Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5441 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. II, 05/03/2010, (ud. 11/02/2010, dep. 05/03/2010), n.5441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – rel. Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

UTAC VIAGGI SRL P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BARNABA ORIANI 32, presso lo studio dell’avvocato LONGO SERENELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SERAFINO LIANA;

– ricorrente –

contro

M.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato SPATAFORA

GIORGIO, rappresentato e difeso dagli avvocati DE GIOSA FERDINANDO,

MATERA NICOLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1071/2003 del TRIBUNALE di BRINDISI,

depositata il 30/10/2003;

udita, la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/02/2010 dal Consigliere Dott. ALFREDO MENSITIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 6 giugno 2001 la Utac Viaggi srl proponeva gravame avverso la sentenza resa dal Giudice di pace di Brindisi il 3 aprile 2001 con la quale era stata rigettata l’opposizione proposta dalla stessa Utac contro il decreto ingiuntivo emesso in favore dell’avv.to M.A. per il pagamento della somma di L. 4.847.760 a titolo di competenze per l’attività giudiziale svolta in suo favore nella causa promossa dinanzi al Tribunale di Potenza da D.V. contro la Devi Travel e con chiamata in garanzia di essa Utac da parte della stessa Devi Travel avente ad oggetto la domanda di restituzione di somme pagate dal D. per prestazioni di agenzia di viaggi relative ad un soggiorno in Grecia mai goduto, nonchè la domanda di risarcimento dei danni materiali e morali nella misura ritenuta equa.

Chiedeva l’appellante declaratoria di nullità ed inefficacia del decreto ingiuntivo o comunque la revoca dello stesso o in subordine una congrua riduzione dei liquidati compensi professionali; instava altresì per la condanna dell’avversario al risarcimento dei danni da liquidarsi secondo giustizia come richiesto con la domanda riconvenzionale proposta in prime cure.

Prodotta varia documentazione, con sentenza del 30 ottobre 2003 il Tribunale di Brindisi rigettava l’impugnazione e condannava l’appellante alle maggiori spese del grado.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione la Utac Viaggi srl sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso M.A., che ha anche depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in materia di onere della prova, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Osserva parte ricorrente che il M. non aveva fornito, come era suo onere, la prova piena e rigorosa delle prestazioni professionali di cui chiedeva il pagamento ed anzi aveva associato arbitrariamente alla difesa l’avv.to Vittorio Rina senza informare di ciò l’amministratore di essa UTAC, cagionando per il suo comportamento negligente e gravemente inadempiente danni ad essa società che, sia pur richiesti in via riconvenzionale, non erano stati valutati dal giudice “a quo”.

La doglianza è infondata.

Ha invero affermato il Tribunale, con motivazione adeguata, esente da vizi logici e da errori di diritto e pertanto incensurabile nell’attuale sede di legittimità:

che in atti era ampiamente documentata l’attività professionale svolta dall’avvocato M. per conto della Utac Viaggi nella causa promossa davanti al Tribunale di Potenza da D.V. contro la Devi Travel e con chiamata in garanzia della stessa Utac da parte della medesima Devi Travel avente ad oggetto la domanda di restituzione di somme pagate dal nominato D. per prestazioni di agenzia di viaggi relative ad un soggiorno in Grecia mai goduto dal turista, nonchè la domanda di risarcimento dei danni materiali e morali determinabili in via equitativa, risultando in particolare prodotti dinanzi al giudice di pace sia gli atti introduttivi di quel giudizio sia copia dei verbali di causa;

che era del tutto irrilevante il fatto che l’avv.to Vittorio Rina (soggetto terzo rispetto al presente giudizio) avesse o meno svolto una qualche attività professionale per conto della UTAC Viaggi ed all’insaputa di quest’ultima trattandosi di circostanze del tutto estranee al giudizio in corso avente per oggetto l’accertamento dell’attività giudiziale prestata personalmente dal M. per conto della Utac ed in forza di mandato rilasciatogli dal legale rappresentante della società;

che pienamente legittimo era il rigetto da parte del primo giudice della domanda riconvenzionale proposta dalla Utac Viaggi per il risarcimento dei danni che sarebbero stati provocati dalla condotta professionalmente negligente ed illegittima del M., atteso che nel corso del giudizio non era emersa la prova di alcun comportamento professionale dell’attuale resistente che potesse esser qualificato tale o disciplinarmente censurabile.

Con il secondo mezzo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 c.c..

Rileva la ricorrente l’eccessività del liquidato compenso rispetto alla modesta opera prestata dal professionista, soprattutto in considerazione del fatto che il medesimo all’epoca delle prestazioni era iscritto nel Registro dei Praticanti Procuratori.

Deduce che in ogni caso il giudice “a quo” avrebbe quanto meno dovuto attenersi alle disposizioni di cui all’art. 2233 c.c., disapplicando la tariffa forense per violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato di Roma come da pronuncia della Corte di giustizia Europea C-35/96 del 18 giugno 1998. Le censure non hanno pregio.

Invero con motivazione del pari adeguata il Tribunale ha insindacabilmente in questa sede ritenuta pienamente legittima e congrua sia la liquidazione degli onorari operata dall’Ordine degli Avvocati di Brindisi e confermata dal giudice di pace, sia la liquidazione dei diritti effettuata da quest’ultimo dovendo il giudizio promosso dinanzi al Tribunale di Potenza considerarsi di valore indeterminabile stante il tenore della parte della domanda proposta dal D. diretta ad ottenere il risarcimento dei danni materiali e morali nella misura ritenuta equa. Da ciò conseguiva che in base alle tariffe vigenti gli onorari erano stati liquidati dal giudice di primo grado assolutamente entro i limiti medi ed in misura comunque da ritenersi congrua in relazione all’importanza dell’attività svolta dal professionista consistita oltre che nella redazione della citazione, nella partecipazione ad almeno cinque udienze nel corso delle quali erano state svolte laboriose deduzioni difensive oltre ad un interrogatorio formale. Competevano pertanto al professionista tutte le voci di onorari riconosciute dall’Ordine in sede di liquidazione ed inoltre tutte le singole voci dei diritti riportate nella specifica a firma dello stesso avvocato M. e allegate al fascicolo di parte, mentre si era correttamente proceduto alla riduzione degli importi dei diritti di procuratore del 50% per tutto il periodo nel corso del quale il M. era ancora iscritto all’albo degli esercenti la pratica forense.

Quanto, poi, al dedotto obbligo del giudice di merito di attenersi alle disposizioni dell’art. 2233 c.c., disapplicando la tariffa forense per violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato di Roma come da pronuncia della Corte di Giustizia europea C-35/96 del 18 giugno 1998 è sufficiente ricordare che secondo il mutato orientamento espresso dalla stessa Corte di giustizia con la sentenza 19 febbraio 2002 (causa C-35/99)è stata al contrario ritenuta legittima l’applicazione delle tariffe professionali (nella specie forensi) che fissano i minimi e i massimi degli onorari dei membri degli ordini professionali qualora, come è avvenuto in Italia, siano adottate con misura legislativa o regolamentare da parte di uno stato membro dell’Unione Europea (vedi Cass. n. 12745/2006).

Con il terzo motivo si denuncia, infine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per non aver il Tribunale compensato in tutto o in parte le spese e competenze del giudizio sia in primo grado che in appello liquidandole, tra l’altro, in entrambi i gradi, in misura eccessiva e sproporzionata all’attività svolta.

La doglianza è infondata giacchè entrambi i giudici di merito si sono attenuti al criterio della soccombenza mentre in ordine alla dedotta eccessività della liquidazione delle spese parte ricorrente non ha specificato le singole partite contestate nè ha indicato le eventuali voci violate della tariffa professionale.

Alla stregua delle svolte argomentazioni il proposto ricorso va respinto con la condanna della ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore di M.A., delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 200,00 oltre ad Euro 800,00 per onorari, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

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