiungimento della pubblica via, non solo del fondo del L.R., ma anche di un fondo di proprietà aliena (del quale si assume che Gi.Ma. sarebbe livellaria ed un ente religioso concedente) risulta chiaramente dal tenore della consulenza tecnica d’ufficio, il cui passaggio saliente risulta puntualmente riportato in ricorso, ove nel riferire dell’ipotesi sub A) si prevede l’occupazione, con la sede stradale della servitù, di mq. 170 del L.R. e di mq. 7 di terreno del mappale n. 865 appartenente a Gi.Ma.. Trattasi di accertamento in fatto che non è nemmeno contestato dai controricorrenti, i quali pur riconoscendo la veridicità dell’assunto di parte ricorrente, sostengono, ai fini dell’infondatezza del motivo, che in realtà la Gi. aveva concesso volontariamente agli attori la servitù di passaggio, richiamando tuttavia una dichiarazione scritta, della quale, in violazione del principio di specificità, non riportano il contenuto onde stabilire se si tratti di un vero e proprio contratto costitutivo di servitù ovvero di una mera dichiarazione di disponibilità a concedere il diritto di passaggio”.
Il ricorso racconta i fatti oggetto di causa a far tempo dal 1992 e riferisce che il fondo di Gi.Ma. era stato espropriato per 13 mq dal Comune di S. Caterina Villarmosa nel 1999 ed era divenuto una via pubblica, come risulta dall’ordinanza comunale n. 8948/61/E del 19 novembre 1999, sopravvenuta rispetto al momento dell’espletamento della CTU; sicché Gi.Ma. non aveva comunque nessun interesse nella presente causa.
Il ricorso per revocazione di S.G., G.C. e G.P.M. non contiene l’indicazione specifica dei motivi della revocazione, prescritta a pena di inammissibilità dall’art. 398 c.p.c., comma 2, limitandosi nella riproposizione dei fatti di causa per inferirne che essi non siano stati correttamente decisi in diritto.
Va piuttosto riaffermato che l’impugnazione per revocazione delle decisioni della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa.
In ogni caso, i ricorrenti per revocazione assumono che l’errore di fatto dell’ordinanza n. 20544/2020, che ha cassato la sentenza d’appello ed ha deciso nel merito, consiste nel non aver tenuto conto dell’indiscussa estraneità del fondo Gi. al tracciato della servitù di passaggio, essendo stato lo stesso oggetto di espropriazione da parte del Comune di S. Caterina Villarmosa ed interessato dal prolungamento di (OMISSIS) (come dedotto nel controricorso di G.G. e S.G., seppur facendo riferimento non all’ordinanza comunale O. 19 novembre 1999, n. 8948/61/E, ma a quanto affermato dal L.R. all’udienza del 26 gennaio 2009).
Il ricorso per revocazione mira, dunque, a reintrodurre il “thema decidendum” originario del precedente giudizio di legittimità, e le doglianze formulate denunciano non un errore di fatto meramente percettivo, quanto la fallace valutazione della idoneità dei motivi del ricorso a fondare la cassazione della stessa pronuncia gravata, ovvero l’inesatta considerazione e interpretazione dell’oggetto del processo e, quindi, un errore di giudizio. L’errore di fatto che giustifica la revocazione di una decisione della Corte di cassazione può concernere i soli fatti sottoposti al diretto accertamento della Suprema Corte, e non pretesi errori in iudicando.
L’errore di fatto ipotizzato, peraltro, non risulta con immediatezza ed obiettività, senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive, ed in ogni caso si rivela non essere essenziale né decisivo, nel senso che, pur in sua assenza, la decisione non sarebbe stata diversa (Cass. Sez. 6 – 2, 10/06/2021, n. 16439; Cass. Sez. 2, 02/08/2019, n. 20856; Cass. Sez. 6, 17/05/2018, n. 12046; Cass. Sez. L, 04/11/2015, n. 22520; Cass. Sez. L, 14/11/2014, n. 24334).
Sulla base degli stessi principi enunciati dalla sentenza della sezioni Unite 22 aprile 2013, n. 9685, richiamata nella ordinanza revocanda, la domanda di costituzione coattiva di servitù di passaggio comunque non può essere accolta ove un tratto del percorso occorrente, già appartenente a soggetto non parte in causa, divenga in corso di causa di proprietà comunale a seguito di espropriazione e sia oggetto della realizzazione di una strada pubblica, supponendo la medesima azione di costituzione coattiva di servitù di passaggio che siano convenuti i proprietari di tutti i fondi che si frappongono all’accesso alla pubblica via, in maniera che il tracciato individuato sui fondi serventi realizzi integralmente il soddisfacimento dell’utilità per cui l’azione medesima è contemplata.
Convalidano tale conclusione le argomentazioni contenute nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, dei ricorrenti, in quanto proprio la circostanza ivi dedotta che “soltanto una parte dei fondi serventi era diventata strada pubblica di proprietà comunale” conferma che non fosse comunque attuabile la costituzione del passaggio coattivo posto a fondamento della domanda. Così come non in linea col senso della pronuncia di cassazione è l’allegazione dei ricorrenti secondo cui “l’ordinanza di cui oggi si chiede la revocazione ha annullato i precedenti gradi di giudizio solo per vizi processuali ovvero per la presunta violazione degli artt. 100 e 102 c.p.c.”, in quanto la domanda di costituzione coattiva di servitù di passaggio che non sia proposta nei confronti dei proprietari non pone un problema di integrità del contraddittorio rispetto ai proprietari pretermessi, ma di diritto inesistente.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, regolandosi secondo soccombenza le spese processuali, liquidate in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione dichiarata inammissibile.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di revocazione dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 27 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022